Danilo Ceccarelli
Yves Mény: "La Russia non farà concessioni a Kiev. Trump sta distruggendo il multilateralismo"
La Stampa, 11 agosto 2025
«Sulla guerra in Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin non vuole spingersi oltre una certa soglia per non avere troppi guai, ma al tempo stesso non ha intenzione di cedere». Per questo il politologo francese Yves Mény parla di un «gioco molto delicato» quando descrive la trattativa in corso tra Washington e Mosca.
Professor Mény, cosa c’è da attendersi dal dialogo tra Trump e Putin?
«Non credo che i tempi siano maturi per vedere Putin fare delle concessioni. Il presidente russo magari potrebbe accettare una ritirata simbolica, per poi smentirsi e fare tutto il contrario qualche giorno dopo».
In che posizione si trova il presidente statunitense?
«Trump è senza dubbio il più potente, ma di certo non è il più intelligente. Lui fa la parte del leone, ma Putin e Netanyahu sono le volpi. Il premier israeliano combatte per la sua incolumità giuridica, mentre il presidente russo è consapevole che in un sistema di potere assoluto o vince o sarà eliminato. Mi viene da citare Madame de Staël, aristocratica dell’Ottocento di origini svizzere vissuta in Francia, che aveva definito la Russia come una dittatura basata sullo strangolamento dopo che Caterina II fece presumibilmente uccidere il marito, lo Zar Pietro III. Oggi avviene lo stesso, con dei personaggi che hanno come unico limite l’omicidio o la guerra».
Intanto, stiamo assistendo al ritorno di un clima da Guerra Fredda. Ne è un esempio il recente invio di sottomarini nucleari americani nei pressi delle acque russe.
«Siamo in una situazione diversa, perché in quel periodo gli Stati Uniti erano i leader incontrastati della resistenza all’Unione Sovietica. Oggi, invece, gli americani non sono più così seguiti dagli altri occidentali. Inoltre, dopo la crisi dei missili di Cuba del 1962 venne concordata una sorta di pace armata, con rischi razionalizzati per evitare il peggio, a differenza di adesso dove la situazione è meno rassicurante. Oggi la bomba atomica è detenuta da molti Paesi che durante la Guerra Fredda non l’avevano, come India, Cina, Pakistan e Israele. Per questo siamo in un mondo più incerto e squilibrato».
Non c’è più la logica dei due blocchi?
«Esatto, in essa si combatteva anche una guerra ideologica: democrazia contro regime sovietico. Oggi la Russia non è più comunista, sebbene resti un Paese autoritario, mentre gli Stati Uniti sono ancora una democrazia, ma fino ad un certo punto perché c’è una forte limitazione della libertà. Penso ad esempio alla crisi in corso nel Texas e alla volontà di ridisegnare la mappa dei collegi elettorali in vista del Midterm. Le manipolazioni del voto da parte di Mosca sono evidenti, ma anche gli americani sono dei grandi esperti in questo campo».
Vede molte similitudini tra i due Paesi?
«Presentano un comportamento molto simile, con due uomini soli al comando che possono gestire il potere in base alle loro volontà. I due sistemi si somigliano sempre di più, perché gli americani si stanno avvicinando ad un sistema autoritario, mentre le speranze degli Occidentali nel vedere la Russia diventare una democrazia, magari imperfetta, stanno svanendo».
Tra guerre e tensioni commerciali il multilateralismo sembrerebbe essere in serio pericolo.
«Più che a rischio, direi che è quasi morto. Almeno in una parte del mondo. Questo perché uno degli attori principali, gli Stati Uniti, ha deciso di non voler più far parte del sistema. Lo stesso voluto fortemente dopo la fine della Seconda Guerra mondiale proprio da Washington, che all’epoca ha sollecitato la creazione di organizzazioni internazionali, come l’Ocse, per poi spingere verso una maggiore cooperazione europea. Ma questa tendenza era cominciata già prima dell’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, che adesso sta dando il colpo di grazia con una serie di accordi bilaterali decisi attraverso i dazi. Il fatto poi che ora il presidente statunitense voglia far uscire il suo Paese da alcuni organismi, tra cui l’Unesco, per evitare di finanziarli rappresenta un altro modo per uccidere il multilateralismo».
Questa crisi come si riflette all’interno dell’Unione europea?
«In due modi. Prima di tutto a livello esterno: l’Ue appariva come un modello costruito su rapporti consensuali e pacifici, basati sullo Stato di diritto. Un’Europa come forza gentile, per riprendere le parole dell’economista Tommaso Padoa-Schioppa. Ma non stiamo vivendo in un’epoca gentile, ce lo dimostra la distruzione del multilateralismo in corso. Poi, sul piano interno, c’è una struttura commerciale che varia da Stato a Stato. Germania ed Italia, ad esempio, sono potenze esportatrici, a differenza della Francia. Questo si ripercuote negli atteggiamenti adottati in merito ai dazi nei confronti degli Stati Uniti, con Parigi che è più riservata a differenza di Berlino e Roma».
I Brics potrebbero rappresentare un’alternativa credibile per un nuovo multilateralismo?
«Non credo. È un gruppo molto eterogeneo, che gioca una partita complicata, all’interno della quale prevalgono gli interessi nazionali. Prendiamo ad esempio l’India, che fa parte dell’alleanza: ha interesse nel combattere Trump sul piano commerciale perché è penalizzata dai dazi, ma ha anche bisogno della politica statunitense in chiave anti-cinese».

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