tag:blogger.com,1999:blog-33680070311474917952024-03-18T19:54:04.228+01:00belfagorpolitica e culturaGiovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.comBlogger1355125tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-18373293081768573132024-03-11T14:52:00.001+01:002024-03-11T14:52:11.239+01:00Non basta l'ammucchiata<p> </p><p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieCNqDarZRMRXI5UM1uDBinRaTVshkc4Uqj2O9fwEQBtmVRP8WDI3dooDrkLCluJkkXqMN4VhnGZnMtP7blu-Pw7LNteJmT4V-J5ERbDQtO5aKWmF4nwDA56fOqRsBUIWFZwqZ7KxLPbbRrWm_iNytA7u9mkVaqO_l2-ZdKkVzYQtyFDc1YfiCe476itI/s1200/med-1200x630-27-1200x630.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="630" data-original-width="1200" height="210" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieCNqDarZRMRXI5UM1uDBinRaTVshkc4Uqj2O9fwEQBtmVRP8WDI3dooDrkLCluJkkXqMN4VhnGZnMtP7blu-Pw7LNteJmT4V-J5ERbDQtO5aKWmF4nwDA56fOqRsBUIWFZwqZ7KxLPbbRrWm_iNytA7u9mkVaqO_l2-ZdKkVzYQtyFDc1YfiCe476itI/w400-h210/med-1200x630-27-1200x630.jpg" width="400" /></a></div><br /><p></p><p><b>Massimo Franco</b>, <i>Il messaggio per i leader</i>, Corriere della Sera, 11 marzo 2024<br /></p><p>... Forse non è cominciato il logoramento del governo, ma di certo si sta
esaurendo la luna di miele. Sotto questo aspetto, i segnali che arrivano
da Sardegna e Abruzzo possono rivelarsi salutari, se analizzati con
freddezza e lucidità. Vale per le opposizioni ma ancora di più per il
governo. Agendo e parlando come se fosse ancora minoranza, e usando a
tratti un lessico poco presidenziale, la premier non trasmette il
messaggio più efficace. E fingere che le cose vadano benissimo e che i
ministri della destra stiano dando un’ottima prova, significa velare
perplessità diffuse non solo nell’elettorato ma perfino a Palazzo Chigi.
Di nuovo, il vantaggio è che sul versante opposto campeggiano sigle in
concorrenza, se non in conflitto tra loro. I risultati delle ultime
consultazioni, però, dicono che i vuoti si riempiono e le contraddizioni
si diplomatizzano, e nel modo più imprevedibile. La domanda, semmai, è
se l’unità di opposizioni così eterogenee reggerà a una sconfitta.</p><p><b>Stefano Lepri</b>, <i><span>Abruzzo: la sconfitta e il futuro del “campo largo”</span></i><span>, Appunti, Substack, 11 marzo 2024<br /></span></p>
<p style="text-align: justify;">Il centrodestra ha vinto le elezioni
regionali in Abruzzo con Marco Marsilio, confermato con un netto
successo del 54 per cento. Quali sono le conseguenze sul cosiddetto
campo largo (dal PD ai Cinque stelle ai centristi) che sperava di veder
ribadita la possibilità di presentarsi come alternativa, dopo il
successo in Sardegna?</p>
<p style="text-align: justify;">Dipende dalla prospettiva.</p>
<p style="text-align: justify;">Se fossi Giuseppe Conte sarei un po’
preoccupato, per due ragioni. La prima: i Cinque stelle in Abruzzo sono
tracollati rispetto al 2019, che era il loro momento d’oro, al governo
con la Lega, sull’onda dell’ascesa populista.</p>
<p style="text-align: justify;">All’epoca i Cinque stelle avevano preso
in Abruzzo 118.000 voti a sostegno di un loro candidato, oggi, in
coalizione con il PD e gli altri dietro Luciano D’Amico, appena 40.000.
