Maria Fancelli
Croce, trent'anni di resistenza con Goethe
il manifesto, 3 agosto 2025
Da Sorrento, nell’ottobre del 1944, Benedetto Croce siglava l’introduzione a quella che sarebbe diventata l’edizione definitiva dei suoi studi goethiani, usciti in due volumi nel 1946 dopo un lungo percorso storico-critico durato quasi un trentennio.
Questi studi sono ora riapparsi nel quadro dell’Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce nella «Sezione di scritti di storia letteraria e politica»: Goethe Con una scelta delle liriche nuovamente tradotte, due bellissimi volumi accompagnati da un prezioso apparato storico e critico (Bibliopolis, Napoli, pp. XII-305 + 414, euro 65,00).
Per la lunga storia editoriale dei suoi studi goethiani è naturale che in quell’introduzione l’autore abbia sentito il bisogno di storicizzarsi e di sottolineare come il suo itinerario si fosse svolto significativamente tra le due grandi guerre; e anche di ribadire che le opere di Goethe, così come gli erano state di conforto nell’ultimo anno della prima guerra mondiale, erano tornate a esserlo «nel triste tempo del regime di oppressione e di vergogna in cui l’Italia era caduta» (vol. primo, p. XII).
Nel mezzo di questo trentennale confronto, potremmo aggiungere noi, era venuto a cadere nel 1932 anche il primo centenario della morte di Goethe che il governo fascista si era ritenuto in dovere di onorare a suo modo. Da questo punto di vista la lunga ricerca di Croce su vita e opere di Goethe può essere considerata senza dubbio anche come un aspetto della sua resistenza e della sua opposizione al regime.
In ogni caso al Croce che scrive l’introduzione di Sorrento nel 1944 sta a cuore ribadire la funzione che quegli studi avevano avuto per lui in quei decenni drammatici: «lenimento e rasserenamento», proiezione dello stesso desiderio di mantenere, come Goethe, «l’animo sopra e fuori degli affetti politici» (vol. primo, p. IX), empatia e rifugio presso uno dei più alti rappresentanti dello spirito, uno scrittore che era stato capace di riunire in sé l’attitudine riflessiva e quella poetica.
Nei Terzi Saggi Croce si spinge a dire che «nessuno dei sommi poeti presenta questa doppia eccellenza di poeta e letterato» (vol. secondo, p.164), mostrando una tale intensità e continuità di ricerca che possiamo ben dire oggi che nessun altro in Italia ha dedicato tanto studio, e per così tanto tempo, all’opera di Goethe come lo ha fatto Croce.
Riproporre oggi, a distanza di quasi un secolo, il Goethe di Croce suona dunque come un giusto omaggio al filosofo napoletano e alla cultura napoletana; insieme si configura anche come un atto di coraggio visto che nella seconda metà del Novecento l’opera di Goethe ha conosciuto, anche da noi, innovazioni critiche profonde, importanti edizioni e nuove ipotesi storiografiche.
Se guardiamo, infatti, alle acquisizioni storiche, critiche e filologiche più recenti, ma anche a quelle ancora vicine al 1944 (per esempio al volume di Lukács Goethe und seine Zeit che, uscito nel ’46 e tradotto nel ’49, fu misconosciuto da Croce che ammise di non averne finito la lettura), è comprensibile che a qualcuno questo Goethe possa apparire oggi soltanto come un insigne monumento del passato; e da un certo punto di vista anche lo è. Ma se non si può chiedere a Croce ciò che oggi noi sappiamo in più di Goethe, forse proprio la distanza intercorsa ci permette di vedere meglio il valore di quegli studi, le loro contraddizioni, il loro senso oggi. Tanto più che i due volumi si presentano con tutti gli aggiornamenti possibili, grazie alle attente cure di Domenico Conte e di Chiara Cappiello.
È evidente che qui dobbiamo limitarci a sintetizzare i punti essenziali della lunga riflessione di Croce su Goethe. La prima considerazione riguarda un dato consolidato: i suoi studi hanno segnato un’inversione di rotta nella tradizione letteraria italiana tardo classicista, in ampia parte di matrice cattolica e «dantesca», che nella seconda metà dell’Ottocento aveva mostrato forme diverse di resistenza e difficoltà a capire il fenomeno Goethe, e soprattutto il Faust.
Anche se Croce rischia ogni tanto di rientrare lui stesso nella linea d’ombra antifaustiana quando afferma, per esempio, che il secondo Faust ha un approccio librettistico e che l’autore è l’ultimo grande poeta di corte (vol. 1, p. 117), la sua adesione al progetto etico-estetico di Goethe è totale e viene da una visione laica, non moralistica, di ascendenza desanctisiana; viene da un vasto orizzonte di letture e in particolare da un intenso confronto con la romanistica tedesca coeva, che gli permetteva di vedere e di andare oltre le riserve formali e strutturali della tradizione italiana. Non a caso tra i suoi interlocutori c’erano alcuni tra i più fini conoscitori delle culture romanze, anche loro al centro delle riflessioni teoriche sulla letteratura, quali ad esempio Karl Vossler e Leo Spitzer.
