venerdì 8 agosto 2025

Ludendorff a Liegi

Paul Keegan
La prima guerra mondiale
traduzione di Francesco Maiello
Carocci, Roma 2000 [1998]

Lo stallo fu sbloccato da Ludendorff. Fisico robusto, personalità schiacciante, assolutamente privo di paura e di scrupoli morali - avrebbe sopportato la morte di due cognati nel prosieguo della guerra senza flettere nell'esercizio del suo alto comando - Ludendorff decise la mattina del 7 agosto [1914] di lanciare la 14a brigata verso il centro di Liegi, pur rischiando di trovare resistenza. Non ce ne fu. Direttosi verso le porte della vecchia cittadella bussò alla porta con l'elsa della spada e fu fatto entrare. La resa della guarnigione gli conferì il controllo della città. 

Erich von Ludendorff, I miei ricordi di guerra: 1914-1918, Treves, Milano 1920

Difficile era il còmpito assegnato alle brigate inviate contro Liegi. Era certo ardita e nuovissima impresa il penetrare nell’interno di una fortezza attraverso le sue fortificazioni. Le truppe non si sentivano a loro agio. Gli ufficiali stessi apparivano assai dubbiosi sulla riuscita.

Nella notte dal 5 al 6 agosto cominciò l’avanzata su Liegi. In una monografia dello Stato Maggiore, edita da Stalling a Oldenburg, è descritto il completo svolgimento dell’impresa. Non voglio qui ripeterlo; esporrò solo qualche ricordo personale.

Verso la mezzanotte il generale von Emmich lasciò Hervé. Andammo ad unirci alla 14.a brigata di fanteria — maggior generale von Wussow — in direzione di Micheroux, distante due o tre chilometri dal forte Fléron. Sulla strada, che dal forte poteva essere completamente dominata, nelle tenebre più profonde, le truppe si adunavano un po’ disordinatamente con le loro provvidenziali cucine da campo. Da una casa a sud della strada partirono, ad un tratto, alcuni colpi di fucile contro le truppe adunate. La fucileria fu ricambiata. Tuttavia, con nostra somma meraviglia, il forte non diede segno di vita. Verso la una del mattino cominciò la marcia. Avanzammo a nord del forte Fléron su Retinne, a tergo della linea dei forti e poi sulle alture della Certosa che circondano la città. Dovevamo giungere sul posto al mattino per tempo; le altre brigate dovevano raggiungere la città contemporaneamente a noi, attraversando la linea dei forti in altro punto.

Lo Stato Maggiore del generale von Emmich era quasi in coda della colonna in marcia. All’improvviso un arresto di non breve durata. Mi spingo attraverso i soldati alla testa della colonna. L’arresto, avvenuto senza plausibile motivo, mi contraria vivamente. Noterò, a questo proposito, che io non ero là che come ufficiale osservatore senza autorità di comando; dovevo solo riferire più tardi al Comando dell’armata sugli avvenimenti di Liegi e coordinare le disposizioni del generale von Emmich con quelle che sarebbero giunte dal generale von Bülow. Naturalmente feci subito riprendere la marcia, restando in testa alla colonna. Intanto il perfetto collegamento delle truppe marcianti era venuto meno. In piena oscurità, avanzando a fatica, giungemmo presso Retinne, senza che il collegamento si fosse ancora effettuato. Con la punta della mia colonna m’incamminai verso l’uscita di un villaggio. Fui immediatamente accolto da colpi di fucile. Parecchi uomini caddero. Non dimenticherò mai l’impressione provata all’urto sordo dei proiettili penetranti nel corpo umano. Facemmo qualche balzo in avanti contro il fuoco incalzante del nemico invisibile. In quella oscurità non era facile scovarlo. Non eravi dubbio che eravamo su falsa strada. E con vivo rammarico, dovemmo ritrarci dinanzi al nemico nascosto.

Temevo che le truppe interpretassero il mio agire come mancanza di coraggio. Ma di questo non dovevo preoccuparmi; troppo importante era la posta. Diedi ai miei uomini l’ordine di indietreggiare e di passare all’esterno del villaggio.

A Retinne potei rimettermi sul giusto percorso. Colà vidi l’attendente del generale von Wussow con i suoi cavalli. Riteneva che il generale fosse caduto.

