giovedì 7 agosto 2025

Tutto l'inconscio del mondo


Andrea Cortellessa
Incredibile quanta roba ci stia in una vita, se cominci a riordinarla, la frittata è fatta
La Stampa, 23 ottobre 2021

«Non è colpa di nessuno, caro Ingegnere, se lei e mio padre avevate tutti e due una madre matta». Così Lietta Manganelli s’è rivolta a Gadda, ricordandone la mitobiografica sfuriata contro suo padre Giorgio, reo di Hilarotragoedia l’anno dopo La cognizione del dolore: fra loro troppo simili, secondo qualcuno, perché fosse un caso. Oggi sappiamo che si erano composte l’una indipendentemente dall’altra: sicché la spiegazione è quella di Lietta. Socialgossip recente favoleggia di simili baruffe tra due dei nostri maggiori narratori, e allora sarà bene che precisi: difficile pensare a due altri scrittori più diversi di Ugo Cornia e Andrea Bajani ma, se questi non fosse la persona di mondo che è, qualcosa da ridire potrebbe avere sul titolo La vita in ordine alfabetico: pensando ai propri racconti usciti nel ’15 col titolo La vita non è in ordine alfabetico.

Dietro a quel libro c’era un modello dichiarato di euritmica armonia, i Sillabari di Parise; mentre quelli dell’anti-armonico Cornia non sono neppure «racconti». Semmai voci di un Dizionario della mia vita la cui «idea» aveva da un pezzo: «anche per vedere quale “mia vita” ne sarebbe saltata fuori». Perché «è incredibile quanta roba ci stia in una vita», roba la più varia e disordinata immaginabile: mentre man mano che a quella vita pensa chi la scrive, volente o nolente, finisce per darle un ordine. A quel punto la frittata è fatta, e siamo in piena autobiografia.

A dispetto dell’ostentata bêtise, Cornia lo sa bene: e scantona dall’«infrastruttura logica» del genere autobiografico (solo in apparenza casuale l’invettiva contro Agostino, che il genere ha inventato), che tutte ’ste robe «armonizzi e le renda funzionali a una specie di destino»: mentre «l’eventuale destino forse lo si vede a posteriori, essendosi ormai perso tutto il ciarpame di cui felicemente siamo fatti». La vita in ordine alfabetico è allora il bidone aspiratutto che contiene «tutto l’inconscio del mondo, cioè tutte quelle microscosse continuate tra te e il mondo».

Nessuna gerarchia, allora, fra la morte dei genitori (nerissima stella polare, primo motore immobile attorno al quale, da sempre, lentissimo ruota il cosmo di Cornia) e il prurito di una zecca allo scroto; tra le mille «disubbidienze civili» che oppone alle «violenze esterne che la mia testa deve subirsi per forza stando a bagno nel mondo» e le esperienze di morte in vita del «corpo disanimato», «pura pila di roba materiale che casca su se stessa»; fra la filosofica «potenza» della «donna nuda» e il calcolo accurato di quanti escrementi producano i maiali di Formigine.

Come ben sa ogni vero pigro, però, per evitare di lavorare – nella fattispecie, di elaborare il proprio lutto che è scriversi la vita – si fa una fatica bestiale. E così tutte queste robe, preso da «altri sviluppi più appassionati e immediati della sua vita», Cornia le aveva sempre trascurate. Gliele mette sotto gli occhi la più scontata delle occasioni: nel lockdown, come altri riordinano casa, Ugo riordina la sua vita. Tanto che, col suo infantile «amore delle catastrofi», si augura che la reclusione si protragga quanto basta per finire, già che c’è, pure due romanzi. Poi però il successivo «regime di mezza galera» lo innervosisce e basta: «sarà per la prossima pandemia».

Il lavoro consiste nell’organizzare queste «storie fatte di niente» nella struttura più esteriore e casuale. Tutti i libri di Cornia sono mere rubriche che danno ordine tematico ai suoi pensieri arcidivaganti, ma in questo caso non c’è un tema: il tema è l’assenza di tema, la stravaganza, l’inutilità narrativa di ciascun episodio, evidenziato dalla non-consequenzialità dell’ordine alfabetico appunto. Se per gli altri scrittori sono digressioni con cui abbellire la loro trama avvincentissima, gli aficionados di Cornia, che di trame non sanno che farsene, è solo alle digressioni che badano: un po’ come l’ornamento che, nell’architettura barocca, si fa struttura. Sono «cose che mi ricordo ancora perché non le capivo e quindi mi si sono impresse in testa», epifanie di nulla luccicanti di un senso potenziale, «miracoli potenziali di provincia»; esemplari le pp. 121-124, omaggio alle Condizioni di luce sulla via Emilia del maestro Celati.

Proprio Celati ha scritto del «potenziale» Georges Perec che ha insegnato a «aderire alla vita qualsiasi, ai cibi qualsiasi, alle chiacchiere da bar, alle visioni del banale quotidiano». E davvero somiglia al Perec «minore» dell’Infra-ordinario, di Mi ricordo e Sono nato, questo Cornia quintessenziale, oltranzistico. La vita in ordine alfabetico è come La vita, istruzioni per l’uso cui siano state sottratte, appunto, le istruzioni. Una volta ha detto Cornia che «il Duomo di Modena per me è talmente lì dov’è e dove è sempre stato che non saprei neanche dire se è bello». Lo stesso si può dire di lui: è talmente lui, in questo libro, che viene solo da abbracciarlo.

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