Giuseppe
Ceretti
Hiroshima, cronaca della
moderna Apocalisse
Il Sole 24ore, 7 febbraio
2008
Non
è solo il sonno della ragione che genera mostri, non è solo l'odio
razziale che spinge l'umanità verso il baratro. C'è anche una cupa
e agghiacciante razionalità che percorre le vie del Male e semina
morte in nome di un Bene presunto. Tale fu l'olocausto nucleare
scatenato il 6 agosto 1945 quando un bombardiere americano scaricò
l'atomica su Hiroshima. Kenzaburo Oe, premio Nobel per la letteratura
nel 1994, ripercorre il cammino della moderna apocalisse. Note su
Hiroshima è un saggio che si presenta sotto la forma di un racconto
rivolto a tutti noi, al mondo, che non solo ha dimenticato, ma che
pensa all'incubo nucleare come a qualcosa scacciato per sempre
dall'orizzonte dell'umanità. Oe si è recato più volte a Hiroshima
tra il 1963 e il 1965. Gli appunti di viaggio ricavati sono stati poi
pubblicati a puntate dalla rivista Sekai e raccolti ora in un volume.
Le cronache di quel tempo ci restituiscono intatta la memoria
dei dimenticati, gli hibakusha. Chi sono costoro? Letteralmente
"coloro che sono stati colpiti dal bombardamento". I
giapponesi coniarono il neologismo preferendolo a sopravvissuti o
superstiti, termini che potevano suonare offensivi nei confronti dei
defunti. Perché l'autore si decise a radunare i suoi scritti? C'era
una ragione evidente: farsi parte attiva nella lotta al riarmo
nucleare e promuovere la realizzazione di un libro bianco sui danni
della bomba atomica. Quel mobilissimo intento si è trasformato in
uno straordinario percorso dentro l'uomo:
"A Hiroshima
sono riuscito per la prima volta a impugnare una chiave che mi ha
permesso di scrutare a fondo l'autenticità umana. E, sempre a
Hiroshima, ho avuto modo di cogliere gli aspetti più imperdonabili
della mistificazione di cui l'essere umano è capace".
C'è
una specificità che fa dell'olocausto giapponese un unicum nella
storia. Hiroshima evoca la catastrofe finale causata dalla mutazione
delle cellule e dunque degli esseri umani in qualcosa di mostruoso; è
l'avvisaglia della fine del mondo e dell'estinzione della razza umana
in quanto tale. In un libro pubblicato nel 1950, e di fatto
boicottato, sono raccolte le straordinarie testimonianze della
condizione umana dopo il bombardamento. Il titolo è l'unione di due
parole giapponesi, pika, ovvero il bagliore e don,
ovvero il fragore. Oe trascrive da Pikadon la testimonianza di una
giovane donna, una hibakusha.
"Il muro di cemento che si
ergeva davanti ai miei occhi era pieno di grossi squarci. Mi ci
avvicinai perché mi sembrava che alla sua base vi stessero
accoccolate delle persone scure come ombre… Erano quasi
completamente nude e se ne stavano immobili una accanto all'altra;
avevano la faccia e il corpo tutti gonfi e dello stesso colore
brunastro, come lo avessero fatto apposta per assomigliarsi. Tra
queste persone ce n'era una che non ci vedeva più. E poi ne notai
subito un'altra che teneva in grembo un bambino dalla schiena con la
pelle che pendeva tutta staccata, simile a una nespola marcita e
privata della buccia. D'istinto tolsi lo sguardo. Quelle persone non
accennavano a muoversi e continuavano a restarsene in silenzio, quasi
che esse fossero sospese fra la vita e la morte".
Sono
proprio gli hibakusha, i dimenticati del 6 agosto 1945, i veri
protagonisti. Kenzaburo Oe squarcia il velo su un'umanità dolente,
stretta tra il diritto al silenzio e il bisogno di testimonianza:
"Hiroshima è un unico, immenso sepolcro a ogni angolo di
strada". Nella città martire l'autore incontra quanti, con il
loro eroismo quotidiano, hanno permesso di costruire basi
medico-scientifiche alla lotta contro un mostro che si era presentato
quella mattina d'estate con la mortale perfidia di corpi intatti, ma
giù svuotati dalle radiazioni.
Gli eroi di Kenzaburo Oe sono i
medici come Shigeto Fumio, direttore dell'ospedale della Croce Rossa,
anch'egli colpito dalle radiazioni, instancabile non solo nell'opera
di soccorso, ma nella costruzione della memoria scientifica di questa
moderna e sconosciuta peste: "Ci vollero sette anni di
scrupolose ricerche solo per determinare le prime certezze
statistiche riguardo al legame tra radiazioni e leucemia".
Gli
eroi di Kenzaburo Oe sono le persone comuni, lavoratori e
intellettuali, come il vecchio filosofo Maritaki che, morente,
pronuncia parole di speranza, poi tradite, in una moratoria mai
davvero realizzata. Il racconto riflette l'immagine di una città
sconvolta nel normale ciclo della vita, ma proprio qui, confessa Oe
"ho scoperto il significato pieno dei concetti di umiliazione,
vergogna e dignità".
Tutti noi che siamo scampati solo per
caso all'olocausto atomico, è l'invito dell'autore, impariamo a
considerare Hiroshima come parte intrinseca del Giappone e del mondo
intero, cioè di noi stessi: "L'immane potenza di quell'arma
malefica è stata mitigata dagli sforzi di quanti non hanno mai
smesso di lottare alla ricerca di una pur minima speranza in un mare
di disperazione, intravedendo il bene al di là dei confini del
male".
E quindi uscimmo a riveder le stelle. L'ultimo verso
dell'Inferno della Divina Commedia chiude la prefazione
dell'appassionato libro di Kenzaburo Oe. E' una nota di speranza
dell'autore, nonostante ogni evidenza contraria, arricchita da un
singolare quanto toccante elogio all'edizione italiana. "La
pubblicazione di Note su Hiroshima in italiano, una lingua che sa
esprimere la speranza dopo il dolore in un modo così incantevole,
costituisce per me un motivo di straordinaria gioia".
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Kenzaburo
Oe
Note su Hiroshima
Traduzione di Gianluca Coci
Editrice
Alet
pagg. 224
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