Con un piccolo seguito andai avanti, seguendo il viale che conduceva a Queue du Bois. Repentinamente un guizzo di bagliori dinanzi agli occhi. Era fuoco a mitraglia che spazzava la strada. Restammo illesi. Avanzammo di qualche passo per arrestarci poi subito dinanzi ad un cumulo di soldati tedeschi uccisi o feriti. Appartenevano alla colonna di testa guidata dal generale von Wussow. Una scarica a mitraglia li aveva colti di sorpresa ed abbattuti.

Raggruppai, a misura che li incontravo, i soldati del 4.° battaglione Cacciatori e del 27.° reggimento di fanteria e mi decisi ad assumere il comando della brigata ed a far tacere le bocche da fuoco che impedivano il passaggio. I capitani di Stato Maggiore von Harbou e Brinckmann si gettarono con alcuni valorosi tra le siepi ed i caseggiati ai due lati del viale, impadronendosi delle armi. E la marcia potè essere ripresa.

Avanzammo, giungendo ben presto in Queue du Bois, dove la fucileria dalle case riprese con rinnovata violenza. L’alba era ormai prossima. Io, con entrambi i capitani di Stato Maggiore, il comandante del 4.° cacciatori maggiore von Marcard, il comandante del 2.° reparto del 4.° reggimento di marcia maggiore von Greiff ed il suo ottimo aiutante, tenente Neide, ed alcuni soldati andammo innanzi, mentre un obice da campo subito e, poco dopo, un altro venivano piazzati in quella località, per battere le strade ed i caseggiati ai due lati. Solo così la marcia potè lentamente effettuarsi. Spesso fui costretto ad ammonire i soldati, che mi seguivano assai di malavoglia, a non lasciarmi procedere da solo. Finalmente potemmo lasciare alle nostre spalle l’abitato occupato esclusivamente da truppe regolari belghe, giacchè la popolazione erane già fuggita.

Uscendo dal villaggio scorgemmo presso la Mosa una colonna che marciava in direzione di Liegi. Sperai per un istante che si trattasse della 27.a brigata di fanteria. Erano invece belgi che si ritiravano precipitosamente oltre la Mosa in luogo di assalirci. La loro posizione fu dopo qualche tempo accertata. Nel frattempo al miei reparti di truppa si riunirono quelli lasciati indietro.

Il passaggio attraverso la linea dei forti era riuscito. Il 165.° reggimento fanteria, al comando dell’ottimo colonnello von Oven, si spinse innanzi decisamente. Il generale von Emmich si unì a noi e continuammo l’avanzata sulla Certosa.

Il generale von Emmich pose prudentemente a mia disposizione una parte della 11.a brigata di fanteria dislocata più a sud, per tema che anch’essa venisse sforzata. Ma la marcia potè essere continuata senza incidenti. Pervenuti di fronte alle fortificazioni sul lato nord di Liegi, procedemmo sulle alture che sovrastano la valle della Mosa ad oriente della Certosa.

Erano ormai le 2 del mattino. I cannoni vennero puntati contro la città, lasciando partire qualche colpo di tempo in tempo, in parte come segnalazione per le altre brigate, in parte per indurre la città alla resa. Pur troppo dovevo fare anche grande economia di munizioni già molto scarse. Le truppe, assai provate dai combattimenti qua e là svoltisi, erano esauste. Gli ufficiali avevano perduto le loro cavalcature. Le cucine da campo erano rimaste indietro. Lasciai che la brigata si riposasse, come le circostanze permettevano, accasermandosi alla meglio in alcuni dei caseggiati circostanti.

Poco dopo il generale von Emmich fece ritorno alla brigata. Dalle alture ad oriente della Certosa potevamo osservare a nostro agio la città. Trovavasi proprio sotto di noi. Dall’altra parte della Mosa ergevasi la cittadella. Su questa apparvero all’improvviso delle bandiere bianche. Il generale von Emmich voleva inviare colà un parlamentare. Io proposi di attendere i parlamentari nemici. Il generale non condivise il mio parere ed il capitano von Harbou partì per la città: Fece ritorno alle 7, informando che le bandiere bianche erano state innalzate contro la volontà del comandante. Era troppo tardi per avanzare su Liegi. Una incomoda notte ci attendeva.

