venerdì 8 agosto 2025

Il Berlusconi postumo


Alessandro De Angelis
Dai magistrati allo Stretto, il governo postumo del Cav

La Stampa, 8 agosto 2025

Proprio così: ogni quindici giorni c’è una dedica a Silvio Berlusconi. Arriva pure sul Ponte sullo Stretto, da Matteo Salvini, che, scimmiottandolo, si è già esibito più volte coi plastici da Bruno Vespa. Plaudono, in sua memoria, i presidenti delle due Regioni interessate: Renato Schifani, uno degli autori dei tanti “lodi” per garantirgli l’immunità ai bei tempi, e Roberto Occhiuto che, fresco di indagine per corruzione, si appresta a trascinare la Calabria al voto contro i giudici.

Tutto molto berlusconiano, come la riforma della Giustizia, dedicata pure quella al Cavaliere, che giunge al traguardo dopo la realizzazione del resto del suo programma: abolizione dell’abuso d’ufficio, revisione del traffico di influenze, stretta sulle intercettazioni. Anche la premier parla come lui contro le toghe che «hanno un disegno politico» e chi vorrebbe abbatterla «per via giudiziaria». Ci manca solo la nipote di Mubarak, ma Giorgia Meloni già la votò, da ministro di quell’ultimo governo, assieme a parecchi altri protagonisti di questa stagione, da La Russa a Giorgetti, Santanchè, Urso, Crosetto, Casellati e tutti i forzisti, Fitto che ora è in Europa.

In assenza di edonismo e cene eleganti ci sono, in compenso, una ventina di condoni, come allora, ministri e sottosegretari indagati, scandali locali, occupazione delle tv, su cui il governo ieri si è beccato una bella procedura di infrazione dell’Ue. Anche senza l’epopea dell’editto bulgaro, ma il risultato è lo stesso. E se ci fosse Niccolò Ghedini, l’indimenticabile avvocato del Cavaliere, sarebbe orgoglioso di vedere applicato quotidianamente il suo metodo da Dottor Stranamore (come lo apostrofò Gianfranco Fini): la forzatura giuridica per risolvere i problemi politici e giudiziari. È quel che accade sull’Albania: siccome non si può dire che il modello del paese terzo non funziona, ci si infila nelle fumisterie dei cavilli che poi franano sulla realtà. E lo stesso accade sul caso Almasri, ove il testimone dell’azzeccagarbugli lo ha ereditato Carlo Nordio, che ora si interroga su come estendere lo scudo alla sua capa di gabinetto. Bastava mettere il segreto di Stato ravvisando sulla questione un tema di sicurezza nazionale, e chiusa la pratica. Invece, così facendo, si è scelto di riaccendere il conflitto coi giudici. Inconsapevolmente o forse consapevolmente, alla ricerca di un nemico per dare un racconto a un governo immobile.

Insomma, pare il “Berlusconi postumo”, quantomeno nell’evocazione, questo Meloni 1. Altro che rivoluzione contro il vecchio. La furia iconoclasta si è dissolta in un immaginario predicato, e in un andazzo praticato, che è un usato sicuro, in un Paese avvezzo al «quando c’era Lui». Certo, di Lui, mancano talento e arcitalianità guascona che gli è valsa trent’anni di connessione sentimentale con l’Italia. Però, comunque, emularlo e nominarlo, dopo averlo già commemorato come padre della patria, torna utile anche per parlare ai moderati, ora che Trump va gestito con cautela perché mette i dazi e i moderati li fa incazzare, Orban è troppo filo-russo, Bolosonaro è condannato ai domiciliari. E poi, diciamocelo, è molto più semplice inglobare Berlusconi da morto che da vivo, come maschiaccio alfa che negozia ai tavoli. Da vivo, diciamoci pure questo, ai baldi giovani che scalpitavano per sostituirlo nel ruolo di guida stava anche un po’ sulle scatole. Insomma, menomale che Silvio c’era.

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