Ci sembra importante riprodurre il discorso tenuto dalla premier Giorgia Meloni a Rimini sui temi della politica europea e dei rapporti con l'Occidente.
Rivendichiamo il ruolo pragmatico, propositivo dell’Italia sullo scacchiere internazionale e in seno all’Unione europea. Un’Unione europea che sembra sempre più condannata all’irrilevanza geopolitica, incapace di rispondere efficacemente alle sfide di competitività poste dalla Cina e dagli Stati Uniti, come ha giustamente rilevato Mario Draghi qualche giorno fa da questo palco. Ora, io che sono passata dall’essere un’impresentabile per aver collocato il mio partito all’opposizione del Governo Draghi all’essere definita una “draghiana di ferro” mi divertirò domani a leggere i giornali per capire in quale delle due caselle verrò inserita questa volta.
Però in realtà non mi interessa questo. Mi interessano invece i temi che sono stati posti. Mi interessa rilevare che molte delle critiche che ho sentito rispetto all’attuale condizione dell’Unione europea le condivido così tanto da averle formulate molto spesso nel corso degli anni, venendo per questo aspramente criticata anche da molti di coloro che oggi si spellano le mani. Ma sapevo che prima o poi tutti avrebbero dovuto fare i conti con la realtà, perché questa fase di enormi mutamenti, una fase nella quale sono saltati i paradigmi su cui abbiamo visto costruire l’Unione Europea e democrazie decidenti, autocrazie ciniche ci sfidano ogni giorno, ci offre per paradosso una grande opportunità. Un’opportunità che noi possiamo cogliere solo se l'Unione europea sarà capace di riscoprire la propria anima e le proprie radici. Sì, anche quelle culturali, anche quelle religiose colpevolmente negate anni fa. Banalmente, perché se non sai chi sei, non puoi neanche definire il tuo ruolo nel mondo, la tua missione nella storia. La burocrazia non ci tirerà fuori dalla tempesta. La politica può farlo.
Le regolamentazioni non ci renderanno più forti, le idee possono farlo. Le ideologie cieche non libereranno le nostre società, i valori di riferimento applicati alla realtà che viviamo possono farlo. Però, dobbiamo sapere che tornare protagonisti della storia e del proprio destino non è facile, non è indolore, non è gratis.
Bisogna, ad esempio, essere disposti a pagare il prezzo della propria libertà e della propria indipendenza, dopo che per decenni noi abbiamo appaltato agli Stati Uniti la sicurezza europea, a costo di una inevitabile dipendenza politica.
Il mondo politico dal quale provengo ha sempre posto il problema, assumendosi la responsabilità, anche il costo politico in termini di consensi, di sostenere che solo chi è in grado di difendersi da solo è veramente libero nelle scelte che fa.
Abbiamo parlato dell'esigenza di una colonna europea della Nato, di pari forze e dignità rispetto a quella americana, quando questi temi non erano di moda. E consentitemi di dire anche qui che mi fa un po’sorridere che coloro che oggi rivendicano la necessità di emanciparsi dagli Stati Uniti siano gli stessi che da sempre si oppongono a una politica di indipendenza in termini di difesa e sicurezza. Perché, signori, le due cose banalmente non stanno insieme.
Allora, costruire con mattoni nuovi in Europa significa soprattutto ripartire dalla Politica – sono d’accordo anche su questo -, che è visione, passione, conflitto e sintesi, partecipazione e democrazia. Significa ridurre la burocrazia soverchiante, significa sostenere la competitività delle imprese per combattere la desertificazione produttiva. Significa rimettere l'Uomo, e non l'ideologia, al centro della natura. Significa investire sulle proprie filiere per ridurre le troppe dipendenze strategiche che abbiamo. Significa porsi il problema demografico perché, signori, altrimenti, tra non molti decenni, non ci sarà alcuna civiltà europea da difendere.
Significa - come dicevo - costruire un proprio modello di sicurezza, integrato nel sistema di valori e di difesa dell'Occidente. Significa, insomma, delineare un'Europa del pragmatismo e del realismo, andando oltre il dibattito un po’stantio tra più Europa e meno Europa.
Perché la vera sfida è un'Europa che faccia meno e che lo faccia meglio, che non soffochi gli Stati nazionali, ma ne rispetti i ruoli e le specificità, che non annulli le identità ma le sublimi in una sintesi virtuosa e più grande. Uniti nella diversità è, del resto, il motto dell'Unione europea e io penso che sia un motto al quale dovremmo tutti ispirarci davvero.
