mercoledì 13 agosto 2025

La morte di Borsellino


Attilio Bolzoni
Francesco Trotta
Il grande intrigo sulla morte di Paolo Borsellino

Domani, 13 agosto 2025

Palermo, 19 luglio 1992, ore 16:58, via Mariano D’Amelio. Una Fiat 126 imbottita di tritolo viene fatta esplodere sotto casa della madre di Paolo Borsellino. Muore il magistrato, muoiono gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosinae Claudio Traina.

Subito dopo, mentre una nube nera si alza nel cielo della città, comincia un’altra storia. Più lunga. Più ambigua. Più silenziosa.

È quella di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana.
Il pentito chiave dell'inchiesta condotta da Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo e del gruppo “Falcone-Borsellino”, è Vincenzo Scarantino, un ladruncolo di borgata. Qualcuno, però, lo vorrebbe elevare al pari dei boss di Cosa Nostra. Ma Scaratino è un pupo. Gli mettono in bocca una verità che non sa. Le sue parole sono piene di contraddizioni. I grandi pentiti di mafia non lo riconoscono. Ma le ritrattazioni e le anomalie, tante, troppe, non fermano l'indagine.

Servirà molto tempo e un altro pentito, Gaspare Spatuzza, a far cadere quel muro di bugie costruito e avvalorato anche da sentenze della Cassazione.
Ma chi imbeccava Scarantino con mezze verità? I giudici della Corte d’Assise, presieduta da Antonio Balsamo, non hanno dubbi: “Soggetti inseriti negli apparati dello Stato”.

È la sentenza del Borsellino Quater che per una trentina di giorni pubblichiamo sul nostro Blog Mafie.

Tracce che conducono a piani alti. Misteri mai risolti.

La valigetta bruciata di Borsellino prelevata e portata via dalla sua automobile mentre ancora i soccorritori cercano di spegnere l'incendio, poi ricomparsa nell'ufficio di La Barbera. L'agenda rossa del giudice Borsellino sparita nel nulla e “uomini in giacca e cravatta” che si aggirano nell'inferno di via D'Amelio. E poi ancora quella richiesta di collaborazione “decisamente irrituale” da parte dal procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra a Bruno Contrada, allora ai vertici del Sisde - il servizio segreto civile - in Italia.

Anno dopo anno, mezze verità e nuovi indizi danno seguito a nuove ipotesi che rimangono però solo suggestioni. Poliziotti e magistrati vengono indagati e poi puntualmente assolti. E intanto a trentatré anni di distanza, rimane la puzza non di un solo depistaggio ma di tanti altri. Una depistaggio che non finisce mai.

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