venerdì 1 agosto 2025

La destra punta al Quirinale

Stefano Folli
Conte-Schlein, duello a sinistra

la Repubblica, 1 agosto 2025

Chi nelle ultime settimane ha seguito con qualche attenzione il dibattito a sinistra, non si sarà sorpreso degli ultimi sviluppi tra Pesaro e Milano. Nelle Marche Giuseppe Conte ha fatto quello che aveva lasciato intuire. Nonostante gli avvisi di garanzia e le polemiche, ha confermato la fiducia nel candidato alla Regione, Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro. Avrebbe potuto fare rotolare la sua testa nel solito paniere dei ghigliottinati, ma l’epoca grillina del “Vaffa day” è finita, forse per sempre. In ogni caso Conte ha imboccato una strada diversa, a costo di scontentare il settore più intransigente del popolo anti-casta, quello che è sempre pronto a comandare il plotone d’esecuzione.

Tuttavia oggi l’ex premier è diventato l’uomo che distingue e soppesa a seconda delle circostanze, confermando quanto poco sia stato in passato un “grillino” autentico. Lo è stato per convenienza quando non era abbastanza forte per opporsi al vecchio padre-padrone. Ora è tutta un’altra storia: Conte resta un maestro di opportunismo, ma in una prospettiva diversa. Riassumibile così: nelle Marche salva il candidato Ricci; a Milano, dove sono scattati gli arresti domiciliari per lo scandalo edilizio, lascia il sindaco Sala al suo destino; a Firenze non garantisce nulla al presidente uscente Giani in cerca di conferma; a Napoli assiste alla resa dei conti interna al Pd sulla successione a De Luca.

Qual è il comune denominatore di queste situazioni? Tutti i personaggi in prima linea appartengono al Pd, il partito di Elly Schlein: vale a dire che è soprattutto la segretaria di quel partito ad avere qualcosa da perdere. Quindi ad aver bisogno di alleati solidi e se possibile leali, è ancora lei. Fratoianni Bonelli sono leali ma non abbastanza solidi. Calenda e Renzi vorrebbero uno spazio e un ruolo, ma sono ancora in cerca d’identità — rispetto al centrosinistra, s’intende. Conte potrebbe essere la spalla ideale per il Pd, ma non ha alcuna intenzione di recitare quella parte. Al tempo stesso non intende essere lui quello che affosserà il famoso “campo largo”. Il campo che qualcuno ieri ha salutato come in via di consolidamento grazie all’appoggio confermato a Ricci. Si tratta probabilmente di un abbaglio. Non perché Conte voglia tornare al passato remoto, punto che si può escludere. Ma per la buona ragione che si aspetta molto, forse troppo, da Elly Schlein.

La vera ambizione di Conte, non lo scopriamo oggi, è ritrovare la “leadership” dell’intero centrosinistra ed esercitarla con un adeguato consenso. Il sacrificio di deludere un po’ di Cinque Stelle oltranzisti può essere compensato solo così: strappando al Pd la guida sostanziale della coalizione “progressista”. Il che significa ricevere l’investitura per il ritorno a Palazzo Chigi, una volta vinte le elezioni politiche. Prospettiva, bisogna ammetterlo, al momento piuttosto nebulosa all’orizzonte. Ma un politico sa essere tenace, quando ha un traguardo da raggiungere. La vera domanda a questo punto è quasi obbligata: perché Elly Schlein dà l’impressione di essere inerte? Quasi sempre la segretaria si fa battere sul tempo (si tratti di Gaza, dell’Ucraina, del rapporto con Trump) dal suo furbo concorrente. Quasi sempre agli elettori arriva l’immagine di un capo dei 5S che sa agire e soprattutto parlare — un’orgia di parole — in modo tempestivo, a nome di tutta l’alleanza.

Vuol dire molto. Alle regionali, se la sinistra vince, si dovrà dire che il merito principale è del M5S. Se perde, si vorrà dimostrare che è dipeso dalla debolezza del partito egemone. Incapace peraltro di esercitarla, questa egemonia. La vicenda di Pesaro, e in parallelo quella di Milano, segna uno spartiacque. Vedremo nelle prossime settimane. In fondo nelle Marche si vota fra meno di due mesi e sarà un voto molto politico.


Paolo Mieli
Voto 2027, la partita di Pd e M5S

Corriere della Sera, 1 agosto 2025

Tra meno di due anni si terranno in Italia le elezioni politiche più importanti di questo inizio del terzo millennio. Importanti? Fondamentali, dal momento che il Parlamento che uscirà dalle urne avrà il compito di eleggere il successore di Sergio Mattarella. Successore che, nel caso di vittoria di Giorgia Meloni, potrebbe essere il primo presidente della Repubblica di centrodestra (attualmente, per una serie di motivi anche di carattere internazionale, la personalità che ha maggiori chance è Giancarlo Giorgetti). Sulla carta, il centrosinistra guidato da Elly Schlein gode di più opportunità di quante gliene vengano accreditate ma molto dipende dal sistema elettorale (se si riuscirà a metterlo a punto) e da quanto questa eventuale nuova legge offrirà al Pd l’opportunità di divincolarsi — pur restando alleato — dal M5S.

