Corrado Augias
Storia di Vera e gli amori caduti sull'Altipiano
la Repubblica, 14 agosto 2025
Questa è una storia straordinaria che si è svolta tra Gran Bretagna e Italia qualche decennio fa. Storia di guerra ma anche di sconfinato amore fraterno. Dopo la rotta di Caporetto (ottobre 1917), le potenze dell’Intesa inviarono alcuni contingenti di truppe per rinforzare il fronte meridionale. Anche se poi gli italiani sul Piave avevano resistito fermando l’offensiva austro-ungarica, la situazione veniva considerata preoccupante dagli alti comandi.
Su ciò che accadde al contingente americano sappiamo qualcosa perché ne ha scritto Ernest Hemingway in una delle sue opere migliori e più note, il romanzo Addio alle armi. Una storia d’amore e di guerra, anche se lo scrittore si limitò a servire come autista di ambulanze. Meno nota la storia del contingente del Commonwealth britannico, alcune migliaia di uomini dislocati tra l’altro sull’Altipiano dei Sette Comuni o di Asiago. Le forze britanniche, unite alle italiane, contribuirono in maniera determinante ad arrestare l’offensiva austro-ungarica.
Un ritratto di Edward Brittain
I boschi intorno al famoso altipiano di Asiago ospitano ancora oggi cinque cimiteri inglesi progettati dall’architetto Sir Robert Lorimer, che ne diresse anche i lavori di costruzione. Il loro aspetto è di spoglia bellezza, niente ornamenti, solo lapidi di pietra bianca con nome, età, grado, reggimento del caduto; in qualche caso un motto. Questo, per esempio: «He laid his richest gift on the altar of duty, his life» – Ha lasciato il più grande dono sull’altare del dovere – la sua vita.
Questi cimiteri militari sono ufficialmente zona extraterritoriale, tenuti benissimo da una famiglia del posto regolarmente pagata in sterline dal governo di Sua Maestà. In uno di questi, località Granezza, incastonato ai margini di un solenne bosco di abeti, c’è la tomba di Edward Harold Brittain, giovanissimo capitano di appena 22 anni, ucciso in combattimento il 15 giugno 1918.
Roland Aubrey Leighton. Copyright: © IWM
Vale la pena raccontare la sua storia e quella di sua sorella Vera Brittain, la nascita del mito romantico che li accompagna. Il capitano Brittain Brittain dell’Undicesimo battaglione Sherwood Foresters venne colpito durante la disperata offensiva austro-ungarica del giugno 1918, quando le linee dell’Intesa furono spezzate e il nemico riuscì a penetrare in territorio italiano per circa un chilometro. Effimera vittoria: il giorno successivo il fronte venne ricostituito. Gli austro-ungarici erano allo stremo; in novembre la Prima Guerra Mondiale sarebbe finita.
Vera Brittain, crocerossina volontaria, in quella campagna perse il fratello e il fidanzato Roland Leighton. Il colpo per lei fu durissimo. A guerra finita reagì raddoppiando il suo impegno civile come femminista e come scrittrice. I suoi saggi Testament of Youth, Chronicles of Youth e Letters from a Lost Generation ebbero notevole fortuna. Su suo fratello, Vera scrisse: «Oh Edward, sei così solo, perché non posso rimanere a far compagnia alla tua tomba per sempre, su questo altopiano dove vi è pace e dignità, lontano dal mondo e dagli sforzi inutili di ricostruire la civiltà?». Quando Vera morì, nel 1970, dispose che le sue ceneri fossero sparse intorno alla tomba del fratello a Granezza.
Questa è la storia, ma al di là della storia ci sono i luoghi. Mi ha aiutato a scoprirli Romeo Covolo, scialpinista e storico dell’altipiano. I luoghi sono di eccezionale bellezza, a circa 1.100 metri di quota, con alternanza di pascoli e foreste di abeti e un prodigioso sottobosco di felci, muschi e licheni. Un silenzio profondo, ovattato.
«Siamo riusciti a conservare il nostro territorio – dice il sindaco di Asiago Roberto Rigoni Stern – sia dalla speculazione sia dal turismo invasivo. Qui, invece, rimane per ora un turismo rispettoso, capace di apprezzare la quieta bellezza di queste montagne».
Quieta bellezza in contrasto con l’inferno che i Sette Comuni conobbero durante la guerra. Emilio Lussu lo raccontò in Un anno sull’Altipiano. Dove ora crescono boschi, un tempo era terra nuda: gli alberi erano stati abbattuti per avere visibilità sulle posizioni nemiche. Restano trinceramenti, edifici di pronto intervento, il Forte Corbin – acquistato e restaurato dalla famiglia Panozzo – oggi museo a strapiombo sulla valle, memoria delle condizioni tattiche e logistiche in cui la guerra fu combattuta.
Asiago. Il cimitero inlese di guerra a Granezza con la tomba di Edward Brittain
Oltre un secolo dopo, la natura si è ripresa il suo spazio. Della Grande Guerra è rimasto il mito, studiato dallo storico Mario Isnenghi nel saggio Il mito della Grande Guerra. Nessun’altra guerra combattuta dall’Italia ha lasciato una memoria così profonda. Lo testimoniano i monumenti ai caduti e il Milite Ignoto nell’Altare della Patria a Roma.
Qui, nei luoghi stessi della guerra, si capisce il sacrificio richiesto ai soldati – spesso contadini del Mezzogiorno – che non sapevano nemmeno dove si trovassero. Trincee, fango, baionette, quasi certezza della morte. A Roana, vicino ad Asiago, il Museo della Guerra racconta le condizioni di combattimento.
Oggi, con la guerra tornata attualità, toccare con mano la sua disumana ferocia è un potente monito contro l’indifferenza alimentata da ottant’anni di pace.
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