Nel frattempo avevo riordinato la brigata. La nostra posizione appariva oltremodo difficile. Eravamo senza notizie delle altre brigate, anche della 11.a. Nessuna staffetta era giunta fino a noi. Era ormai giorno chiaro e la brigata si trovava sola, completamente isolata dal mondo esterno, chiusa in una cintura di forti. Dovevamo attenderci qualche assalto nemico. Per colmo di disgrazia avevamo con noi, ospiti incomodi, un migliaio di prigionieri belgi. Non appena si ebbe la certezza che la Certosa, la vecchia fortezza a noi controstante, non era occupata, vi mandai una compagnia con i prigionieri. Certo il comandante della compagnia dovè restare molto scettico sull’opportunità di tale mia disposizione.

La nervosità delle truppe aumentava con l’avvicinarsi della sera. Feci un giro attraverso i vari reparti, raccomandando calma e fermezza. Le parole: “domattina saremo a Liegi” risollevarono gli animi.

Il generale von Emmich erasi ricoverato col suo Stato Maggiore in una capanna di contadini.

Non dimenticherò mai la notte dal 6 al 7 agosto. Faceva freddo. I miei bagagli li avevo lasciati indietro, e dovetti coprirmi col mantello del maggiore von Marcard. Ansiosamente stavo in ascolto di rumori di battaglia. Speravo ancora che l’una o l’altra brigata fosse riuscita a penetrare nella linea dei forti. Inutile e snervante attesa. Il silenzio era solamente interrotto di mezz’ora in mezz’ora dallo sparo di un colpo di cannone sulla città. Verso le 10 di sera diedi ordine alla compagnia cacciatori, comandata dal capitano Ott, di occupare i ponti della Mosa per assicurarmi l’ulteriore avanzata. Il capitano comprese e s’avviò, giungendo senza incidenti sul luogo con la sua truppa.

Sorse il mattino. Andai dal generale von Emmich per conferire con lui sul da farsi. Si decise di continuare l’avanzata nel momento che il generale avesse ritenuto opportuno. L’ordine di avanzare mi pervenne mentre io stavo riordinando la brigata ed accertando l’itinerario da seguire. Il colonnello von Oven passò all’avanguardia, seguìto, ad una data distanza, dal rimanente della brigata con i prigionieri. Il generale von Emmich col suo Stato Maggiore ed io col mio chiudevamo la marcia. Durante l’avanzata vennero ad arrendersi molti soldati belgi. Il colonnello von Oven doveva occupare la cittadella. Gli mandammo delle staffette per avvertirlo di non farlo, ma di seguire la strada in direzione del forte Loncin, a nord-ovest della città e di fermarsi dinanzi all’uscita di questa. Supponendo poi che il colonnello fosse giunto al punto indicatogli, presso la cittadella, salii con l’aiutante di brigata su di un’automobile belga che d’allora in poi tenni presso di me e che mi depose alla porta prima dell’arrivo delle truppe. La cittadella era, pertanto, ancora in mano del nemico. Bussai alla porta chiusa. Fu aperta dall’interno. I duecento belgi apparsimi dinanzi si arresero al mio comando di cedere le armi. Nel frattempo la brigata sopraggiunse ed occupò la cittadella tosto da me apprestata a difesa.

Il còmpito che io stesso aveva a me prefisso era finito e potevo, quindi, chiedere al generale von Emmich di lasciarmi libero. Era mio intendimento di rifare il cammino percorso per informare il Comando dell’Armata di quanto erasi fatto; di ricercare le altre brigate e di disporre l’avanzata delle artiglierie verso i forti. Mentre mi trovavo nella cittadella giunsero alcune centinaia di prigionieri tedeschi, immediatamente liberati. La 34.a brigata di fanteria, spezzata sulla riva occidentale della Mosa, non aveva sostenuta la battaglia e le truppe rimaste isolate erano state fatte prigioniere. Sopraggiunse poi l’11.a e più tardi la 27.a brigata di fanteria, cosicchè, quando lasciai il generale von Emmich, questi poteva contare su di un discreto corpo di truppe. Non ignoravamo, per le informazioni avute, che i francesi avanzavano da Namur; la situazione restava, pertanto, oltremodo seria. Nè avrebbe potuto migliorare se non quando fossero caduti parecchi dei forti a oriente.


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