Antonello Guerrera
Che cosa spaventa davvero Putin dopo tre anni e mezzo di guerra in Ucraina
LONDRA - Sono passati tre anni e mezzo dallo scoppio della guerra in Ucraina, la settimana prossima potrebbero incontrarsi - per la prima volta in questa delicatissima fase - Donald Trump e Vladimir Putin, magari con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ma tra i palazzi di Whitehall a Londra si percepisce sempre più una certezza. Questa guerra lanciata dallo zar ha dimostrato ai britannici che il presidente russo, nonostante tutti i suoi proclami bellici contro l’Europa, è terrorizzato da un conflitto contro la Nato e dall’ipotesi di uno scontro nucleare. Anche per questo, la sua retorica e quella dei talk show russi non devono mai essere prese troppo sul serio. Dopo aver speso il 75% delle sue riserve strategiche a causa dell’aggressione in Ucraina e della successiva risposta dell'Occidente, agli occhi dei britannici Putin non sembra mai stato così debole dall’inizio della guerra in Ucraina, nonostante l’esercito russo di recente abbia ripreso ad avanzare, molto lentamente, nel Paese.
Oramai a Whitehall molti ne sono certi. La deterrenza nucleare, che l’Europa sta aumentando e intensificando insieme agli americani, è l’unica vera arma che inibisce Putin dalle sue continue invasioni di Paesi stranieri. Insieme a una Nato sempre più granitica, con gli europei che hanno promesso nuovi fondi. Qualcuno collega la nuova spinta negoziale di Putin proprio con la mobilitazione, qualche giorno fa, di due sottomarini nucleari, decisa da Donald Trump, mezzi che il presidente russo temerebbe particolarmente. Altri analisti come il professor Michael Clarke, ex direttore del think tank “Rusi”, la considerano invece una “mossa militarmente irrilevante”.
In ogni caso, l’attivismo militare dell’Europa potrebbe esser stato decisivo per aprire questa nuova fase e soprattutto per evitare un’altra Crimea. Per quella che era una guerra che, le persone ben informate a Londra, si aspettavano almeno già dal novembre 2021, nonostante i russi abbiano smentito fino a poche ore prima del 22 febbraio 2022. Perché quella della deterrenza è "l’unica lingua che Putin capisce” per mettere un freno alle sue continue guerre e invasioni.
Londra ha già annunciato l’acquisto di almeno dodici jet F35a, capaci di trasportare testate nucleari, per rafforzare la missione nucleare della Nato, insieme al deterrente di sottomarini atomici “Trident” in Scozia (per cui servirebbe una seconda linea di produzione al più presto) e armi nucleari tattiche. Il mese scorso, Regno Unito e Francia hanno praticamente posto le basi per, a lungo andare, una condivisione quasi totale del deterrente nucleare e fornire un “ombrello” stabile all'Europa. Londra ha anche stretto un patto con la Germania, il nuovo protagonista di questo trio che vuole proteggere l’Europa dalle minacce di Putin, per cui si armonizzeranno sempre di più la produzione di armi e mezzi militari dei due Paesi, anche nelle esportazioni all’estero.
Certo, ci sono tanti singoli interessi nazionali in gioco e la strada è irta di ostacoli. Ma l’idea, soprattutto dei britannici che con i francesi sono le uniche potenze nucleari in Europa e con un seggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, è quella di unire le forze e razionalizzare il più possibile la produzione militare del Vecchio Continente. Londra, nonostante la Brexit, entrerà presto nel programma di riarmo dell’Unione Europea da oltre 120 miliardi di euro. Mentre nel recente vertice Nato dell’Aia, i Paesi membri si sono impegnati al 3,5% del Pil per la Difesa più un altro 1,5 a lungo termine.
Non solo. L’avveniristico progetto Gcap di Uk, Italia e Giappone per il caccia di sesta generazione vedrà l’ingresso di un partner danaroso come l’Arabia Saudita (anche se Riad vuole fino al 50% dei proventi di vendita, a fronte all’enorme iniezione di denaro che garantirà). Mentre per i britannici la coalizione dei Volenterosi per il Dopoguerra in Ucraina è pronta da mettere in pratica: la recente e prima partecipazione americana - per mezzo del generale Keith Kellogg inviato speciale per l’Ucraina - è stata decisamente benvenuta da Londra, ma, a quanto si apprende, Trump non ha ancora dato una definitiva benedizione. Ma potrebbe farlo dopo gli imminenti colloqui con Putin.
