Al Meeting di Rimini l’abisso tra Meloni e Leone XIV
La differenza tra un principiante e un politico abile è che il primo agita rosari in piazza, il secondo parla di Guitton, Elliot e Frassati al Meeting di Rimini. Ma, in entrambi i casi, che imbarazzo.
Che imbarazzo anzitutto da giurista, per certi slogan disseminati nell’autocelebrazione di Giorgia Meloni. Ma poi che imbarazzo da credente. Confesso, sì, che ho provato un certo disagio a sentire un capo di governo – che pure, in un passaggio parla di «separazione tra stato e chiesa» – parlare di beati e di santi.
Ma poi, mi ha imbarazzato il chiaro posizionamento ecclesiale della premier. Nessuna citazione di papa Leone: solo un rapidissimo riferimento alla politica come «forma più alta di carità». Formula ormai usurata, che risale a Paolo VI, se non addirittura a Pio XI. Ovviamente, neanche l’ombra del predecessore, papa Francesco, di cui non si vedeva l’ora di un’accurata damnatio memoriae.
Nulla di Benedetto XVI, che pure di politica ha scritto tanto, e che generalmente è ascritto alla lista dei conservatori; ma la verità è che Benedetto era un’intelligenza troppo fine per potersene appropriare senza controindicazioni.
L’unico papa che si cita, ovviamente, è Giovanni Paolo II. Un po’ perché pure la premier soffre di idealizzazione del tempo della sua gioventù – starei per scrivere giovinezza, ma purtroppo ormai sarebbe così scontato. E un po’ perché tra tutti i papi recenti è a lui che sembra andar meglio il figurino identitario che fa comodo alla narrazione di Meloni. Tanto lui è morto da troppo tempo per potersi alzare a smentire.
E poi il colpo da professionista, a non lasciare margini di ambiguità sul proprio collocamento: la citazione, sul tema dei migranti, di quel «grande uomo di chiesa come il cardinale Robert Sarah». Al lettore la pazienza di una rapida ricerca sul web per conoscere di più delle posizioni del «grande uomo di chiesa»; difficile farne qui una sintesi efficace. Ma non vi spaventate troppo.
Il messaggio di Leone
Lo slogan del Meeting di quest’anno era “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”, ma l’impressione è che i mattoni nuovi che ha in mente Meloni siano diversi da quelli che ha in mente anche Leone XIV.
Andatevi a leggere il messaggio che il papa, a firma del segretario di Stato, ha inviato a Rimini. Lì «l’amato papa Francesco» è citato, ed eccoli i mattoni nuovi che indica Leone: «Senza le vittime della storia, senza gli affamati e gli assetati di giustizia, senza gli operatori di pace, senza le vedove e gli orfani, senza i giovani e gli anziani, senza i migranti e i rifugiati, senza il grido di tutta la creazione non avremo mattoni nuovi».
I mattoni di Meloni sono quelli tutt’altro che nuovi di un identitarismo di stampo suprematista e colonialista, in senso lato. Peraltro, pieno di contraddizioni. Da un lato, si denuncia «un’epoca nella quale si vorrebbe omologare tutto» e si critica «chi pensa che sia possibile modellare la realtà sulla base delle proprie convinzioni», dall’altro – e questo è un passaggio chiave – Meloni dice che costruire con mattoni nuovi vuol dire «saper calare nel proprio tempo il proprio sistema di valori». Il che va proprio nella direzione dell’omologazione e dell’adattamento della realtà alle proprie convinzioni.
L’esatto opposto di quello che chiede Leone nel suo messaggio: lasciare che sia la realtà a “inquietare” il proprio sistema di valori. «Autentico realismo è quello che include chi ha un altro punto di vista, vede aspetti della realtà che non si riconoscono dai centri di potere dove si prendono le decisioni più determinanti». «Negare le voci altrui e rinunciare a comprendersi sono esperienze fallimentari e disumanizzanti. Ad esse va opposta la pazienza dell’incontro con un Mistero sempre altro, di cui è segno la differenza di ciascuno».
Martino e l’imperatore
Il discorso di Meloni ha il sapore ferente di una roccia dura, immobile, gelida. Quella di papa Leone – nel suo stile, del resto – è invece una roccia dalle infinite striature, composta da millenni di sovrapposizioni, consumate dal vento e dal sole, come nel deserto di Giuda. (Mentre Meloni parla di «mattoni che sappiano resistere ai venti di quell’epoca, che sappiano resistere alle sue tempeste»). «Dio è roccia nel senso della bellezza. Chi si innamorerebbe di una verità immobile? Dio non è immobile» (Angelo Casati, Sconfinamenti, 2024).
In questi giorni è uscito un libro, La dottrina sociale della Chiesa, di John Joeph Lydon McHugh (Castelvecchi Ed.), che porta una preziosa prefazione dell’allora cardinal Robert Francis Prevost: «L’indottrinamento è immorale; si chiude a nuove riflessioni perché rifiuta il movimento, il cambiamento o l’evoluzione delle idee»; «nelle questioni sociali è più importante sapersi avvicinare che dare una risposta affrettata»; «la dottrina sociale della chiesa non può pretendere di essere una risposta universalmente accettabile». Che abisso tra i mattoni nuovi di Meloni e quelli di Leone XIV.
C’è una bella canzone di Claudio Chieffo, amico della prima ora di don Luigi Giussani, che dice così: «Tu non credere mai all’imperatore». Se lo ricordino anche quelli di Rimini, anche se a questo giro è un’imperatrice.

Nessun commento:
Posta un commento