Perché i “nuovi mattoni” sono anche un modo nuovo di vivere identità antiche, culturali, spirituali, religiose. Io non mi sono mai fidata di chi si vergogna della propria identità, però non mi fido neanche di chi non è disposto a viverla in modo nuovo. Eliot diceva che la tradizione va sempre reinventata. Essere conservatori non vuol dire costruire con mattoni vecchi, significa cercare sempre mattoni nuovi per continuare a edificare una casa che non hai iniziato tu. Significa amare le linfe di una storia che altri hanno avviato, desiderare che grazie al tuo contributo quella storia produca frutti sempre più abbondanti.
E la nostra casa, a cui aggiungere mattoni nuovi, è l'Occidente. Non - come ho detto diverse volte - un luogo fisico, ma un sistema di valori nato tra l'incontro tra la filosofia greca, il diritto romano e l’umanismo cristiano. Sintesi che ha fertilizzato il terreno dove è cresciuta la separazione tra Stato e Chiesa, dove gli uomini nascono uguali e liberi, dove la vita è sacra e la cura per i più fragili è un valore assoluto.
Questo è quello che siamo. È quello che siamo. Ed è quello che ha permesso alla nostra civiltà di progredire nei secoli e di essere un modello da seguire.
E, signori, l’Occidente ha ancora molto da dire, l’Occidente ha ancora molto da dare. Ma serve consapevolezza e serve umiltà, serve sapersi mettere in discussione, serve rispetto per noi stessi, condizione imprescindibile per rispettare anche gli altri.
E l’Italia cerca di fare la sua parte anche in questo, per mostrare la strada.
Penso che abbiamo portato mattoni nuovi in Africa, creando un modello di cooperazione che rifugge tanto l'approccio paternalistico quanto quello predatorio, costruendo invece partenariati basati sul rispetto reciproco, sulla fiducia, sulla condivisione, cioè sulla capacità di guardarsi negli occhi da pari per trovare insieme gli ambiti nei quali poter fare la differenza e avere benefici reciproci.
Perché a differenza di altri attori non abbiamo secondi fini, non ci interessa sfruttare il continente africano per le ricchissime materie prime che possiede, utilizzandole per accrescere il nostro benessere. Ci interessa invece che l’Africa prosperi insieme a noi processando le sue risorse, coltivando i suoi campi, dando lavoro e una prospettiva alle sue energie migliori, potendo contare su governi stabili e società dinamiche. E abbiamo lavorato per realizzare questo approccio, l’abbiamo fatto soprattutto attraverso il Piano Mattei per l’Africa, cioè la strategia che l'Italia porta avanti assieme a diverse Nazioni africane per favorire investimenti di qualità, grandi progetti in campo infrastrutturale, energetico, produttivo e soprattutto di valorizzazione del capitale umano. Perché la formazione e l'educazione sono due costanti dei progetti che abbiamo lanciato, dal grande Centro di formazione e innovazione in ambito agricolo che nascerà in Algeria, fino all'impegno che stiamo portando avanti con la Fondazione ASVI in Costa d'Avorio per raggiungere oltre 800 scuole primarie e circa 200 mila bambini e ragazzi che vivono nei contesti più difficili.
Però quello che vogliamo costruire non è un semplice pacchetto di progetti. È un nuovo patto tra Nazioni libere, che scelgono di cooperare perché credono nei valori della centralità della persona, della dignità del lavoro e della libertà. E sta diventando un modello anche per molti altri Paesi.
E sono fiera che quel modello coinvolga le energie migliori della nostra Nazione, in un gioco di squadra che mette insieme tutto il Sistema Italia, il settore privato, la società civile, il Terzo Settore. Ed è la prova che quando l’Italia agisce con visione e concretezza, ma anche unita, riesce a fare la differenza.
https://www.governo.it/it/articolo/intervento-del-presidente-meloni-al-meeting-di-rimini-2025/29604
https://machiave.blogspot.com/2025/08/meloni-e-i-suoi-fratelli.html
Flavia Perina
Se la premier punta alla prateria moderata
La Stampa, 28 agosto 2025
La famiglia, la persona, il sostegno alla scuola paritaria, il no alla maternità surrogata, la sussidiarietà, ma anche una manovra in difesa del ceto medio, la rivendicazione di un personale “draghismo prima di Draghi”, un Piano Casa in via di elaborazione che echeggia fin dal nome il progetto di Amintore Fanfani, volano del boom nel dopoguerra.