A proposito del nuovo presidente americano. I britannici hanno apprezzato gli sforzi di Biden sull’Ucraina, anche se talvolta per loro sono stati troppo lenti di fronte alla brutale aggressione russa. Trump è invece imprevedibile, e l’umiliazione di Zelensky nello Studio Ovale lo scorso febbraio qui non è stata dimenticata. Ma le sanzioni secondarie annunciate persino contro uno storico alleato (ed ex colonia dell’Impero britannico) come l’India - che compra petrolio dalla Russia nonostante le sanzioni - sono state accolte con soddisfazione a Whitehall, nell’ottica di rottura dei rifornimenti alla Russia di Putin.
Inoltre, “The Donald” ha accelerato un processo inevitabile: il riarmo dell’Europa, visto che gli Stati Uniti si concentreranno sempre più sull’Indo-Pacifico: la vera minaccia per l’America è la Cina, e anche per questo nella capitale britannica sono convinti che gli Usa non si ritireranno dal progetto con Londra e Canberra di sottomarini nucleari per l'Australia “Aukus”. Tra i palazzi di Whitehall, negli ultimi tempi è stata adottata una recente frase del premier polacco Donald Tusk: “Siamo 500 milioni di europei e stiamo chiedendo l’elemosina a 300 milioni di americani per essere protetti da 140 milioni di russi. Bisogna cambiare”.
A Londra poi sono convinti di un’altra cosa. L’asse tra Russia, Iran, Corea del Nord e Cina è molto più fragile di quanto si pensi. In pochi qui si aspettavano il distacco e l’indifferenza di Putin verso l’Iran attaccato da Israele lo scorso giugno e soprattutto l'impietoso abbandono dell’unica base militare di Mosca nel Mediterraneo a Tartus, dopo la caduta del regime di Assad in Siria. Anzi, nonostante diverse riserve, viene dato credito a Pechino per come, nei momenti in cui la retorica di Putin diventava sempre più esplosiva un paio di anni fa, soprattutto la Cina abbia fatto ragionare lo zar, imponendo l’abbassamento dei toni.
Certo, la minaccia della Russia rimane lì, alle porte dell’Europa. Anche in termini di guerra ibrida e non solo strettamente militari, vedi le recenti campagne di sabotaggio di Mosca in Europa. Ma i britannici e le principali diplomazie europee sono certe che Putin non potrà attaccare - anche se lo volesse - un Paese Nato nei prossimi cinque anni. Dunque, c’è tempo per riarmarsi e aumentare la deterrenza. La special relationship con l’America rimarrà e a Londra sono convinti che gli Stati Uniti, nonostante il focus sull’Indo-Pacifico, non rimuoveranno mai le garanzie nucleari all’Europa. Ma quest’ultima oramai deve prendersi carico di quelle convenzionali. Il prossimo decennio invece è tuttora un’incognita ed è impossibile fare previsioni, anche perché, tra le altre cose, non è certo che Putin possa essere ancora al potere.
Ma le sfide sono tante ed enormi. Per esempio, Londra vuole costruire con gli Alleati un nuovo “Manhattan Project” (come quello delle bombe nucleari durante la Seconda guerra mondiale) per arrivare alla cosiddetta “Superintelligenza” (ancora più potente della “AI” ed estremamente pervasiva) prima della Cina e avere sufficiente vantaggio in chiave deterrenza (come fecero gli americani con Oppenheimer per l’atomica). Un settore delicatissimo, tanto che l’ex ceo di Google Eric Schmidt di recente ha scritto su “Time” dei rischi nucleari connessi, in ambito geopolitico. Di certo, la Difesa britannica e quella europea hanno ancora un enorme potenziale. Nonostante qui il primo ministro Keir Starmer, che ha preso per mano il Vecchio Continente insieme a Macron e ultimo Merz per proteggerlo dalla Russia, debba per esempio sempre fare la tara con i costi e il dilemma "welfare/warfare". Ma questo è solo l’inizio di una nuova fase di riarmo europeo, oramai irreversibile.
Adriano Sofri
Piccola posta
Il Foglio, 9 agosto 2025
Uno dei titoli di ieri dice quanto disgustoso sia l’orizzonte promesso. “Putin pronto a vedere Trump. Ma resta il nodo Zelensky”. Per intenderci: “Ma resta ancora la rottura di coglioni di Zelensky”. L’Ucraina, territori all’uno, terre rare all’altro, è affare di una chiacchierata fra due gradassi, ambedue formati da case chiuse, pronti a spulciarsi mutuamente. Si può addebitare a Zelensky di aver troppo personalizzato la causa di un grande paese e di un grande popolo, ma questo ostentato disprezzo offende con lui popolo e paese e cittadini del mondo. E l’Europa, neanche nominata in quel titolo, neanche un “ma resta il nodo Europa”, quell’altra periferica rottura di coglioni. In compenso, le menzioni degli emirati e degli emiri sono gonfie di reverenza. Chissà se c’è ancora qualcuno capace di vergognarsi dell’ammirazione per gli emirati, i loro cortei di mogli in nero e di schiavi esotici e di negoziatori indulgenti.
