Stefano Stefanini
Perché in Alaska Trump rischia il flop
La Stampa, 14 agosto 2025
Troppo bello per essere vero. Donald Trump accetta di farsi portavoce della linea europea, e ucraina, domani ad Anchorage con Vladimir Putin. Friedrich Merz, iniziatore della videoconferenza con i principali leader nazionali, più Ue e Nato, ed Emmanuel Macron ne sono fiduciosi. Cinque punti essenziali: partecipazione dell’Ucraina a futuri negoziati; prima cessate il fuoco poi negoziati di pace; linea del fronte (“contact line”) base per discutere di territorio, nessun riconoscimento formale di sovranità russa; solide garanzie internazionali per l’Ucraina; pressioni su Mosca in caso di mancati progressi al vertice.
Poteva andare molto peggio, ma rimane la grossa incognita di sempre: cosa poi farà Donald Trump? Quanto ha detto nella video conferenza è abbastanza ondivago da non mettere nessuno in grado di «dire cosa esattamente farà». Putin gli concede il vertice sul suolo americano – con vista sulla Russia – ma null’altro. Di ieri, il mezzo sconfinamento di due IL-20 russi sul Baltico, intercettati da caccia italiani. Il Dipartimento di Giustizia Usa attribuisce alla Russia l’hackeraggio di molti tribunali con accesso a documenti processuali riservati. L’offensiva di questi ultimi giorni ha visto le forze russe guadagnare terreno al fronte: per continuare la guerra o per avvantaggiarsi in vista di un cessate il fuoco? Ne parlerà Donald a Vladimir, o ci scherzerà sopra come fece per le interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016?
Un amico americano – prevenuto, appartiene alla vecchia guardia di chi preparava i vertici alla Casa Bianca per i presidenti del passato, democratici o repubblicani, non faceva differenza nel loro ricorso alla professionalità – mi diceva: «Ammiro gli sforzi degli europei ma in Alaska stiamo andando verso una sceneggiata in grande stile». Ma, ieri, gli sforzi sono andati a buon fine?
Il copione del vertice in Alaska era già parzialmente scritto col piano di «scambio di territori» messo anticipatamente sul tavolo. Se Vladimir Putin lo accetta, pur in principio, Donald Trump non può fare marcia indietro. Semmai deve concedere a Putin qualcosa di più. Non è forse la regola aurea del “deal”, proporre meno di quanto si è disposti a dare? Avere in riserva qualche concessione con cui poi chiudere un accordo? Lo «scambio di territori» sarebbe il minimo sindacale ottenibile dalla Russia – e l’Ucraina non ha territorio da scambiare, solo da cedere. Scambio di territori significa cessione di territori – da parte ucraina. Occorre una contorsione diplomatica per allineare questa proposta di partenza con le cinque premesse europee. Trump ne è ben capace, ma Putin non è la platea Maga cui riesce a vendere di tutto purché col marchio di fabbrica.

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