la
statua ai piedi del Campidoglio
Giuliano
Procacci
Storia degli italiani
Laterza, Bari 1998 (1968)
Strana città la Roma del
Medioevo! Il suo aspetto era quello di un grosso agglomerato tra
urbano e campagnolo, ben lontano dalle dimensioni e dalla densità di
insediamento umano delle grandi città dell’Italia settentrionale e
centrale, per non parlare di quelle dell’antica metropoli imperiale
che pur era stata, come attestavano le rovine di cui il suo modesto
paesaggio era costellato. Dal punto di vista dell’organizzazione
politica Roma aveva anch’essa i suoi organi e le sue magistrature
di autogoverno cittadino,che si fregiavano anzi di nomi illustri; ma
chi in essa effettivamente deteneva il potere erano le potenti casate
e fazioni feudali, prima fra tutti quelle dei Colonna e degli Orsini
che, con le loro masnade, spadroneggiavano nelle vie cittadine e in
più di un’occasione costrinsero il papa ad abbandonare la città.
Eppure da questa città
partivano le scomuniche e alla volta di essa calavano gli imperatori
in cerca della corona. E vi erano giornate in cui i cittadini romani
avevano la sensazione che la loro città fosse tornata ad essere
veramente il centro del mondo: al giubileo del 1300, indetto da
Bonifacio VIII, migliaia e migliaia di pellegrini vi si erano
riversati, sino a gremire le sue strade al punto che sotto il peso
della folla un ponte era crollato. Poi vi era stata la calata del
Bavaro, con il suo pittoresco seguito e la inconsueta cerimonia in
Campidoglio di cui abbiamo parlato. Si direbbe quasi che Roma
medievale vivesse una doppia vita, quella umile e plebea di tutti i
giorni e quella delle grandi occasioni e delle solennità.
Figlio di questa Roma e
partecipe della sua doppia natura fu Cola di Rienzo, uno dei
personaggi più singolari della storia italiana. Figlio di un oste e
di una lavandaia, allevato tra i contadini della Ciociaria, egli fu
uomo di gusti plebei e istintivi e tale rimase anche al culmine della
sua singolare carriera. Quando, giunto al termine della sua fortuna,
fu impiccato per i piedi, tutti rimasero colpiti dalla sua smisurata
grassezza. “Pareva uno smisurato bufalo ovvero vacca a macello” –
scriveva un anonimo cronista romano.Gli è che il potere era stato
per lui anche un mezzo per sanare la sua antica fame popolana: “prese
colore e sangue – ci informa ancora l’anonimo romano – e meglio
manicava e meglio dormiva”. Eppure quest'uomo nutriva un affetto
genuino per la sua città ed era sinceramente e appassionatamente
convinto che la sua missione fosse quella di restituirle quella
dignità che essa aveva perduto. Da giovane egli si era nutrito di
letture classiche e si era aggirato inquieto tra le vestigia dei
monumenti romani invocando le ombre dei grandi del passato: "Dove
sono questi buoni romani? Dove enne loro summa iustizia? ... poterame
trovare in tiempo che questi fussi".
Questa singolare mistura di
estroversione e di allucinazione, questo suo sonnambulismo, questa
sua dotta ignoranza che piacque tanto agli intellettuali, questa
combinazione di ingenuità e di megalomania spiegano, assieme alla
presa che continuava a esercitare sugli animi il mito di Roma, la sua
straordinaria ed effimera avventura.
Còla di
Rienzo. - Tribuno e riformatore di
Roma (Roma
1313 - ivi
1354).
Figlio di un Lorenzo taverniere, benché più tardi lasciasse credere
d'essere figlio illegittimo dell'imperatore Arrigo VII, Nicola si diede
agli studî e alla professione di notaio, ma insieme si interessava ai
monumenti e alla storia dell'antica Roma. Alla fine del
1342, inviato ambasciatore ad
Avignone per invitare il
papa Clemente VI
a far ritorno a Roma, ne ottenne il favore, se non il ritorno, e la
carica di notaio della Camera Capitolina. Dopo il rientro a Roma
nell'estate del
1344, resosi sempre più popolare e guadagnatosi anche il favore del vescovo di Orvieto, Raimondo, vicario papale
in spiritualibus, fu eletto il
20 maggio
1347
tribuno e liberatore dello stato romano. Obbligò allora i potenti
baroni a sottomettersi, e cercò di legare a sé i comuni e i signori
italiani, specialmente quelli umbri e toscani. Con fastosa cerimonia il
1º ag.
1347 assunse i titoli di
candidatus Spiritus Sancti miles,
Nicolaus severus et clemens,
liberator/">liberator urbis,
zelator Italiae,
amator orbis et tribunus augustus.
