Stefano Stefanini
Così l'Ue alle strette ha ritrovato vigore
La Stampa, 19 agosto 2025
Come I magnifici sette, in ordine sparso, ma con un obiettivo comune. Sostenere Zelensky in vista di un futuro negoziato con la Russia sotto egida Usa – la tanto decantata ma non decollata trilaterale Trump-Putin-Zelensky – e rilanciare alcuni punti fermi in risposta alle condizioni russe trasmesse dagli americani. I leader europei piombati ieri a Washington si erano posti l’acrobatico compito di appoggiare l’ultima versione della diplomazia di Donald Trump – passare direttamente al negoziato di pace, dimenticando il cessate il fuoco – instradandola verso una vera trattativa che non si riduca all’accettazione delle condizioni capestro poste dal presidente russo. Sulle garanzie internazionali hanno ottenuto la promessa trumpiana di “protezione”. Meglio che niente – ma non parliamo di Articolo 5 che è ben altra cosa. Sugli incontri con Zelensky e con i sette, Donald Trump telefonerà poi a Vladimir Putin. Che non si smuoverà di un millimetro. Ma intanto gli europei hanno permesso a Zelensky di guadagnar tempo su una scelta angosciosa.
Volodymir Zelensky non è nuovo a prove del fuoco. La notte del 24 febbraio 2022 con i parà russi alle soglie di Kiev, rifiutò la fuga in esilio. Scelse di rimanere. Furono i parà a scappare con la coda fra le gambe. Dopo le effusioni russo-americane di Anchorage lo attendeva una nuova doppia prova del fuoco, fra Washington e Mosca. Nella prima, ieri, Donald Trump lo aveva convocato alla Casa Bianca per comunicargli i termini del “deal” che metterebbe fine alla guerra, essenzialmente le richieste di Vladimir Putin. Nella seconda, a Mosca o altrove, in un possibile incontro trilaterale, egli dovrebbe poi accettarle più che negoziarle, per concludere una “pace duratura”. In pratica, Zelensky affrontava la prospettiva di resa in due tempi. Almeno per ora, anche questa volta il presidente ucraino riesce a sottrarsi alla morsa russa, in questo caso russo-americana. Con un misto di diplomazia, di accondiscendente adulazione verso Trump – non fallisce mai – e con un grosso aiuto europeo.
C’è un che di poco dignitoso, quasi disperato, nel precipitarsi di ieri dei leader europei a Washington. Ma è stato anche un far di necessità – Donald Trump – virtù– Volodymir Zelensky. Non tanto per risparmiargli il bis della trappola in cui era caduto lo scorso febbraio. Il presidente ucraino ha ben imparato la lezione. Lo si è visto. Anche da solo non ci sarebbe caduto, e questa volta lo riceveva un Trump nei panni del venditore di tappeti russi anziché scatenare il mastino JD Vance. Ma proprio questo era il motivo per non lasciarlo da solo. Zelensky si sarebbe trovato di fronte a un prendere o lasciare. Egli non può “prendere”, cioè accettare quelle che sono le condizioni di Mosca per mettere fine alla guerra, comprendenti cessioni di territorio ancora sotto controllo ucraino. Ma se, da solo, “lasciava” diventava immediatamente il guastafeste del “deal” emerso nel vertice Trump-Putin, colpevole, agli occhi del Presidente americano, di essere lui – l’aggredito da tre anni e mezzo – l’ostacolo alla pace. È per evitare questo scenario che i sette leader europei si sono recati con lui in processione alla Casa Bianca. «Un grande onore per l’America» ha commentato Donald. Chissà se lo pensava.
La buona e nutrita – altri si sarebbero uniti ma i posti erano contati – compagnia ha dato al Presidente ucraino un’importante boccata d’ossigeno. Difficilmente farà cambiare direzione di marcia a Trump che vuole il “deal” e il “deal” è quello di Putin. Gli europei ci avevano provato la settimana scorsa con la videoconferenza prevertice. Risultato zero. Ma adesso, sostenuto degli europei, Zelensky ha potuto prendere tempo e far diplomazia senza dire “no” in faccia a Trump. Anzi, ringraziandolo e abbracciando l’idea dell’incontro trilaterale con Putin. Se e quando il trilaterale ci sarà. Se ne parla molto a Washington, Mosca tace. Ma meglio mettere subito i paletti europei per non farne un andare a Canossa del Presidente ucraino.
Gli europei si sono trovati alle strette, e rigorosamente esclusi, dalle improvvisazioni di Donald Trump, dal vertice di Anchorage, alla convocazione di Zelensky, alla prospettiva di un incontro Trump-Putin-Zelensky. Tutto in pochi giorni. Non è così che si fa politica estera – basti pensare alla meticolosa preparazione e segretezza del primo viaggio in Cina di Henry Kissinger. Ma è così che opera il 47mo Presidente americano. E quindi bisogna stargli dietro con lo stesso tempismo. Con il pellegrinaggio washingtoniano gli europei se ne sono dimostrati capaci. Ma dietro la facciata di diplomazia estemporanea, la giornata di ieri ha messo a nudo che fra l’Europa e l’America di Donald Trump si è aperto un fossato che si chiama Ucraina e sicurezza europea. Sui cui l’attuale Presidente americano da alleato si sta trasformando in mediatore con la Russia di Vladimir Putin.
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