La strage di giornalisti. Il testamento di Mariam: figlio mio, non dimenticarmi
Due cannonate in chirurgica, sconvolgente successione. Il primo sull’ospedale Nasser, il secondo sui soccorritori: è ancora una volta strage di operatori sanitari e giornalisti a Gaza. Questa mattina i carri armati israeliani hanno preso di mira il quarto piano dell’ultima struttura funzionante nel governatorato meridionale di Khan Yunis. La seconda esplosione ha travolto coloro che si stavano arrampicando sulle scale esterne dell’edificio per portare i primi aiuti e diffondere la notizia dell’attacco. Fra questi Mariam Dagga, che collaborava con l’Associated Press, e Moaz Abu Taha, freelance. Una foto scattata dall’alto li ritrae intorno al sacco bianco di un cadavere tenuto fra la selva di corpi e mani, nella concitazione dell’intervento. Pochi istanti dopo lo schianto, un’enorme nuvola di fumo, una pioggia di detriti.
«Eravamo all’interno dell’ospedale, impegnati in mezzo alla grave carenza di attrezzature e farmaci. Gli spazi intorno alla sala operatoria, soprattutto al mattino, sono pieni di pazienti, medici, infermieri, studenti di medicina. I giornalisti erano lì per riferire sulla difficile situazione sanitaria. Facevamo tutti il nostro lavoro quando è arrivato l’attacco», ha raccontato Saber al-Asmar, medico del Nasser. Come se fosse la cura di anime e corpi a entrare nelle coordinate di tiro, nel centro dei mirini: «Mariam si recava regolarmente in ospedale per raccontare in immagini le storie dei bambini affamati, siamo rattristati e scioccati», si legge in un comunicato dell’Associated Press. Su Facebook si legge una lettera testamento scritta dalla giornalista al figlio dodicenne, che è stato evacuato durante questi mesi di guerra: «Ghaith, sei il cuore e l'anima di tua madre. Voglio che tu preghi per me, non che tu pianga per me, affinché io possa rimanere felice. Voglio che tu non mi dimentichi. Facevo di tutto per renderti felice e a tuo agio, facevo di tutto per te. E quando sarai grande, ti sposerai e avrai una figlia, chiamala Maryam come me». Mariam nei mesi scorsi aveva donato un rene all'anziano padre.
«Siamo sconvolti nell’apprendere della morte di Hossam al-Masri, e del ferimento di Hatem Khaled, nostri collaboratori», ha dichiarato Reuters in un messaggio diffuso sul suo sito web. Insieme a Mariam, Moaz e Hossam, hanno perso la vita anche il reporter del giornale al-Quds Ahmed Abu Aziz e Moahmmed Salama di al-Jazeera. In serata i giornalisti uccisi a Khan Yunis sono diventati sei. Hassan Douhan, reporter di al-Hayat al Jadid, è stato vittima di un bombardamento nel campo per sfollati di al-Mawasi. Secondo il ministero della Salute di Gaza 20 persone sono rimaste uccise nell’attacco all’ospedale Nasser. Quattro i morti fra medici e infermieri.
«Israele è profondamente dispiaciuto per il tragico incidente verificatosi all’ospedale Nasser», ha succintamente commentato il premier Netanyahu nella tarda serata. Una a dir poco lacunosa spiegazione dell’inconcepibile massacro era arrivata nel pomeriggio con un comunicato dell’esercito, che ha spiegato come il quarto piano del Nasser sia stato colpito nel tentativo di distruggere una telecamera che la squadra di carristi sospettava appartenere ad Hamas. Il secondo proiettile sarebbe stato esploso per assicurare lo smantellamento del dispositivo. Una inchiesta verrà avviata “il prima possibile”.
L’area intorno al Nasser, hanno tuttavia fatto notare diversi ufficiali dell’esercito intervistati dal quotidiano Haaretz, è piena di telecamere. Impossibile capire perché sia stato bombardato proprio il quarto piano dell’ospedale. «Un attacco si sarebbe dovuto condurre in tutt’altra maniera. Non è chiaro chi abbia dato l’ordine», hanno dichiarato le fonti al giornale. Il direttore della struttura sanitaria, Atef al-Hout, non ha dubbi: «Hanno preso di mira il centro chirurgico. Stavamo operando quando tutto è successo».
Continuano intanto le operazioni di “Gideon’s chariots 2”, il piano di assedio di Gaza City attanagliata dalla carestia. 58 i morti e 308 i feriti in tutta la Striscia secondo il ministero della Sanità controllato da Hamas.
«Restiamo allibiti di fronte a quello che sta succedendo a Gaza nonostante la condanna del mondo intero», ha dichiarato il segretario di Stato vaticano cardinale Pietro Parolin, a Napoli durante l’apertura della settimana liturgica nazionale.
