Robert Graves
Addio a tutto questo
Traduzione di Annalisa Carena
Piemme, Casale Monferrato 2005 [1929]
Dunn mi fece visitare il fronte. La linea del battaglione era lunga circa ottocento metri. Ogni compagnia ne teneva duecento, con due plotoni davanti e due nella linea di supporto, un centinaio di metri più indietro. Mi presentò i sergenti di plotone - in particolare il sergente Eastmond, al quale disse di fornirmi tutte le informazioni che volevo - poi se ne tornò a dormire, chiedendo di essere svegliato immediatamente se ci fosse stato qualche problema. Mi fu affidata la responsabilità della linea. Dato che il sergente Eastman era occupato con una squadra di lavoro, andai in giro da solo.
Gli uomini della squadra di lavoro - che avevano il compito di sostituire le traverse, o sostegni di sicurezza, della trincea - mi guardarono con curiosità. Stavano riempiendo di terra dei sacchetti e li impilavano come strati di mattoni, alternandone uno di punta e uno di fianco e poi appiattendoli con i badili. Le sentinelle stavano alla banchina di tiro agli angoli delle traverse, battendo i piedi e soffiando sulle mani. Di quando in quando scrutavano oltre il parapetto per qualche istante. Due squadre, ognuna composta da un sottufficiale e due uomini, erano piazzate nelle postazioni d'ascolto della compagnia, collegate alla trincea del fronte da una trincea d'approccio [camminamento] lunga una cinquantina di metri. La linea del fronte tedesca si stendeva a circa trecento metri di distanza. Dai cubicoli ricavati nelle pareti della trincea e protetti da sacchetti di sabbia giungeva il russare di uomini addormentati.
Salii sulla banchina di tiro accanto alla sentinella e sollevai la testa con circospezione, guardando oltre il parapetto. Non si vedeva nulla tranne i picchetti di legno che reggevano i nostri reticolati e un paio di macchie scure di cespugli più avanti. Le tenebre sembravano muoversi e ondeggiare mentre le osservavo; i cespugli cominciarono a spostarsi, prima singolarmente, poi insieme. I picchetti fecero lo stesso. Ero contento di avere la sentinella accanto a me; si presentò come Beaumont. "sono calmi stanotte, signore", disse. "Ci deve essere un avvicendamento, per forza".
"È buffo come quei cespugli sembrino muoversi", dissi.
"Già, giocano degli strani scherzi. È la prima volta che viene in trincea, signore?"
Un razzo illuminante tedesco partì, esplose in una fiammata luminosa, ricadde lentamente e si infilò sibilando nell'erba appena oltre la nostra trincea, rivelando i cespugli e i picchetti. D'istinto mi mossi.
"Non lo faccia, signore", disse Beaumont, mentre un proiettile di fucile parve passare crepitando proprio in mezzo a noi. "Stia fermo e non la vedranno. Certo che un razzo è un bel guaio se ti cade addosso. Li ho visti fare un buco in un uomo".
Passai il resto del mio turno di guardia a familiarizzare con la geografia di quella sezione di trincea, scoprendo quant'era facile perdersi tra vicoli ciechi e camminamenti in disuso. Per due volte finii oltre la linea del fronte della compagnia e mi ritrovai tra i Munster Fusiliers, alla nostra sinistra. Feci passare l'ordine di allerta lungo la linea. "Allerta, allerta", sussurrarono con voce roca i sottufficiali nei ricoveri, e gli uomini ruzzolarono fuori con i fucili in mano.
Giani Stuparich
Guerra del '15
Einaudi, Torino 1961 [1931]
La trincea è fatta nel suo scheletro, i soldati riposano lungo il parapetto seduti, qualcuno appoggia il braccio alla vanghetta. È il primo momento in cui si pensa come s'adoprerebbe il fucile; nasce la sensazione del nemico forse vicino, forse addirittura nascosto dietro quei campi di granturco. Siamo avanzati nel silenzio sacro, come conquistatori primitivi, misurando a vasti passi la terra incontrata, intrepidi nella vergine conquista. Ed ora invece siamo vulnerabili, perché abbiamo scavata la trincea ed ogni corpo ha lavorato per il suo riparo. L'incantesimo è rotto: il nemico che può assalirci e contro cui andiamo cauti, esiste, si precisa, è fatto come noi.
https://www.artegrandeguerra.it/2012/02/agg-n-6-marzo-2012-1.html
Jean Bernier
La percée
Agone Comeau&Nadeau, Marseille Montréal 2000 [1920]
Favigny comprit qu'on approchait; son coeur battit plus fort. Ils longèrent la route durant quelques centaines de mètres, obliquèrent à gauche. La plaine, ancien champ de blé, était nue, sans un arbre. Soudain, devant eux, à vingt mètres à peine, un bourrelet noir semblait jaillir du sol, courir à droite, à gauche, indéfiniment.
C'était la tranchée.
Des formes humaines en sortaient lourdement, comme d'une fosse et, dans de brefs colloques, dans des cliquetis de métal, gamelles heurtées, va-et-vient de baïonnettes, s'assemblaient et filaient vers l'arrière par petits groupes égaillés sur la plaine.