Come i due grandi romanisti, infatti, Croce è stato parte attiva del processo di mutamento che investì la ricerca letteraria nel passaggio al nuovo secolo e che fornì impulsi teorici anche nel campo della critica stilistica e perfino della linguistica, come ammise anche Cesare Cases in Saggi e note di letteratura tedesca (Einaudi 1963).
Superfluo ricordare che nel quadro della ricezione goethiana in Italia ebbero un ruolo anche le traduzioni che il filosofo aveva cominciato a pubblicare già nel 1919: traduzioni di testi poetici, nate «senza un deliberato proposito» e «come naturale risonanza delle letture che facevo», frutto e continuazione del lavoro ermeneutico (vol. 1, p. X). Croce traduttore ebbe un ruolo non solo per la conoscenza e divulgazione della poesia di Goethe, ma lo ebbe anche nella riflessione sulla traduzione come opera di libertà. Rileggendole oggi, si deve dire che alcune di esse stanno ancora nel novero delle migliori di cui disponiamo.
La seconda riflessione riguarda il vasto orizzonte europeo di Croce e il rapporto con quella grande cultura letteraria e filosofica tedesca che a metà Settecento era entrata nel contesto mondiale con opere e con autori fondamentali della storia moderna. Gli studi goethiani ebbero una parte centrale in questo rapporto, ed è molto significativo che la prima raccolta di saggi, apparsa nel 1919, seguisse di poco le grandi e allora notissime monografie, quella del norvegese Georg Brandes (’15) e quella monumentale di Friedrich Gundolf (’16).
Altrettanto significativo è il fatto che il libro crociano del ’19 venisse rapidamente tradotto in tedesco e in inglese ed entrasse quindi quasi subito in un circuito sovranazionale di scambio. In questo quadro l’attenzione ostinata di Croce sul processo creativo e sulle singole opere fu senz’altro lo strumento più efficace per contrastare la diffusa ricostruzione titanica ed enfatica della figura di Goethe, il biografismo esasperato, le varie forme del faustismo.
Nella nuova edizione il curatore Conte riserva giustamente grande spazio a questa dimensione europea di Croce e lo estende fino all’incontro con Thomas Mann, a cominciare dalla dedica a Mann che Croce fece della Storia d’Europa nel secolo decimonono e al loro breve carteggio. Goethe, come Mann, è per Croce la Germania grande e amata, parte dell’Europa che nel 1932 una generazione di scrittori e di intellettuali ardentemente desiderava e vedeva venire.
Ma il punto davvero centrale, il presupposto che ha reso possibile e che, nonostante le contraddizioni e gli errori, ha alimentato l’incontro con Goethe è stato senza dubbio il processo di fondazione dell’Estetica, il lavoro teorico e critico che aveva al centro l’operare artistico e che secondo Gianfranco Contini aveva segnato «il discrimine tra due secoli» (L’influenza culturale di Benedetto Croce, Ricciardi 1967). È stato il lavoro all’estetica che ha saldato l’interesse di Croce alla persona e all’opera di Goethe, che nelle sue molteplici articolazioni formali e fantastiche, soprattutto nel decennio che lo aveva visto solidale con Schiller, gli offriva un progetto etico, estetico e politico molto vicino al proprio sentire.
Nel lungo rapporto con Goethe il filo rosso che attraversava tutti i saggi goethiani del filosofo è stato il primato dell’opera singola, la convinzione che la poesia appartiene sempre al divenire e non all’essere, che la storia è sempre storia dell’opera e non della persona (Goethe, Bibliopolis, vol. 1, p. 157). Tutte le indagini di Croce sono state condotte dentro all’officina goethiana, fuori dall’ossessione unitaria e biografica, sempre alla ricerca del momento aurorale del discorso estetico, della nascita della poesia, dell’unità tra intuizione ed espressione, della compiuta autonomia dell’opera.
In questo quadro il Goethe di Croce fu un ostinato banco di prova, attraversò fasi diverse e non poté evitare errori, ma fu sempre per tutto l’arco di un trentennio, visione «ergocentrica». E se ci chiediamo alla fine quale è stato il Goethe di Benedetto Croce che oggi ci appare nella sua vera specificità, possiamo tranquillamente rispondere riprendendo, insieme a Vittorio Santoli (Fra Germania e Italia, Sansoni 1962), le sue stesse parole: Goethe è «una serie di singole creazioni… ciascuna delle quali costituisce per sé una ‘epoché’ che porta il nome collettivo di Goethe».
.jpg)
Nessun commento:
Posta un commento