«Non sono contento dell’attacco all’ospedale. Dobbiamo mettere fine a questo incubo», ha detto in serata il presidente americano Trump.
L’orrore di Gaza è il cuore di una guerra più vasta, che proietta Israele in Yemen, Siria e Libano. «Credo che l’intera regione stia imparando la forza di Israele», ha affermato Netanyahu dopo il bombardamento dall’aviazione su Sana’a, centro del regime degli Houthi che venerdì aveva lanciato un missile sul territorio di Israele. Dieci i morti e 92 i feriti causati dalla risposta di Tel Aviv, arrivata domenica. Il governo di Damasco ieri ha duramente condannato un’incursione dell’Idf nelle campagne sud-occidentali della capitale. Il segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, ha in serata replicato a Netanyahu, che si era dichiarato pronto a intervenire in appoggio al governo Libanese nell’operazione di disarmo delle milizie operanti nel paese dei cedri. «Israele può occupare il nostro territorio, ma noi lo affronteremo per impedirgli di raggiungere i suoi scopi», ha minacciato Qassem.
Louis Aragon
Il manifesto rosso / L'affiche rouge
Strofe per ricordare (1959)
Non avete richiesto né la gloria né le lagrime \
né il suono dell’organo, né la preghiera degli afflitti \
come son passati veloci già 11 anni \
v’eravate semplicemente serviti delle vostre armi \
La morte non offusca gli occhi dei partigiani
I vostri ritratti erano sui muri delle nostre città \
barba nera, minacciosi e irsuti, nottetempo \
il manifesto che pareva una macchia di sangue \
perché i vostri nomi eran difficili da pronunciare \
cercava proprio di far paura ai passanti
Pare proprio nessuno volesse vedervi come francesi \
la gente passava senza neanche guardarvi, di giorno \
ma all’ora del coprifuoco delle dita erranti \
avevano scritto sotto le vostre foto: MORTI PER LA FRANCIA.
Ed i mattini tetri ne risultavano cambiati \
tutto aveva il colore uniforme della brina \
a fine febbraio, per i vostri ultimi momenti \
ed è allora che uno di voi disse, calmo \
Buone cose a tutti, Buone cose a quelli che sopravviveranno \
muoio senza provare odio per il popolo tedesco
Addio al piacere, alla pena, alle rose \
addio alla vita, addio alla luce ed al vento \
Sposati, sii felice, pensa spesso a me \
tu potrai vivere nella bellezza delle cose \
quando tutto sarà finito, un giorno, a Erevan*
Un gran sole d’inverno illumina la collina \
Com’è bella la natura, come mi spacca il cuore\
ma verrà la giustizia, sui nostri passi trionfanti \
Melina** amore mio, orfana mia /
ti dico: vivi, fa’ un bambino!/
erano 23 quando fiorirono i fucili \
23 col loro cuore in anticipo sui tempi\
23 stranieri, eppure fratelli nostri\
23 innamorati da morire della vita \
23 che cadendo inneggiarono alla Francia
*[capitale dell’Armenia, terra d’origine di Manuscian]
**[la compagna di Manouscian]
LA STORIA DI MISSAK MANOUCHIAN E DEL MANIFESTO ROSSO
Missak Manouchian (in armeno: Միսաք Մանուշյան) ha 19 anni quando giunge in Francia, nel 1925. È nato il 1° settembre 1906 in una famiglia di contadini armeni del paesino di Adyaman, in Turchia. Ha otto anni quando suo padre viene ucciso da alcuni militari turchi durante un massacro; sua madre morirà di malattia, aggravata dalla carestia che aveva colpito la popolazione armena. Le atrocità del genocidio segnarono Missak Manouchian per tutta la vita. Di carattere introverso, diverrà ancora più taciturno e questo lo porterà, verso i dodici o tredici anni, a esprimere il suo stato d'animo in versi:
« Un bel bambino
Ha sognato per una notte intera
Di fare all'alba porpora e dolce
Dei mazzi di rose ».
Essendo orfano, è accolto prima da una famiglia curda, e in seguito da un'istituzione cristiana. Al suo arrivo in Francia impara il mestiere di falegname, ma accetta tutti i lavori che gli vengono offerti. Contemporaneamente fonda due riviste letterarie in lingua armena, Čank (« Lo sforzo ») e Makhaguyt (« Cultura »). Missak Manouchian frequenta le università operaie create dalla CGT e, nel 1934, aderisce al Partito Comunista e si unisce alla sezione armena della MOI (Manodopera Immigrata). Nel 1937 sarà al tempo stesso presidente del Comitato di Soccorso per l'Armenia e redattore del suo giornale Zangu (nome di un fiume armeno).