Il fantastico suo reclamare per Roma la dignità di capitale del mondo,
pur dichiarando di non voler attentare ai diritti della Chiesa,
insospettì Clemente VI; l'ostilità del pontefice, la freddezza e la
diffidenza di alcuni comuni italiani, la rivolta dei baroni, soprattutto
colonnesi, scossero la posizione di C. che dovette fuggire. Rifugiatosi
tra gli eremiti della
Maiella, s'imbevve di profetismo escatologico, e con nuovi programmi imperiali si recò a
Praga (luglio
1350),
per esporli a Carlo IV. Arrestato come sospetto d'eresia
dall'arcivescovo di quella città, fu tradotto ad Avignone, e quindi
liberato per intercessione di Carlo IV, dell'arcivescovo stesso e del
Petrarca, suo ammiratore (sett.
1353). Dal nuovo papa, Innocenzo VI, fu inviato allora in
Italia, perché con la sua influenza appoggiasse il restauratore dello
stato pontificio, Egidio Albornoz. Nominato senatore di Roma, entrò come trionfatore nella città il
1º agosto
1354.
Ma errori da lui commessi, per un'esaltazione che parve follia, di
nuovo gli alienarono la popolarità e cadde ucciso in un tumulto. La
breve esperienza di C., per avere espresso suggestivamente il trapasso
dai miti universalistici medievali di Impero e Chiesa verso ideali, più
moderni, di un Impero che avesse nel
populus romanus (inteso
come nazione italiana) il suo centro, e di una Chiesa realizzatrice di
valori più spirituali, è stata da taluni storici intesa più creatrice di
storia di quanto in realtà non sia stata, anche per il fatto che si
intrecciò con l'esperienza petrarchesca certo più determinante nella
storia della cultura. (Treccani.it)
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il busto al Pincio |
Cola di Rienzo: mito e rivoluzione nei
drammi di Engels, Gaillard, Mosen e Wagner: 1837-1846: con la ristampa
del testo di Friedrich Engels 'Cola di Rienzi' (1841)
Battafarano, Italo Michele (2006) Cola
di Rienzo: mito e rivoluzione nei drammi di Engels, Gaillard, Mosen e
Wagner: 1837-1846: con la ristampa del testo di Friedrich Engels 'Cola
di Rienzi' (1841). Labirinti. Testi e Ricerche di Germanistica =
Texte und Forschungen zur Germanistik / a cura di = herausgegeben von
Italo Michele Battafarano; 94.1 . Trento: Università degli Studi di
Trento. Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Filologici. ISBN
978-88-8443-148-6
Abstract
Sollecitati dal romanzo Rienzi. The Last of the Roman Tribunes (1835)
dell’inglese Edward George Bulwer-Lytton, quattro giovani autori
tedeschi elaborano in forme teatrali la figura del tribuno Cola di
Rienzo (1313-1354) e la sua rivoluzione a Roma durante l’assenza dei
Papi, in cattività ad Avignone dal 1304 al 1377, mentre la città è
vittima della tirannia della nobiltà. Questi drammi – Cola Rienzi (1837)
di Julius Mosen; Cola di Rienzi (1841) di Friedrich Engels; Rienzi, der
Letzte der Tribunen (1842) di Richard Wagner; Cola Rienzi (1846) di
Carl Gaillard – riportano all’attenzione la libertà e l’uguaglianza come
ideali della rivoluzione, la legalità e la giustizia sociale come
fondamenti del nuovo ordine sociale in una cornice costituzionale, il
pericolo del ritorno della restaurazione e quello della trasformazione
del tribuno in tiranno. Rivelando originalità nella costruzione
drammatica, nell’elaborazione della concettualità politica e nella
scelta metaforica, questi quattro autori tedeschi scrivono un capitolo
importante di storia civile europea, attraverso un esempio italiano.
Essi contribuiscono così in maniera decisiva alla creazione di una
mitologia popolare ancora oggi molto produttiva: Cola di Rienzo, figura
eroica della letteratura tedesca, è il visionario propugnatore di una
nuova Roma repubblicana, fondata su libertà e giustizia, protagonista
carismatico della Rivoluzione, vittima, infine, di meschine rivalità e
del conflitto che si sviluppa tra affetti privati e interesse pubblico,
dopo la conquista del potere. "Mi paiono notevoli gli spunti di
riflessione che l’autore suggerisce sul rapporto tra storiografia e
letteratura, ovvero tra la ricostruzione storica e l’elaborazione
immaginifica di un accadimento o di un personaggio. […] Osserva
giustamente Battafarano: “Se, pertanto, è senza dubbio vero che Engels,
Wagner, Mosen e Gaillard con le loro opere drammatiche non offrono nulla
che possa servire agli storici odierni del medioevo, è però altrettanto
vero che essi dicono molto allo storico che si accinga a studiare la
Germania dell’Ottocento” (p. 23), e chiude il capitolo con una notevole
sentenza: “La letteratura è la rappresentazione della storia
dell’umanità rivisitata continuamente nel mito” (p. 25). Il rapporto tra
storia e letteratura si presenta dunque come uno dei temi profondi del
libro." Tommaso di Carpegna Falconieri, "il 996: rivista del Centro
Studi Giuseppe Gioachino Belli".