Mario Di Vito
Milano, anche Catella è libero. Azzerate le richieste dei Pm
il manifesto, 23 agosto 2025
Zero a sei. Ieri mattina il tribunale del riesame di Milano ha accolto la richiesta di annullamento degli arresti domiciliari avanzata dal costruttore Manfredi Catella, e con questa fanno sei misure cautelari annullate su sei richieste dalla procura – e in un primo tempo avallate dal gip – nel capitolo estivo della lunghissima inchiesta urbanistica che ormai da anni va avanti nella cosiddetta capitale morale.
SENZA GIRARCI troppo intorno, per gli inquirenti le decisioni del riesame sono una sconfitta piuttosto netta: con centinaia di pagine depositate agli atti, la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano e i sostituti Paolo Filippini, Marina Petruzzella e Mauro Clerici avevano spinto molto sulla necessità di confermare i provvedimenti richiesti, ma al collegio del riesame in tutta evidenza non è bastato. Da qui a un mese e mezzo leggeremo le motivazioni e capiremo se si è ritenuto che mancassero le esigenze cautelari o se ad essere deboli fossero i necessari «gravi indizi di colpevolezza», ma qualche punto della storia è già chiaro. Si può dire che di certo i giudici riconoscono l’esistenza del sistema di favori e scambi in nome del mattone descritto dalla procura: quando la settimana scorsa sono stati liberati l’ex assessore Giancarlo Tancredi, l’ex presidente della Commissione paesaggio Giuseppe Marinoni e il manager Federico Pella, sono state comunque disposte delle misure interdittive della durata di un anno.
Vuol dire che questi indagati, benché a piede libero, non potranno avere rapporti di alcun genere con l’amministrazione pubblica. Prima erano stati rimessi in libertà il patron di Bluestone Andrea Bezziccheri (l’unico finito in carcere) e l’architetto Alessandro Scandurra. Proprio quest’ultimo provvedimento aveva lasciato intuire che, con ogni probabilità, sarebbero stati revocati i domiciliari anche per Catella, indagato per corruzione e falso per lo più in virtù dei suoi rapporti con Scandurra: una serie di consulenze che per i pm proverebbero l’esistenza di un «patto corruttivo». Tesi che le difese respingono con un argomento ovvio: se esiste una fattura, non esiste una bustarella, dunque non si può parlare di corruzione. La diatriba legale resta ad ogni modo incerta e il fatto che non esista più l’abuso d’ufficio (abrogato dal governo Meloni) di sicuro ha sottratto parecchie frecce alla faretra di chi indaga.
MA LA MOSSA più importante dei giudici del riesame è un’altra, molto tecnica: il reato di corruzione ipotizzato dalla procura – «per atti contrari ai doveri d’ufficio» – è stato derubricato e ora è «per esercizio della funzione». Significa che le pratiche approvate dalla giunta Sala, dagli uffici del Comune e dalla Commissione paesaggio non sono considerati illeciti. Se ci aggiungiamo che già il gip aveva cassato l’ipotesi di induzione indebita (il reato per cui è indagato anche il sindaco Sala), si capisce benissimo quanto la strada dell’inchiesta si sia fatta in salita. Del resto si tratta di un problema emerso subito a metà luglio, quando erano arrivate le richieste d’arresto: è impossibile dubitare dell’esistenza di un sistema (nelle carte si parla proprio di «una cupola») composto da politici, funzionari e imprenditori, tutti uniti nelsegno dell’edilizia senza frontiere, quella capace di trasformare un pollaio in un grattacielo nel giro di pochissimi anni; altro discorso, ben più complesso, è trovare i reati. Si vedrà, anche perché la procura ha già fatto sapere che impugnerà i provvedimenti del riesame davanti alla Cassazione.
INTANTO, ottenuta la libertà, Catella esulta e, oltre ad aver ripreso in mano le deleghe della sua società (la Coima) abbandonate al momento della notifica dell’indagine, annuncia di star scrivendo un libro sulla vicenda urbanistica, ispirato dalle parole dell’arcivescovo Mario Delpini (il titolo sarebbe «Otto – parte prima» e a breve pare che ne verrà diffuso un estratto in anteprima). «In relazione a tutte le circostanze in cui abbiamo interagito con l’amministrazione comunale – dice ancora Catella in una nota -, esprimo la stima per la deontologia professionale di Christian Malangone (il direttore generale del Comune, indagato pure lui, ndr), di Giancarlo Tancredi e dei colleghi che hanno sempre operato nel rispetto della propria funzione pubblica». Prende così corpo quella che sarà la linea di difesa pubblica degli indagati: la rivendicazione di un modello di città spietato in cui può vivere bene solo chi ha un reddito adeguato, cioè altissimo. È il famigerato «Modello Milano»: piace, con pochissime eccezioni, a tutto l’arco politico. E a chi lo sostiene.

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