Questa è una crisi ormai cronica del Movimento, e non c’è da stupirsi,
ma mette in difficoltà il progetto della coalizione.</p>
<p style="text-align: justify;">Anche perché il PD, invece, recupera
gran parte dei consensi, probabilmente proprio dai Cinque stelle e passa
da 67 mila a 120 mila voti.</p>
<p style="text-align: justify;">Questa è la seconda ragione di
preoccupazione, se fossi Conte: non soltanto il leader del Movimento si
deve confrontare con un tracollo, ma anche con la ripresa del suo
alleato-competitor.</p>
<p style="text-align: justify;">Questa dinamica crea una percezione
drasticamente diversa della sconfitta tra PD e M5s. Il PD perde, ma
rinasce rispetto ai Cinque stelle.</p>
<p style="text-align: justify;">Per Conte è una sconfitta su tutta la
linea, che scommetto porterà a due considerazioni: si vince in
coalizione solo quando il candidato è dei Cinque stelle (vedi Alessandra
Todde in Sardegna), si perde negli altri casi, ma – andando verso
elezioni europee con sistema proporzionale – nei prossimi 2-3 mesi
converrà enfatizzare la competizione con il PD piuttosto che il
potenziale di coalizione.</p>
<p style="text-align: justify;">Per il PD è una sconfitta meno amara,
perdere raddoppiando quasi i voti può comunque essere un risultato
tattico accettabile, di sicuro è una sconfitta più dolce di quella del
2019 quando il PD schierava un peso massimo come Giovanni Legnini,
uscito ammaccato dal voto.</p>
<p style="text-align: justify;">La segretaria del PD Elly Schlein ha
dimostrato di essere piuttosto pragmatica nel rapporto con i bizzosi
Cinque stelle, non prova ad affermare la propria supremazia (anche
perché il Pd, a livello nazionale, non stacca di molto il Movimento) ma
si adatta al contesto.</p>
<p style="text-align: justify;">Dunque, come può usare in senso
costruttivo la sconfitta abruzzese? Io vedo una sola opzione: puntare,
quando possibile, su candidati unitari che siano davvero terzi rispetto
ai due partiti, per evitare che qualcuno possa intestarsi le vittorie e
addebitare agli altri le sconfitte.</p>
<p style="text-align: justify;">Se PD e Cinque stelle, ma anche con
Azione, Verdi e sinistra e gli altri, vogliono costituire una
alternativa di governo, devono formare una coalizione. E nelle
coalizioni serve qualche collante, qualche elemento – e personaggio – di
sintesi.</p>
<p style="text-align: justify;">Non può essere un progetto nel quale c’è una costante competizione interna a somma zero tra Conte e Schlein.</p>
<p style="text-align: justify;">Vent’anni di centrodestra insegnano che
la competizione interna ai partiti di una coalizione è vitale, perché
permette di trattenere i delusi del partito egemone che affluiscono a
quello emergente nello stesso schieramento, ma servono perimetri chiari
che evitino il deflusso verso l’astensione.</p>
<p style="text-align: justify;">Il centrodestra ha costruito quel
perimetro intorno alla forza del leader dello schieramento, prima Silvio
Berlusconi e ora Giorgia Meloni. Il centrosinistra, nella sua storia,
ci è riuscito solo quando ha identificato un federatore sopra le parti,
Romano Prodi.</p>
<p style="text-align: justify;">E questo federatore ancora non c’è, ma
se non si trova – e con lui (o lei) non si costruisce un progetto
politico che permetta di cooperare e competere insieme – l’Abruzzo sarà
soltanto l’anteprima di più cocenti sconfitte.</p><p> </p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-90142796182244245372024-03-09T13:11:00.007+01:002024-03-09T13:11:50.377+01:00Una clamorosa lavata di capo. Lenin e Terracini<p> </p><p style="text-align: center;"> <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbid3wZVubM4UerdUtbfyw120V3Aee8uRKtmlmeRDKEwTPhEGw0ce9uEu11ajgNlqFhY-aV285lp2F0NNWQt_H7HBTqILMkMAP3Es8C7j73-eav5lL4djMvEzVdW0KxMKgmin5Pbbha-jDlsLnTknrOXuvG6eMCRJIMPGfu9PICHRvHXexeGCqrx7gMIA/s850/i__id6605_mw600__1x.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="850" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbid3wZVubM4UerdUtbfyw120V3Aee8uRKtmlmeRDKEwTPhEGw0ce9uEu11ajgNlqFhY-aV285lp2F0NNWQt_H7HBTqILMkMAP3Es8C7j73-eav5lL4djMvEzVdW0KxMKgmin5Pbbha-jDlsLnTknrOXuvG6eMCRJIMPGfu9PICHRvHXexeGCqrx7gMIA/s320/i__id6605_mw600__1x.jpg" width="226" /></a></p><p><br /><b>Claudio Rabaglino</b>, <i>Umberto Terracini. Un comunista solitario</i>. Introduzione di Aldo Agosti. Donzelli, Roma 2024, pp. 270.<span class="price"><span class="sale"> <br /></span></span></p><p>L’intransigenza di Bordiga si manifesta soprattutto nella gestione
