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"Peace for our time", La pace per il nostro tempo, 1938
Francesco Brusa
Verso l'Alaska, è il giorno degli esclusi
il manifesto, 14 agosto 2025
Che porti risultati concreti o meno, la sola attesa del vertice di ferragosto fra il presidente statunitense Donald Trump e il suo omologo russo Vladimir Putin sembra già smuovere le acque su vari piani. Per il Cremlino si tratta chiaramente di una leva non di poco conto con cui mettere ulteriore pressione sull’Ucraina, pure al di là della diplomazia (come dimostra l’avanzata delle truppe di Mosca nel Donbass, fra le più significative degli ultimi tempi).
Anche i mercati in Russia festeggiano: nei giorni successivi all’annuncio dell’incontro in Alaska gli indici di borsa sono saliti dell’8%, a segnalare l’ottimismo che serpeggia in molte delle aziende operative nel paese (le quali, con tutta probabilità, sperano in un allentamento delle sanzioni).
VA DA SÉ ALLORA CHE KIEV e i suoi alleati, già mestamente tagliati fuori dallo storico colloquio di venerdì, provino a far quadrato. Dopo che il leader della Casa Bianca, con la sua consueta retorica confusionaria, ha paventato [fatto balenare] uno «scambio di territori» per arrivare alla pace, i rappresentanti ucraini hanno ribadito in tante sedi e in diverse salse che un’ipotesi del genere è fuori discussione. Il ministro degli esteri Andriy Sybiha, durante una conferenza stampa, si è appellato alla costituzione e ha affermato che un accordo al di fuori del diritto internazionale porterebbe a conseguenze simili a quel patto di Monaco che aprì le porte della seconda guerra mondiale. Anzi, ha aggiunto, «questo è proprio ciò che Putin sta cercando: una continuazione dell’ordine di Yalta, basato sull’assegnazione di sfere di influenza».
Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky su X non scorda di inserire in cima al proprio messaggio l’imperativo di preservare l’integrità territoriale del paese, pur ringraziando Trump per la sua «determinazione». In questo il politico repubblicano deve certo sentirsi soddisfatto: al di là di qualche sporadico caso, quasi tutti sulla scena globale alla fine rientrano nei ranghi e non scelgono mai la linea della contrapposizione frontale nonostante frizioni, guerre commerciali e atteggiamenti sprezzanti da parte sua. Tuttavia, avendo fatto ormai il callo alla volubilità statunitense, il leader di Kiev riserva la maggior parte della sua energia diplomatica per altri interlocutori.
INNANZITUTTO I PARTNER europei, che non possono non provare a ritagliarsi uno spazio nell’accelerazione delle trattative in corso. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz riesce a strappare a Trump la disponibilità per un dialogo virtuale che si svolgerà oggi alla presenza di Zelensky, della presidente della commissione europea Ursula von der Leyen e del segretario generale della Nato Mark Rutte. Un coro di “esclusi” che, almeno via cavo, cercherà di ricordare al rappresentante di Washington che difficilmente l’Ucraina accetterà una qualsiasi decisione senza essere ufficialmente interpellata e che la linea di Bruxelles nei confronti di Mosca rimane comunque quella della sfiducia e della necessità di contenimento.
In maniera forse un po’ più sorprendente, arriva anche Ankara a dar supporto a Kiev, perlomeno verbalmente. Il presidente turco Recep Erdogan e quello ucraino si sono sentiti ieri al telefono, su richiesta del secondo. Com’è oramai consueto la repubblica anatolica si è offerta di ospitare eventuali negoziati (Istanbul è stata sede di diversi incontri fra rappresentanze russe e ucraine), affermando a sua volta di «continuare a sostenere la sovranità e l’integrità territoriale» del paese aggredito. Zelensky ha poi proseguito il suo “giro di richiamo” verso altri capi di stato, tra cui il neoeletto presidente rumeno Nicusor Dan e il primo ministro olandese Dick Schoof, nel tentativo di cesellare il più possibile un’immagine di massima unità in vista di venerdì.
È CHIARO però che, più delle affannose rincorse diplomatiche, conteranno le considerazioni strategiche e la situazione sul campo. In questo senso, l’unico che può davvero imprimere uno smottamento al terreno è Putin: dovesse mettere sul piatto una proposta dai contorni tangibili e potenzialmente appetibile anche per Kiev, è probabile che qualche rigidità si sciolga.
Alcuni analisti, per esempio, ipotizzano che venga discussa una tregua degli attacchi nei cieli, di cui negli ultimi mesi ha sofferto molto la popolazione ucraina ma che, allo stesso tempo, hanno tenuto ben impegnata anche Mosca, date le diverse incursioni subite da parte di droni dell’avversario.
Oppure il leader del Cremlino si sente in una posizione di vantaggio tale da voler passare al più completo incasso, con la fine delle sanzioni e il riconoscimento de jure delle regioni annesse. Ma, appunto: una torsione così plateale del diritto internazionale abbisogna di una forza soverchiante per applicarla e, all’oggi, è difficile che basti un viaggio in Alaska.
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