venerdì 29 agosto 2025

Il fascino perverso di Simenon


Massimo Raffaeli
Una poetica che si basa sulla spietata rappresentazione degli esseri umani

il manifesto, 28 agosto 2025

Tra le innumerevoli iniziative editoriali di Goffredo Fofi c’è un volume a più voci su Georges Simenon che uscì una prima volta da L’ancora del Mediterraneo nel 2004 e che oggi viene meritoriamente riproposto da Altreconomia, Simenon, l’uomo nudo (Piccola biblioteca morale, pp. 118, euro 12).

SI TRATTA DI TRE CONTRIBUTI molto differenti nel taglio e nello stile ma concentrici quanto alla volontà di distinguere l’uomo dallo scrittore Simenon e nello stesso tempo di individuare le mozioni di una poetica che mira ad una spoglia, severa e persino spietata rappresentazione degli esseri umani.

Nella «Lettera aperta a Georges Simenon», Gianni Da Campo (1943-2014, regista cinematografico e fervido appassionato dello scrittore di Liegi) gli si rivolge in prima persona con una lettera aperta indagandone il rapporto con la madre Henriette che fu un caso di amore profondo e mai ricambiato da parte di lei, una donna reclusa nell’etica piccolo borghese, asfissiante e nella sostanza omicida.
Da Campo legge in un simile e reiterato manque l’origine di una letteratura capace di restituirne la cruda e anaffettiva verità ma anche di colmare il vuoto con uno stile inderogabile, dove nel grigio plumbeo dell’esistenza quotidiana vengono a ibridarsi e fatalmente a spegnersi tutti quanti i colori del mondo.

Per parte sua Claudio G. Fava (1929-2014), che fu un fuoriclasse della critica cinematografica, con «La pipa di Maigret» stralcia da quanto definisce l’«immenso impero narrativo» di Simenon la serie intitolata al commissario, raccontando la sua passione e, insieme, l’identificazione con un personaggio «privo di illusioni ma consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri, rispettoso della legge e dell’ordine, temerato e intemerato»: il cinema gli ha prestato, fra non pochi altri, il volto di Jean Gabin e la nostra televisione, tra gli anni Sessanta e Settanta, quello indimenticabile di Gino Cervi, una specie di Cardinal Lambertini da commissariato – scrive Fava – ma capace con la sua laconica présence e la parola continuamente inceppata, talora ruminante, di dare vita a un personaggio il cui metodo investigativo antepone, notoriamente, il comprendere al giudicare e, più che mai, al condannare.

DI QUI MUOVE il contributo dello stesso Fofi, «La solitudine dell’‘uomo nudo’», che torna al rapporto fra vita e opera avanzando intanto una critica durissima alla monumentale biografia di Pierre Assouline (Georges Simenon, 1992, da noi Odoya 2014) che ritiene burocratica nell’analisi e «avversa allo scrittore» per pregiudizio. Fofi, viceversa, valorizza sia la filiazione da Dostoevskij e Maupassant (efferati indagatori del reclusorio familiare come del legame sociale) sia il genio analitico che vede nell’intreccio di sesso/sangue/soldi la più autentica couche delle azioni umane, per tacere, quanto al profilo linguistico-stilistico, di «un ritegno narrativo, una economia di mezzi e un’assenza di predicatorietà che appartengono solo a lui, un tono che è solo suo».

In conclusione Fofi dà un elenco delle sue personali preferenze (La neve era sporca, Il gatto, La vedova Couderc, Il borgomastro di Furnes) e si accorge che potrebbe andare avanti citando decine di titoli però si ferma, a un certo punto, ed esclama qualcosa che qualunque lettore probabilmente sottoscriverebbe: sono talmente tanti i suoi romanzi, che per fortuna ci sarà sempre un Simenon che non abbiamo ancora letto.

Nessun commento:

Posta un commento