dei rapporti con l’Internazionale comunista, da subito decisamente conflittuali. Le
deliberazioni della casa madre sono ampiamente criticate quando ritenute
inapplicabili alla realtà italiana16. </p><p>Un primo serio attrito
avviene in occasione del III Congresso dell’Internazionale, svoltosi
nell’estate del 1921. L’oggetto del contendere è rappresentato dalle
Tesi sulla tattica elaborate da Radek; esse, prendendo atto delle
oggettive difficoltà che l’offensiva rivoluzionaria sta attraversando in
tutta Europa, propongono una riorganizzazione del movimento comunista
che punti a costruire un’alleanza transitoria con le forze socialiste,
il cosiddetto “fronte unico”, pur non rinunciando all’obiettivo della
conquista della maggioranza delle masse lavoratrici. </p><p>Il Pcd’I non
condivide questa impostazione, giudicandola, non del tutto a torto,
contraddittoria rispetto agli indirizzi precedenti della stessa Ic, che
solo sei mesi prima aveva di fatto imposto la scissione17. </p><p>Terracini
figura tra i membri della delegazione italiana che prende parte al
Congresso. Si tratta della sua prima visita alla “patria del
socialismo”. L’evento, così importante per la vita di un militante,
viene vissuto con comprensibile grande emozione. L’entusiasmo,
ampiamente condizionato dalla forza che il mito sovietico esercita su
ciascun comunista, è forte già durante il lungo viaggio in treno,
svoltosi in buona parte sulla celebre linea Transiberiana. Esso aumenta
man mano che ci si avvicina a Mosca, attraversando le varie stazioni
intermedie, le quali, “affollate di contadini che offrivano in vendita
[…] uova, latte, pollame”, davano ai viaggiatori “una impressione
fallace di abbondanza”. Una volta messo piede sul territorio sovietico,
prova sensazioni molto forti, tipiche di chi ha realizzato un sogno: “Ci
sentivamo pervasi da un sentimento […] di gioia […] come di chi abbia
raggiunto un agognato traguardo di vittoria […]. Vedevamo attorno a noi
il nostro ideale fatto[si] […] realtà”18. </p><p>Tornando al Congresso,
spetta proprio a Terracini esprimere tutte le perplessità del partito
italiano. Già prima dell’inizio dei lavori, riportando le sue prime
impressioni sulle riunioni preparatorie alle quali ha assistito, si
mostra molto scettico sugli indirizzi che si stanno per assumere,
spingendosi a formulare un giudizio drastico sulla dirigenza dell’Ic, i
cui principali esponenti, compreso Lenin, avrebbero ormai “enormemente
poggiato a destra”19. </p><p>Viste tali premesse, non stupisce che il
suo intervento sia molto critico verso la linea del Comintern. La
prevedibile emozione di prendere la parola al cospetto dello stato
maggiore bolscevico, nella cornice sontuosa della Sala del Trono del
Cremlino, non gli impedisce di partire subito all’attacco delle Tesi di
Radek, le quali, pur disciplinatamente approvate, ritiene meritevoli di
“sostanziali modifiche”. Parlando anche a nome di alcune delegazioni di
altri partiti, tra cui la tedesca, Terracini espone quelle che sono al
momento le posizioni più oltranziste e “di sinistra” del movimento
comunista, che prevedono il mantenimento della prospettiva
rivoluzionaria. Anche la conquista della maggioranza del proletariato è
messa in discussione, poiché l’azione rivoluzionaria può concretizzarsi a
prescindere dalle dimensioni del partito che la guida, come è
dimostrato dall’esperienza sovietica, dove quella bolscevica altro non