Le sergent Allard, supérieur immédiat de Favigny, venait à lui:
- Sautez d'dans, Favigny; cinquante mètres à droite, cinquante mètres à gauche, v'là votre secteur. La moitié de garde. Vous, arrangez-vous avec Borchard, le caporal de la 10e pour qu'y en ait toujours un dehors jusqu'au jour.
L'escouade avait déjà sauté, les têtes et les épaules s'agitaient aux pieds de Favigny. Il sauta à son tour, maladroitement, et se sentit aussitôt prisonnier de la terre.
Devant lui, un remblai peu élevé qui ne l'empêchait pas de voir monter vers le ciel une pente noire. A droite, obstruant la tranchée, un abri où l'escouade entassait ses sacs. Il alla y déposer le sien. Un large pont de branches recouvertes de terre était jeté sur la tranchée; Quatreboeufs et Plumas s'occupaient à masquer, avec deux toiles de tente, les orifices de cet étroit couloir où, perdus dans la paille, Métayer, Fabre et le père Ignac roupillaient déjà.
Plumas et Quatreboeuf, ayant terminé l'installation des toiles de tente, remontèrent sur la plaine rien qu'avec leurs fusils et leurs cartouchières et se perdirent dans la nuit, l'un à droite, l'autre à gauche.
Favigny avait confiance en eux.
Lui resta sur place et s'accouda, guettant de toutes ses forces. Il n'en croyait pas ses yeux, ni surtout ses oreilles. L'absence du moindre coup de feu le stupéfiait. Un désappointement immense le vidait de toute pensée. Quoi! La guerre, ce n'était que ça!
Il cherchait de tous côtés matière à gloire, à "sa" gloire. Il ne trouvait rien. Il eut enfin une idée précise autour de laquelle tourna sa veille abasourdie: comme il ne voulait pas mentir, qu'allait-il écrire à l'"arrière"?
A force de tendre l'oreille, il entendit chez l'"ennemi" le pas sourd d'un cheval sur une route et le cliquètement clair d'un moyeu. Bientôt même, ce bruit cessa et il souffrit plus que jamais de la tyrannie de son ignorance et de l'absence de toute vérité.
Favigny capì che ci si stava avvicinando; il suo cuore batté più forte. Costeggiarono la strada per alcune centinaia di metri, piegando a sinistra. La pianura, una volta campo di grano, era nuda, senza un albero. All'improvviso, davanti a loro, a soli venti metri di distanza, un budello nero sembrava sbucare dal terreno, correndo a destra, a sinistra, indefinitamente. Era la trincea. Forme umane ne uscivano pesantemente, come da una fossa e, in brevi colloqui, tra tintinnare di metallo, scodelle sbattute, va-e-vieni di baionette, si assemblavano e filavano all'indietro in piccoli gruppi sparsi sulla pianura. Il sergente Allard, superiore immediato di Favigny, veniva da lui: - Ci salti dentro, Favigny; cinquanta metri a destra, cinquanta metri a sinistra, ecco il vostro settore. La metà di guardia. Lei si metta d'accordo con Borchard, il caporale della decima, perché ce ne sia sempre uno fuori fino al giorno. La squadriglia era già saltata, le teste e le spalle si agitavano ai piedi di Favigny. Egli stesso a sua volta saltò, goffamente, e si sentì subito prigioniero della terra. Davanti a lui, un terrapieno poco elevato che non gli impediva di vedere salire verso il cielo una pendenza nera. A destra, a bloccare la trincea, un riparo dove il plotone ammassava i suoi sacchi. Andò a deporre il suo. Un largo ponte di rami ricoperti di terra era gettato sulla trincea; Quatreboeufs e Plumas si occupavano di mascherare, con due tele da tenda, gli orifizi di questo stretto corridoio dove, persi nella paglia, Métayer, Fabre e papà Ignac erano già in pieno sonno. Plumas e Quatreboeuf, dopo avere installato le tele di tenda, risalirono in piano solo con i loro fucili e le loro cartucce e si persero nella notte, uno a destra, l'altro a sinistra.. Favigny aveva fiducia in loro. Lui rimase sul posto e si accovacciò, restando in allerta con tutte le sue forze. Non credeva ai suoi occhi, né soprattutto alle sue orecchie. L'assenza della più piccola fucilata lo sbalordì. Un disappunto immenso lo svuotava di ogni pensiero. Cosa! La guerra, era solo questo! Cercava dappertutto materia di gloria, per la "sua" gloria. Non trovava nulla. Ebbe finalmente un'idea precisa attorno alla quale si arrovellò la sua veglia stordita: dato che non voleva mentire, cosa avrebbe scritto a "quelli di fuori"? A forza di tendere l'orecchio sentì dalle parti del "nemico". il passo sordo di un cavallo e il chiaro tintinnio di un mozzo. Ben presto quel rumore cessò ed egli soffrì più che mai per la tirannia della sua ignoranza e per l'assenza di ogni verità.

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