Mario Monti: "L'Ue ha perso, serviva più coraggio. Il campo da golf la Canossa di Ursula
Francesco Munafò
La Stampa, 1 agosto 2025
« Secondo me la partita sui dazi è persa, anche se è ancora aperta», dice Mario Monti. L’ex primo ministro, che da commissario europeo osò stangare Microsoft, parla alla rassegna PiazzAsiago, intervistato da Alessandro De Angelis e David Parenzo. Ecco i passaggi chiave. «Il nostro interlocutore storico, gli Stati Uniti, a differenza di tutte le altre negoziazioni, ha affrontato questa prova con baldanza e con il desiderio di essere temuto. Per questo modo dilettantesco di fare politica lo abbiamo un po’ deriso per sei mesi… e poi abbiamo chinato il capo. Questo avrà conseguenze molto negative per l’Europa, e non sono sicuro che nel medio-lungo termine ne abbia di positive per gli Stati Uniti. Ma l’Europa ha malamente perso questa sfida, validando il metodo bullistico del presidente Trump nel gestire le relazioni internazionali».
Secondo lei Ursula von der Leyen ha sbagliato la gestione oppure era ostaggio delle richieste dei governi europei?
«Abbiamo il dovere di criticare sia la Commissione europea – e la sua presidente, che io tantissime volte ho sostenuto – sia i governi nazionali, alcuni in particolare».
Per quale motivo dobbiamo criticare la Ue?
«Sarebbe bello che l’Europa potesse eliminare il diritto di veto in alcune materie, come la politica estera o quella fiscale. Allora sì che si farebbe valere. Ma se c’è un campo in cui gli Stati membri, tradizionalmente e giuridicamente, non dico siano assenti, ma lo sono molto meno che in altri, è quello del commercio internazionale. Sono due e mezzo i campi in cui, nel tempo, l’Unione ha fatto il balzo nella concessione di potere. Uno non è gestito dalla Commissione, ma dalla Banca centrale europea. L’altro e mezzo è invece gestito dalla Commissione: la politica della concorrenza e, ribadisco, il commercio internazionale, soprattutto la materia dei dazi. Da parte mia c’è una certa tristezza: abbiamo perso la possibilità di usare come si deve uno strumento di policy quasi federale».
Perché?
«In questi giorni è stato ricordato quando, durante la Commissione Prodi, abbiamo avuto grandissimi confronti con le imprese americane. Attenzione: George W. Bush era meno temerario, visionario e “caligolesco” del suo epigono attuale. Però, ridendo e scherzando, è uno che ha scatenato due guerre».
In un’intervista a La Stampa, Prodi ha ricordato che, con lui presidente della Commissione e lei Commissario alla Concorrenza, siete riusciti a multare Microsoft. Non era facile.
«Anche allora c’erano diversi Stati membri che ci dicevano di non scherzare con gli Stati Uniti. Noi siamo andati oltre le forti obiezioni di quei governi. E lo abbiamo fatto».
Oggi che cosa avrebbe fatto? Minacciato una guerra commerciale? Una global tax sui colossi del web?
«Posso dire cosa suggerirei in questo momento alla Commissione, perché – come dicevo – la partita non è chiusa. Io credo che l’unico punto su cui Trump e gli Usa abbiano ragione sia la questione degli oneri per la difesa europea. Il modo in cui, di colpo, ci siamo prestati a promettere di passare dal 2 al 5 per cento è stato un po’ rocambolesco, ma su questo l’America ha ragione. Alcuni di noi lo dicono da anni. Ci siamo indeboliti in tutte le materie, e lo vediamo oggi con i dazi, perché abbiamo affidato la nostra difesa pensando che mai più si sarebbe posto un problema di guerra attorno all’Europa. E non considerando che, prima o poi, gli Stati Uniti ci avrebbero detto: “Ragazzi, ma dobbiamo pagare tutto noi?”».
E quindi?
«La mia tesi è che, anche se gli Stati Uniti decidessero di continuare da soli, noi non possiamo più permetterci di affidare la nostra sicurezza a un Paese la cui politica internazionale è stravagante e volatile, e di cui non possiamo a priori fidarci. Non farei marcia indietro su quello che l’Europa ha promesso al vertice della Nato, quello no. Però su tutto il resto mi metterei con puntiglio. In quella stessa occasione si è svolto il G7 e faticosamente e con anni di lavoro, l’Occidente - che qualcuno pensa sia una cosa eterna - aveva fatto un accordo sulla minimum global tax, con cui tutte le imprese multinazionali dovrebbero pagare almeno il 15%. I sei non americani del G7 hanno largheggiato, con buona predisposizione psicologica verso Trump. Io mi sono informato all’Ocse: “C’è o non c’è una dichiarazione formalizzata?”-. Mi hanno spiegato che c’è un accordo politico, un po’ come quello che sul piovoso green della Scozia, in una nuova localizzazione di Canossa, una signora europea è andata a portare a un signore americano che era proprietario di quel terreno. Dunque l’Europa, il Giappone e il Canada non firmino quella cosa che non c’è ancora. Le democrazie liberali che si trovano a disagio ad accettare le sopraffazioni dovrebbero creare un’alleanza».
E la reazione del governo Meloni?
«Non vorrei che credessimo che davvero Meloni e gli altri abbiano a cuore l’interesse nazionale. È mai possibile che l’Italia abbia tre interessi nazionali a seconda di chi parla? Mi aspettavo più coraggio. Il potere politico è al servizio della collettività, non degli interessi di alcune categorie. Oggi quindi non darei sussidi».
Italia e Germania hanno frenato di più sull’ipotesi dei contro-dazi. Che ne pensa?
«Su questo tema metto sullo stesso piano Friedrich Merz e Meloni, che finiranno forse dalla stessa parte politica. Merz può considerare il settore dell’auto di interesse nazionale, mentre in Italia l’idea per cui si è battuta il nostro governo favorendo l’appeasement nei confronti degli Stati Uniti per far soffrire meno la nostra industria non ha funzionato. Si è continuato a narrare che l’uomo più potente del mondo asseconda una certa parte politica dell’Italia e dell’Europa e che quindi al suo servizio l’Italia può avere un ruolo strategico».
Che ruolo ha il Pnrr?
«Dopo il Covid il Pnrr era nato per alimentare la resistenza e la crescita italiana facendo investimenti strutturali: non dovremo bere la tesi che l’industria italiana è cosi importante che dopo che il governo ci è passato sopra dovremo usare i soldi dei cittadini. Sarei totalmente contrario a far pagare ai contribuenti il conto di una incauta e cinica politica europea sui dazi».
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