era che “una piccola e relativamente insignificante organizzazione”20. </p><p>Il
discorso di Terracini provoca l’immediata, durissima, reazione di
Lenin, che bolla le sue parole come “sciocchezze «di sinistra»”, contro
le quali si impone “una azione offensiva”, onde evitare che il movimento comunista sia “condannato alla rovina”21. Il leader sovietico demolisce una per una le affermazioni
del malcapitato Umberto: “Chi non capisce che in Europa […] dobbiamo
conquistare la maggioranza della classe operaia […] non imparerà mai
nulla”; né ha molto senso tirare in ballo il fatto che in Russia la
rivoluzione abbia trionfato nonostante le dimensioni ridotte del partito
bolscevico: “Il compagno Terracini non ha capito molto della
rivoluzione russa. Noi […] eravamo un piccolo partito, ma avevamo con
noi la maggioranza dei Soviet […] di tutto il paese. E voi? Avevamo con
noi quasi la metà dell’esercito […]. Avete voi forse la maggioranza
dell’esercito?”22. Inoltre, per prevalere è necessario conquistare “non
soltanto la maggioranza della classe operaia”, ma anche quella “degli
sfruttati e dei lavoratori rurali”23. </p><p>Una clamorosa lavata di
capo, resa ancora più umiliante dal fatto che le parole di Lenin vengono
salutate da ripetuti scoppi di ilarità da parte del pubblico. </p><p>È
evidente che il principale intento di Lenin, più che quello di attaccare
personalmente Terracini, sia stato quello di lanciare un segnale
politico ad una parte non trascurabile del movimento comunista che in
quel momento dissentiva; tuttavia il fatto che il suo nome sia
ripetutamente citato conferisce alla cosa una dimensione inevitabilmente
personale. </p><p>Viene da chiedersi cosa mai abbia provato Terracini
nel sentire il padre della rivoluzione, figura mitica agli occhi di ogni
militante comunista, scagliarsi con tanta veemenza contro di lui, se
abbia prevalso l’orgoglio di essere in quel momento l’interlocutore
privilegiato di Lenin, oppure, com’è molto più probabile, se abbia
trascorso il tempo del discorso del capo della rivoluzione, per sua
fortuna piuttosto breve, con prevedibile angoscia, vivendo forse una
delle situazioni più imbarazzanti della sua vita politica. </p><p>L’episodio
sarà ricordato come uno dei momenti topici della sua carriera. Lui
stesso tornerà più volte sull’argomento, talvolta per confessare il
senso di vergogna provato in quei momenti (“ebbi l’impressione […] che
Lenin mi giudicasse uno stupido”24, dichiarerà al giornalista Vittorio
Gorresio), in altre occasioni per accreditare, con una punta di
civetteria, ricostruzioni tendenti ad enfatizzare il suo ruolo nella
vicenda; in un’intervista degli anni Settanta, ad esempio, lascerà
intendere che il suo intervento abbia indotto Lenin a scrivere il famoso
pamphlet <i>L’estremismo, malattia infantile del comunismo</i>25, feroce
critica dell’ala sinistra del movimento comunista. La memoria, in questo
caso, lo tradisce: il volume, infatti, è stato pubblicato nel 1920 e
non può essere, pertanto, una risposta ad un discorso da lui pronunciato
esattamente un anno dopo. </p><p>Oltre a una sua naturale tendenza a
dire sempre quello che pensa, senza curarsi troppo delle possibili
conseguenze, emerge nitidamente, a partire da questa occasione, una
indipendenza di giudizio nei confronti della “casa madre” sovietica,
verso la quale non mostra alcun timore reverenziale. Questo approccio
non fideistico verso la “patria del socialismo”, come vedremo,
continuerà a caratterizzarlo anche in seguito, soprattutto durante la
lunga stagione della leadership staliniana. </p><p>--------------------------------------------------------------------------------------------------- <br /></p><p>16 Su questo vedi J. Humbert-Droz, Il contrasto tra l’Internazionale e
il P.C.I., Feltrinelli, Milano, 1969. 17 Sulla contraddittorietà della
nuova linea, vedi Pons, La rivoluzione globale, cit., p. 46. 18 Un
giovane nella Russia di Lenin, cit. 19 Lettera di Terracini al Ce del
Pcd’I, Mosca, 22-6-1921, IG, APC, Fondo 513, fasc. 37. 20 Discorso di
