Nel mondo della complessità, ecco l'uomo vitale di Michel Serres
Simone Paliaga
Avvenire, 31 luglio 2025
«Lo sforzo quotidiano verso la libertà si misura nello scarto dall’exo-darwinismo; bisogna senza posa abbandonare la vita come tale, il trascinamento potente del suo flusso, non perdere le distanze temporali che ci separano dalle biforcazioni prese dagli altri viventi. La pianta, l’animale, il fungo, il monocellulare obbediscono al loro programma o all’ambiente o a entrambi contemporaneamente. Abbandonammo questo automatismo, entrammo nell’oblio. Questo divenire trasparente d’incandescenza ci rese liberi», scrive Michel Serres (1930-2019) in un suo lavoro del 2003, ma solo da oggi in libreria in Italia grazie alle edizioni Mimesis. Si tratta di L’incandescente. Il Grande Racconto della Terra, della Vita dell’Uomo (pagine 294, euro 25,00) pubblicato con la traduzione di Gaspare Polizzi e Gabriella Baldrati e la curatela del primo, autore anche della introduzione. L’incandescenza rappresenta, per il pensatore francese, la vitalità e la potenzialità dell’essere umano, un essere che, in quanto “deprogrammato” a differenza degli animali, si trova in una condizione di continua trasformazione, rafforzata dalla sua capacità di apprendere e di disobbedire. Prima però di parlare del libro, in cui convergono le piste di ricerca battute da Serres nel corso della vita, occorre spendere qualche riga sull’autore. Benché siano pubblicate in italiano diverse sue opere mancano ancora all’appello quelle più importanti. Spesso le mode culturali dettano legge, e Serres, da sempre, ha preso le distanze da quelle mode anche quando, proveniente da una famiglia della Garonna di umili origini, è riuscito a ottenere un incarico, nel 1958, all’università di Clermont-Ferrand. Allorché la gran parte del mondo filosofico discuteva, sulla scia di Karl Marx, della centralità della produzione nella vita quotidiana, Serres difendeva l’importanza della comunicazione e delle relazioni che da essa derivano. Chiamato da Michel Foucault, nel 1968, a occupare una cattedra alla neonata università di Vincennes l’abbandonò già l’anno successivo perché «avevo avuto l’impressione di essere sprofondato nella stessa atmosfera di terrorismo intellettuale che facevano regnare gli staliniani quando ero studente alla rue de l’Ulm». Sono parole di Serres riportate da Didier Eribon in un libro dedicato a Foucault. Insomma, pur entrato a fatica e tra polemiche tra gli Immortali di Francia all’Académie de France, la filosofia istituzionale l’ha sempre tenuto in disparte, anche alla Sorbona dove è assegnato al dipartimento di storia. Forse perché in rotta con maestri dell’epistemologia come Gaston Bachelard e Georges Canguilhem, magari in quanto estraneo a tutte le scuole di pensiero o per l’essere diffidente di fronte alle richieste di engagement, Serres è rimasto ai margini ma è riuscito comunque a ritagliarsi un posto all’interno della storia della filosofia anche se non ancora riconosciuto dai manuali. Il pensatore della Garonna, o semplicemente scrittore come amava definirsi, critica fin dalle prime batture del libro l’umanesimo ciceroniano e rinascimentale, considerato incompleto e limitato. L’umanesimo storico sarebbe stato incapace di abbracciare e tenere insieme la complessità della vita e della storia. Per questo Serres introduce, ne L’incandescente, una nuova filosofia della storia che si intreccia con la filosofia della natura, evidenziando l’interconnessione indissolubile tra gli esseri umani, il Big Bang, i virus, i batteri e i fenomeni geologici. Ecco il Grande Racconto, a cui fa riferimento il sottotitolo del libro. In esso, però, l’ominizzazione recita un ruolo del tutto specifico. «Che cos’è l’ominizzazione? - si chiede Serres - l’uscita per mezzo della finalità, dall’incertezza e dalla morte. La liberazione progressiva dalle leggi dell’evoluzione ». Le tecniche inventate dall’uomo introdurrebbero l’intenzionalità in una selce che una volta levigata diventa un coltello e un’arma e divenendo in qualche maniera altro da sé. Agendo sulla pietra l’uomo fa irrompere la finalità in un processo, come quello evolutivo, che per definizione non la possiede. Ma le conseguenze della tecnica non rimangono confinate a quella selce lavorata e impiegata per tagliare o colpire. La tecnica diventa «un acceleratore del tempo dei viventi» e permette l’evoluzione dell’uomo in tempi rapidissimi e ben lontani dai ritmi della vita. La tecnica, scrive Serres, «scolpì l’umano che la scolpì, il suo tempo, il suo habitat, i suoi usi, la sua morale. Essa portò con sé la storia». Da allora il veicolo di trasformazione non dipende più dal lento variare della genetica ma dal processo di mimesi in cui si impara dal maestro la fattura dell’utensile e il gesto che esso richiede. Inizia così per l’uomo l’epoca dell’apprendimento e della conoscenza. Ma anche quello della disobbedienza e dimenticanza, della rivolta, come quella di Adamo ed Eva, e dell’oblio. Solo così si interrompe il ciclo ripetitivo dell’apprendimento e l’invenzione diventa possibile e con essa la biforcazione dal corso prevedibile degli eventi. Tutta la passione che Serres ha tributato a Leibniz nei primi anni della sua carriera si intravede in filigrana proprio in questa critica di ogni processo necessario. Tuttavia questo non implica progresso. Le grandi trasformazioni comportano ricadute. L’uomo finisce così «per dirigersi pazientemente verso uno stato dove vive sempre più indipendente dal mondo e dal suo corpo, dalla vita e dalle sue leggi, verso una direzione imprevedibile a ciascun passo». Per questo Serres sostiene che le catastrofi di Hiroshima, di Seveso e le conseguenze delle manipolazioni genetiche pretendono un nuovo contratto naturale che celebri la simbiosi tra l’uomo, il mondo e la vita e l’abbandono dell’atteggiamento coltivato dagli idealisti, convinti «che tutte le cose del mondo obbediscano loro come i loro domestici ». A esso si risponde con il realismo che «pratica la simbiosi, si immerge nelle cose e collabora con esse» aprendo la strada a un’altra biforcazione, che lo separa dalla sorte a cui il mondo sarebbe costretto dalle aspettative dell’idealismo che agisce sul mondo come se esso dovesse rispondere ai suoi desideri e non avesse una specificità che lo disallinea alle aspettative dell’uomo.
https://www.doppiozero.com/lultimo-dono-di-michel-serres

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