L’altro giorno il comandante in capo dell’esercito ucraino, Oleksandr Syrskyi, si è guadagnato a sua volta un titolo sul Kyiv Independent che faceva tremare: “Non c’è altra scelta che la mobilitazione”. Tremare e temere un nuovo pronunciamento sulla leva obbligatoria al di sotto del limite attuale di 25 anni, fino ai 18 anni, che è la richiesta antica degli americani condivisa a suo tempo da Valerij Zalužnyj. Il testo riferiva poi l’avvertimento di Syrskyi: la Russia sta accelerando la sua mobilitazione per avere dieci nuove divisioni in campo entro la fine dell’anno, nonostante una perdita record di uomini morti o feriti, “33200 solo a luglio”. Sicché, argomentava, l’Ucraina “non ha altra scelta che continuare le misure di mobilitazione, migliorare l’addestramento al combattimento e rafforzare la componente senza pilota delle nostre truppe”. “Continuare”, non vuol dire cambiare e allargare la mobilitazione, salvo che si voglia leggere fra le righe. Le misure di mobilitazione, da tempo impopolari nella sostanza e ancora più nelle modalità, sono il nervo più scoperto della società ucraina, rispetto al quale la ribellione sulle agenzie anticorruzione ha suonato un allarme inequivocabile. Riaperte le rivalità fra i leader attuali e potenziali della politica ucraina, Zelensky potrà vantare una resistenza strenua alla pressione per il reclutamento dai 18 anni, e una percezione del suo rischio, che ha singolarmente mancato invece nella circostanza dell'anticorruzione.
Sull'orizzonte trivialmente squilibrato dell'eventuale negoziato pesa l'ulteriore differenza fra l'interesse di Putin a tirare avanti e il desiderio ucraino, leadership e gente, che la guerra finisca. Che cinismo e slealtà governino il mondo e costituiscano la norma cui anche la gente in spiaggia rende omaggio in cambio di un podcast di geopolitica, non fa stupire. Però si esagera. E c'è una corsa a esagerare, nel cuore dell'Europa, nel cuore del Mediterraneo.
"Una feroce forza il mondo possiede e fa nomarsi dritto" (Adelchi), "Al cuore Ramon, al cuore" (Per un pugno di dollari).
Alfio Mastropaolo
Caro Baruch, sono d'accordo con Sofri. Ma si conferma la mia idea che la soluzione andava cercata in partenza per via diplomatica. Lo si è voluto escludere. E agli europei, che avrebbero dovuto promuoverla, ben gli sta. Intendiamoci, a quei mascalzoni dei loro governanti va bene lo stesso, ai trafficanti d'armi pure, all'uomo della strada no. Vittime del cinismo di Biden prima e dei suoi compari britannici e adesso del cinismo mostruoso di Trump. Dopo di che, bisognerà raccogliere i cocci: quelli ucraini, che sono tristissimi, quelli russi, che non lo sono meno, almeno per la gente comune, e quelli delle relazioni bilaterali Europa-Russia. Putin è un dittatore, alquanto bieco. Ma, a pensarci, l'Europa ha più interessi in comune con la Russia che con questa America. Insomma, come di diceva una volta, sono cavoli amari. Madama cdL non è palesemente all'altezza, ma non vedo in giro nessuno all'altezza della sfida. Forse Sanchez, ma è vittima di quella terribile commistione tra politica e affari che non lascia scampo da nessuna parte. Pagherà un alto prezzo elettorale. Tra affari e moralità, povero zio Max, non c'è mai stata troppa amicizia, figurarsi oggi, che gli affari non vanno bene. E i politici, che hanno licenziato gli ideali, non sono messi meglio. Tu sei una promessa di equilibrio e di saggezza: illuminaci.
Giovanni Carpinelli
Alfio Mastropaolo sei d'accordo con Sofri. Non so se Sofri possa essere annoverato fra quanti si riconoscono nella tua narrazione. Non si capisce quali strategie diplomatiche avrebbe potuto dispiegare l'Europa per fermare il disegno di Putin. Il quale dall'inizio della vicenda punta a sottomettere l'Ucraina. Esiste un dignitoso fronte di opinione schierato a favore delle ragioni europee: FAZ, Financial Times, Le Monde. Viene sottolineata l'inferiorità strategica del vecchio continente, che tuttavia è riuscito a sostenere l'Ucraina più degli stessi americani. Ora Putin sembra disposto a incassare un riconoscimento de facto quanto alle annessioni territoriali. Non è detto che l'autocrate russo riesca a ottenere la rinuncia del paese aggredito all'aiuto occidentale (e più specialmente europeo, si può presumere). Lo spauracchio della Nato non sembra avere un ruolo di qualche peso nelle trattative.

Nessun commento:
Posta un commento