giovedì 7 agosto 2025

Il Parmenide di Platone


Simone Paliaga
Con il "Parmenide" Platone continua a parlarci

Avvenire, 5 agosto 2025


Esistono dei testi filosofici tanto enigmatici e tanto misteriosi da attraversare, di secolo in secolo, l’intera storia del pensiero europeo e occidentale. E tale oscurità non accenna a diradarsi nemmeno al susseguirsi di meticolose interpretazioni e puntuali acribie filologiche. Uno di questi testi è certamente il dialogo Parmenide di Platone, scritto dal principe dei pensatori in età avanzata. Le serrate argomentazioni tra Parmenide, appunto, Zenone e Socrate, si intrecciano in deduzioni, controdeduzioni e ipotesi in maniera così fitta da restituire un’immagine estremamente raffinata del procedimento dialettico. Eppure tanta raffinatezza non basta a sciogliere ma acuisce l’enigmaticità del dialogo. Le tematiche al cuore del dialogo platonico possono suonare arcane a orecchie non più aduse alla metafisica. Discutere dell’Uno e dei molti e la difficile interpretazione delle ipotesi formulate durante il confronto tra i tre protagonisti hanno scoperto un autentico vaso di Pandora. Da Porfirio a Proclo e l’intera tradizione neoplatonica, passando per l’influenza esercitata sullo Pseudo-Dionigi Areopagita e poi su Giovanni Scoto Eriugena il dialogo arriva al cardinale Cusano. E da lì non smette di interrogare la filosofia moderna. Senza dimenticare il commento che gli dedica Marsilio Ficino, il testo viene affrontato da Hegel, che lo rende centrale nella Scienza della logica e così faranno Schelling e il tardo Fichte, per arrivare, percorrendo i diversi sentieri del pensiero tedesco, nel Novecento, al seminario di Heidegger e agli studi di Hans-Georg Gadamer. E non vanno scordate le attenzioni che vi prestarono, nel Belpaese, Enzo Paci e Carlo Diano. La presenza del Parmenide di Platone è una costante quindi della storia della filosofia. Non c’è momento in cui non ci si interroghi su di esso. Anzi. Si può anche azzardare l’idea che la storia della filosofia possa ripercorrersi seguendo le tracce lasciate lungo il suo cammino dal dialogo platonico.

Sorge allora una domanda. Diversi filosofi in tempi diversi hanno indagato il Parmenide per risolverne i nodi più intricati o, invece, l’hanno fatto per trarne ispirazione, intraprendere sentieri inediti e innovare la tradizione filosofica europea? Chissà se esiste una risposta definitiva al quesito, di certo, però, un’occasione per porsela una volta ancora è la nuova traduzione del dialogo che da poco è in libreria. Definirla nuova traduzione è in realtà riduttivo, perché l’ampio commento che le fa da corona rendono, quella pubblicata ora da Morcelliana, molto di più della versione più recente di un classico della filosofia. Quella che il lettore ha tra le mani è un’edizione del Parmenide (pagine 1012, euro 48,00) che non ha precedenti nel nostro Paese e non è nemmeno paragonabile, per completezza e approfondimento, alle traduzioni pubblicate da Les Belles Lettres, nella Bibliotheca Teubneriana da De Gruyter o nella Oxford Classical Texts.

Ogni riga del testo platonico viene scandagliata, messa a confronto con il dialogo nel suo insieme, con l’opera di Platone e con la tradizione filosofica. A sostenere questa impresa titanica, che è tale anche per le oltre mille pagine del volume e non solo per la qualità del lavoro, è stato uno dei più valenti allievi di Giovanni Reale, Maurizio Migliori. La sua scomparsa, avvenuta due anni fa, gli ha impedito di completare la fatica con un secondo volume dedicato alla discussione degli snodi teoretici proposti da Platone nel testo, che lo avrebbe reso una colonna inaggirabile non solo della letteratura secondaria ma anche per chiunque avesse voluto rilanciare una metafisica e una henologia oggi in panne.

A condurre in porto e a rifinire l’ultimo lavoro di Migliori, che appare postumo, è Francesca Eustacchi, che non solo ultima la fatica dell’antichista dell’Università di Macerata ma contribuisce alla ricchezza del volume con un perspicuo saggio finale dedicato alla polivocità del dibattito critico sul Parmenide platonico e un dettagliato repertorio bibliografico. In questo lavoro Migliori, pur recependo la lettura di Platone proposta dalla Scuola di Tubinga sulle dottrine non scritte e approfondita in Italia da Reale, contribuisce a ridefinirne alcuni tratti. Ne allarga lo spettro di riflessione al punto che lo stesso Reale riconoscerà «i contributi specifici di Maurizio Migliori e la sua posizione particolare nei confronti del nuovo paradigma». Per lo studioso dell’Università di Macerata, i dialoghi platonici svolgerebbero una funzione comunicativa e non servirebbero solo a risvegliare alla memoria del lettore le conoscenze che già possiede, alludendo così alle dottrine non scritte. Ma la loro funzione non si esaurirebbe nemmeno nel comunicare qualcosa che ha comunque valore anche se non ciò che ha più valore. I dialoghi platonici, e il Parmenide ne sarebbe una delle migliori esemplificazioni, sarebbero la via per far nascere nel lettore stesso quella scintilla che lo dovrebbe condurre alla filosofia. Una filosofia che non nasce dall’indottrinamento e dall’acquisizione di contenuti ma, socraticamente, da una scoperta personale.

«Dovrebbe a questo punto essere chiaro il senso che diamo al termine ‘protrettico’ - spiega Migliori -: non indica una esortazione a fare filosofia, ma una operazione specifica e intensa fatta di seduzione estetica, evidente nei dialoghi fino al Fedro, di attenzione didattica, accentuata nei primi testi, ma sempre viva, di proposta filosofica, via via crescente, e più in generale di una costante sfida a pensare, evidente sempre. Per spingere a fare filosofia si deve proporre filosofia, ma in un modo più teso a stimolare che ad insegnare. In questo senso, gli scritti platonici esprimono, ad un altro livello e con intenti assai più mirati, lo stesso atteggiamento della maieutica socratica». È proprio qui, forse, la chiave di lettura del Parmenide di Platone sulla quale insiste Migliori, che confessa di coltivare convinzioni personali che lo portano lontano dalla metafisica. La forza del dialogo platonico risiederebbe nella capacità di accendere quella scintilla che porta a filosofare. Pur senza dimostrare nulla né offrire tesi predefinite, attiva il metodo socratico nella pagina scritta e apre, poi, ponti verso la metafisica e la dottrina dei principi primi. Per chi li vuole percorrere. Il Parmenide sarebbe dunque una di quelle gymnasia dove gli uomini si addestrano al filosofare e proprio per questo, di là dall’eventuale invito ad addentrarsi nei meandri della metafisica, non ha perso, ancor oggi, a distanza di ventitré secoli, né fascino né interesse.


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