Un discorso moderato
Giorgia Meloni ha usato l’occasione del Meeting di Rimini non solo per accarezzare il mondo cattolico (scontato) ma per presentarsi all’Italia moderata come leader credibile e tranquilla (meno scontato). Ha ridotto al minimo le polemiche contro gli avversari e certe battute sarcastiche che sono la forza dei suoi comizi al popolo della destra. Ha archiviato i riferimenti bellicosi del Signore degli Anelli in favore de La Storia Infinita, il vero libro di formazione della sua vecchia comunità, meno paganeggiante e guerresco. Persino sugli sbarchi ha evitato riferimenti divisivi all’Albania o alle Ong per proporsi soprattutto come garante dell’immigrazione legale e di patti con l’Africa fondati sul reciproco rispetto. Un discorso abile che fa capire quale sarà la fase due della premier: approfittare dello slittamento a sinistra del campo largo per portare dalla sua il voto moderato in cerca di casa.
La corsa all’area di centro
La presidente del Consiglio ha aspettato per tre anni che lo spazio del centro fosse dragato dai suoi alleati, Forza Italia e Noi Moderati. Lei era impegnata altrove, e principalmente nella gara con Matteo Salvini sui temi legge e ordine, con un obbiettivo chiaro: tenere nel recinto della destra conservatrice i voti leghisti che nel 2022 erano scivolati verso la Fiamma, un po’ per delusione e un po’ per noia. Quel consenso è ormai acquisito. Ogni tentativo di remuntada del Capitano è fallito. Ma nell’altro quadrante dell’azione politica di maggioranza, il benedetto centro, non tutto è andato come doveva.
Nessuno si è addentrato nelle famose “praterie moderate”, laddove pascolano i piccoli greggi di Matteo Renzi, Carlo Calenda, Più Europa e la galassia di mini-sigle collegate, compresi i riformisti del Pd. Nessuno nel centrodestra è stato capace di occuparle e nemmeno di prendersene un pezzetto, anche se le condizioni c’erano. Meloni, a quanto pare, ha deciso di far da sé. Ha sposato la citazione-bandiera del Meeting: nei luoghi abbandonati costruiremo con mattoni nuovi. E ha deciso che i mattoni possono essere i suoi.
Il pragmatismo e la strada verso le Politiche
Frase di riferimento: «Il campo in cui abbiamo dimostrato di voler stare non è quello delle ideologie, delle utopie, di chi vuole modellare la realtà. Il campo che abbiamo scelto è il campo del reale». Traduzione: il pragmatismo sarà la cifra del governo nei due anni che separano dalle Politiche, e nel nome di questo pragmatismo si potrà trovare la leader di FdI con Ursula von der Leyen in Europa e con Donald Trump dall’altra parte dell’oceano, con Matteo Salvini a Palazzo Chigi e con Emmanuel Macron nei vertici dei Volenterosi, insomma ovunque risulti “pratico” stare per consolidare l’immagine di una premiership efficace e circondata dal più generale apprezzamento. Se nella prima fase del suo mandato e nei messaggi al mondo dei suoi elettori Meloni ha coltivato l’immagine dell’underdog circondata da nemici, ora fa l’esatto contrario. Si sveste della grinta ostracizzata dei vecchi tempi. É una signora votabile da tutti.
Le insidie per il campo largo
Chi deve preoccuparsi? Il campo largo, innanzitutto. Con Elly Schlein un po’ persa nell’inseguimento di Giuseppe Conte e adesso anche dell’Alleanza Verdi e Sinistra, che al tavolo delle candidature regionali è stata surclassata dai Cinque Stelle e chiede compensazioni e riconoscimento. La “testardaggine unitaria” della leader Pd su quel versante forse è una scelta obbligata. Ma il rischio è evidente: se nel 2022 fu la sinistra a usare il formidabile argomento polemico del “salto nel buio” costituito da un governo delle destre sovraniste, fra un paio d’anni potrebbe succedere il contrario. Potrebbe essere la destra a rivendicare l’alternativa tra un governo stabile, concreto, sostenuto da solide alleanze internazionali, e l’avventura di quelli del reddito di cittadinanza, Pro-Pal, Yankee Go Home, wokisti, immigrazionisti, eccetera. Chi sceglieranno i moderati?
Ma qualche pensierino preoccupato dovranno farlo anche i centristi della maggioranza che in questi tre anni non sono riusciti ne’ a incrementare il loro consenso ne’ a caratterizzare il loro ruolo di governo in modo preciso. Se la linea espressa al Meeting avrà un seguito, se si rivelerà davvero la strategia per il prossimo biennio, Meloni diventerà un problema anche per chi si è proposto come “contrappeso moderato” a una premiership fortemente caratterizzata a destra, come mediatore del rapporto di Palazzo Chigi con l’Europa, come pompiere degli eccessi sovranisti.
Tutti ruoli diventati inutili perché il contrappeso la premier se lo è fatto da sola, e a dar retta agli applausi del Meeting ci è riuscita.

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