Terracini al III Congresso dell’Ic, 1-7-1921, testo consultabile alla
pagina
www.international-communist-party.org/Italiano/Document/IC3Congr.htm. <br />18 Un giovane nella Russia di Lenin, cit. <br />19 Lettera di Terracini al
Ce del Pcd’I, Mosca, 22-6-1921, IG, APC, Fondo 513, fasc. 37. <br />20
Discorso di Terracini al III Congresso dell’Ic, 1-7-1921, testo
consultabile alla pagina
www.international-communist-party.org/Italiano/Document/IC3Congr.htm. <br />21 Discorso in difesa della tattica dell’Internazionale comunista,
1-7-1921, in V. Lenin, Opere scelte, vol. VI, Editori Riuniti, Roma,
1975, p. 491. 22 Ivi, p. 493. <br />23 Ivi, p. 498. <br />24 V. Gorresio, Il
solitario del Pci, «La Stampa», 2-8-1975. <br />25 Vedi Un giovane nella
Russia di Lenin, cit. Per una ricostruzione autobiografica
dell’episodio, vedi anche Tre incontri con Lenin, «l’Unità», 21-1-1960.</p><p> </p><p> <a data-auth="Verified" data-linkindex="0" href="https://emea01.safelinks.protection.outlook.com/?url=https%3A%2F%2Fwww.donzelli.it%2Flibro%2F9788855225687&data=05%7C02%7C%7C351623e8f4354c53ef2f08dc3f8db11e%7C84df9e7fe9f640afb435aaaaaaaaaaaa%7C1%7C0%7C638455126689208109%7CUnknown%7CTWFpbGZsb3d8eyJWIjoiMC4wLjAwMDAiLCJQIjoiV2luMzIiLCJBTiI6Ik1haWwiLCJXVCI6Mn0%3D%7C0%7C%7C%7C&sdata=R%2BlUaaCcpLPfNyAnnNRgLv%2FEuyGziHCLLi7vN23OztY%3D&reserved=0" rel="noopener noreferrer" target="_blank" title="Protetto da Outlook: https://www.donzelli.it/libro/9788855225687. Fai clic o tocca per aprire il collegamento.">https://www.donzelli.it/libro/97888552256</a></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-57595865664710637362024-02-26T19:48:00.009+01:002024-02-27T17:19:44.549+01:00L'horloger, una epopea postmoderna in forma di thriller<p> </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgulhddMMb5QsCnCa5vU7wcmQU_O6S1TE3Rky6KB5aqZWjV1h7AA2BdDQH1R9Z8bzeaHcKuqgCpWMGekcZpFN1EEHyH2-aaLq4rcbmmds8Ob3yLiLHfv71mRDwLeFZf9t612e1YBG9ZxCsjaGgaCsWZYYwxlCaCcQNG_HwndpxbUeM-CwygUMtdgFRHj-w/s366/CVT_LHorloger_4099.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="366" data-original-width="250" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgulhddMMb5QsCnCa5vU7wcmQU_O6S1TE3Rky6KB5aqZWjV1h7AA2BdDQH1R9Z8bzeaHcKuqgCpWMGekcZpFN1EEHyH2-aaLq4rcbmmds8Ob3yLiLHfv71mRDwLeFZf9t612e1YBG9ZxCsjaGgaCsWZYYwxlCaCcQNG_HwndpxbUeM-CwygUMtdgFRHj-w/w274-h400/CVT_LHorloger_4099.webp" width="274" /></a></div><br /> <p></p><p></p><p>Jérémie Claes, <i>L'Horloger</i>, <span>Héloïse d'Ormesson, Paris 2014</span></p><p><span>Il libro si presenta come un thriller e a me i thriller in genere non piacciono. Lo apro lo stesso, comincio a leggerlo e mi ritrovo in un quadro che mi è molto familiare. Non per via della trama (che rientra nel quadro formale del thriller), ma per via del testo (il contenuto) che fa pensare a un'epopea fantastica, il genere al quale appartiene l'<i>Orlando furioso</i> dell'Ariosto. Tipica è anche la scelta del linguaggio. Il francese classico non è abbandonato del tutto, ma la scena è dominata da un gergo giovanile e volgare. Il quadro ideologico mi riporta a un ambiente del quale ho fatto parte in passato, l'insegnamento laico organizzato sul suo territorio dal Comune di Bruxelles. Nel libro i valori di fondo restano quelli della modernità, mentre l'apparenza superficiale ha una composizione postmoderna. E postmoderno è l'universo nel quale si collocano gli eventi narrati. Il protagonista</span> Jacob Dreyfus è a sua volta la
quintessenza di un cittadino belga evoluto e laico. Scientia vincere
tenebras, dice il motto dell'Università libera di Bruxelles. Tutto lo scontro messo in scena oppone il bene al male. L'autore ha una bella immaginazione e si scatena a suo piacimento. Thriller
e fantasy mescolati, un po' come nel Signore degli anelli. mentre l' attenzione per il linguaggio fa pensare a Sanantonio, Frédéric Dard. In modo inatteso<span>, </span>il soprannaturale ha un ruolo decisivo nei due campi.