Giuseppe Conte, infatti, si sta rivelando un giocatore eccezionale capace di tenere sulla corda i compagni di strada come non è mai riuscito a nessuno. Soprattutto se si tiene conto dei rapporti di forza tra i due partiti (il Pd, stando ai sondaggi, ha quasi il doppio dei consensi della formazione che appartenne a Beppe Grillo). Solo nella giornata di ieri, Conte ha dato luce gialla a Matteo Ricci come candidato nelle Marche dopo averlo sottoposto alle sofferenze e alle umiliazioni di un esame spietato.

Poi ha chiesto le dimissioni di Beppe Sala da sindaco di Milano imputandogli un far west edilizio prima ancora che i magistrati abbiano accertato sue eventuali responsabilità. Quindi ha dichiarato che correre, in Toscana, assieme a Eugenio Giani è per lui un «sacrificio notevole» e che comunque «decideranno i territori» (formula che nel linguaggio della sinistra significa tenersi le mani libere). Infine, ha affermato di non essere disponibile a nessun «mercimonio» in Campania dove il governatore uscente, Vincenzo De Luca, non ha nascosto la propria disistima nei confronti di Roberto Fico, ex presidente pentastellato della Camera e, al momento, candidato ufficiale della sinistra. Per poi concludere — parliamo sempre di Conte — sostenendo che un’alleanza «organica» con il resto della sinistra è, allo stato delle cose, «impossibile».

I poveri piddini hanno deglutito il tutto. Devono aver introiettato un complesso di inferiorità che li induce a sentirsi costretti a rincorrere i seguaci di Conte su ogni terreno: si autoimpongono di ritrattare quel che avevano detto sulla «divisione delle carriere» dei magistrati, di attenuare i precedenti giudizi su Vladimir Putin e Donald Trump, di rinunciare a ogni sfumatura nel giudizio sulla crisi di Gaza, di incolpare di ogni male quell’ursula von der Leyen che pure hanno votato. E non è che l’inizio. Il tutto mentre, sull’altro versante, provano a costruire un’improvvisata formazione centrista a cui dovrebbe essere affidato l’ingrato compito di riequilibrare lo sbilanciamento a sinistra di cui si è detto. Impresa ardua, destinata presumibilmente a concludersi con un nulla di fatto e, in extremis, con la supplica a Carlo Calenda di entrare a far parte della compagine che si contrapporrà alla Meloni.

Giorni fa su queste pagine, rispondendo al lettore Enzo Bernasconi, Aldo Cazzullo si è mostrato oltremodo perplesso circa la possibilità che, date tali premesse, Pd e M5S possano correre assieme alle prossime elezioni politiche. A meno che il partito di Schlein scavalchi quello della Meloni e sia in grado di dettar legge come accade nel centrodestra (dove le divisioni non sono minori di quelli che affliggono il fronte progressista). Gli argomenti di Cazzullo erano tutti, dal primo all’ultimo, oltremodo condivisibili e convincenti. Eppure, è difficile immaginare che i partiti del centro e della sinistra,

La scadenza

Tra meno di due anni si terranno elezioni politiche fondamentali, quel Parlamento dovrà eleggere il successore di Sergio Mattarella

nel maggio del 2027, si candidino divisi come fecero nel settembre del 2022. E si immolino in questo modo ad una più che probabile sconfitta. Il Parlamento che sarà eletto nel ‘27, ripetiamo, avrà il compito di scegliere il nuovo capo dello Stato. E, cosa ancora più importante, le elezioni che si terranno tra meno di due anni dovranno dimostrare che da qualche parte d’europa (o del mondo) può essere interrotto quel generale scivolamento a destra che sembra scritto — tranne rare eccezioni — nel destino dell’intero Occidente.

Forse gioverebbe che Schlein sapesse integrare in tempi rapidi il gruppo dirigente del suo partito. Con personalità (prevalentemente femminili) più forti, più simili a lei quantomeno per determinazione, pur eventualmente con opinioni diverse dalle sue. Gioverebbe altresì che Conte, dimostrata la sua indiscutibile abilità, rinunciasse a vincere qualche mano della complicata partita in atto. Lasciasse a Bonelli e Fratoianni il compito di rappresentare la sinistra-sinistra e tornasse ad essere il duttile capo di governo che seppe accettare più di un compromesso.

Quel che è certo è che, a furia di mettere nel sacco i Ricci, i Sala, i Giani e forse anche i De Luca, farà (forse) aumentare i voti del movimento di cui si è conquistato l’eredità, ma si ritroverà alla prossima legislatura sui banchi dell’opposizione. A festeggiare, assieme ai compagni di cordata, quello che, a questo punto, passerebbe alla storia come il decennio meloniano.

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