Dopo la disfatta del 1940, ridiventa operaio e, in seguito, responsabile della sezione armena della MOI clandestina. Nel 1943 entra ne Franchi Tiratori Partigiani (FTP) della MOI parigina, di cui diviene direttore delle operazioni militari sotto il comando di Joseph Epstein. Missak Manouchian dirige una rete formata da 22 uomini e da una donna.
A partire dalla fine del 1942, questi uomini conducono a Parigi un'incessante guerriglia contro i tedeschi: in media portano a termine un'operazione armata ogni due giorni, fra attentati, sabotaggi, deragliamenti di treni e collocamento di bombe. Il loro colpo più riuscito risale al 28 settembre 1943, quando abbattono Julius Ritter, responsabile del Servizio di Lavoro Obbligatorio in Francia e generale delle SS.
Il 16 novembre 1943 Missak Manouchian deve incontrare Joseph Epstein sugli argini della senna, a Evry. Non sa che veniva seguito fin dalla sua casa parigina; i due sono arrestati sulla riva sinistra da dei poliziotti francesi in borghese. Con questo, tutte le unità di combattimento della MOI parigina vengono smantellate il giorno stesso o nei giorni successivi. Si trattò di un'operazione di polizia ben condotta o di una denuncia? Alcuni storici ritengono che le circostanze in cui ebbe luogo l'arresto del gruppo Manouchian restano oscure e fanno certamente pensare ad una spiata. Il gruppo sarebbe stato utilizzato per operazioni troppo pericolose per i suoi mezzi, e non sarebbe stato convenientemente avvertito dalla direzione della Resistenza comunista sui rischi che correva.
I tedeschi danno un'insolita pubblicità al loro processo. La stampa è invitata: una trentina di giornali francesi e stranieri sono presenti. I servizi di propaganda tedeschi mandano una troupe cinematografica. Si ha così un processo-spettacolo per tre giorni: il fine è evidente e il presidente della Corte Marziale lo specifica immediatamente: occorre « far sapere all'opinione pubblica francese fino a che punto la patria è in pericolo ». Gli imputati sono tutti stranieri, figurarsi quindi l'occasione propizia.
Il gruppo è infatti formato principalmente da stranieri: otto polacchi, cinque italiani, tre ungheresi, due armeni, uno spagnolo, una rumena e soltanto tre francesi. Tra di essi, inoltre, vi sono nove ebrei (a partire da Epstein) e tutti sono comunisti o vicini al PC. Il loro capo è l'armeno Missak Manouchian.
Contemporaneamente, su tutti i muri di Francia viene affisso un manifesto che li presenta come criminali: il Manifesto Rosso. La propaganda tedesca intende mostrare che questi uomini non sono dei liberatori, bensì dei criminali, dei terroristi, dei delinquenti comuni. Gli autori del manifesto cercano di realizzare una composizione che sappia impressionare:
1 / La scelta del colore: il rosso, colore del sangue, ovvero il sangue scorso negli omicidi perpetrati dall' « esercito del crimine »;
2 / Il titolo del manifesto: « Liberatori? » Più in basso, la risposta: No, sono criminali. Tra la domanda e la risposta, le prove (armi nascoste, sabotaggi, morti e feriti);
3 / Sotto la parola « liberatore », presentata come leggenda, i dieci volti mal rasati degli imputati sono inseriti in medaglioni dal bordo nero, disposti simmetricamente. Sotto ciascuna immagine c'è un nome dal suono straniero, ebreo per sette di essi. Beninteso non vi figura nessun francese. Missak Manouchian è qualificato come « capobanda ». Non è un resistente, non è un liberatore, ma un delinquente comune.
I dieci medaglioni formano come una freccia di cui Manouchian è il vertice, e che punta direttamente sulla parola « crimine ».
Il manifesto viene diffuso anche in forma di volantino, con il presente testo sul verso:
« Anche se dei francesi rubano, sabotano e uccidono, sono sempre comandati da stranieri; sono sempre disoccupati e criminali di professione quelli che eseguono; sono sempre degli Ebrei che li ispirano. »
I tedeschi e il governo di Vichy intesero trasformare questo processo in propaganda contro la Resistenza. Vollero mostrare che la Resistenza era soltanto banditismo e un complotto straniero contro la Francia e i francesi. Si servirono della xenofobia, dell'antisemitismo e del presunto anticomunismo dell'opinione pubblica. La radio e i giornali di Vichy ripresero il tema del « giudeo-bolscevismo, agente del banditismo ». Si trattava di destabilizzare la Resistenza in un momento in cui si era organizzata e causava problemi sempre più gravi alle forze della repressione.

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