Jacob Dreyfus è ateo, lui e il suo entourage sono degli epicurei. Il
vino è per loro un asse portante della vita. Funziona come la pozione magica in Asterix, permette di superare le difficoltà. I pasti sono passaggi forti, fondamentali dell'esistenza. Cucina francese e italiana.
Gli italiani peraltro sono visti spesso con un occhio favorevole. Le italiane sono addirittura poste in primo piano, italiana è Lucie, la seconda moglie di Jacob Dreyfus, italiana è la donna legata a Solane, il poliziotto che protegge Jacob. Il dialogo occupa molto spazio nel racconto. Jérémie Claes è un uomo di teatro. Si veda anche per questo il ricorso all'agnizione : Dolores-Soledad, Jacob-Cyril. Il nonno di Dreyfus (Alfred)
si chiamava Jacob, qui i genitori vengono da Vichy. L'ebreo ha le sue radici nel cuore della Francia.</p><p>---------------------------------------------------------------------------------------------------- <br /></p><p>Pour moi le
texte est intéressant encore plus que le récit. Le livre contient une
image très saisissante d'un univers postmoderne. Jacob Dreyfus est à son tour la
quintessence d'un citoyen belge évolué et laic. Scientia vincere
tenebras. Le livre met en scène un affrontement entre le bien et le mal.
L'auteur a une belle imagination et s'en donne à coeur joie. Thriller
et fantasy mélangés, un peu comme dans le Seigneur des anneaux, tandis
que l' attention pour le langage fait penser à Sanantonio Frédéric Dard.
L'épopée n' est pas loin, une épopée fantastique qui a un a<span>ncêtre illustre, le <i>Roland furieux </i>(1516). D'une manière inattendue, </span>le surnaturel a un rôle décisif dans les deux camps.
Jacob Dreyfus est athée, lui et son entourage sont des épicuriens. Le
vin est un élément qui pemet de tourne la page, les repas donnent une
signification supérieure à l'existence. Cuisine francaise et italienne.
Les italiens d'ailleurs sont vus d'un oeil favorable. Le dialogue prend
beaucoup de place dans le récit. Jérémie Claes est un homme de théatre. Le recours à l'agnition.
Dolores-Soledad, Jacob-Cyril. Le grand père de Dreyfus (Alfred)
s'appelait Jacob, ici les parents viennent de Vichy. Le juif se situe
par ses origines au coeur de la France. <br /></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-56783812150680431802024-02-19T02:13:00.044+01:002024-02-19T08:47:14.655+01:00José Gotovitch<p><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x1lliihq x1s928wv xhkezso x1gmr53x x1cpjm7i x1fgarty x1943h6x xudqn12 x3x7a5m x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u" dir="auto"><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u x1yc453h"> </span></span></p><p><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x1lliihq x1s928wv xhkezso x1gmr53x x1cpjm7i x1fgarty x1943h6x xudqn12 x3x7a5m x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u" dir="auto"><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u x1yc453h"> </span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgClXIZLwuOAJuuxU5k0pJeYJA14PhW7y_eHNFHbebApBZNDOIWxF4M_tpvSRoLvDiCHHA8WZsFC6qP2PLSsFsmevlvcex3yhdYv_bGn2G8kNARosfMCmnf19YStpO5uXTgwWV-oKlO6P_iz2m67PwDNBOy_CeA_3iQfVQDFDn3IjXcwAQEq5rc1lqfXUM/s1920/92ae5cfef57d9ef9a523753e45fc9b0b-1692271604.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgClXIZLwuOAJuuxU5k0pJeYJA14PhW7y_eHNFHbebApBZNDOIWxF4M_tpvSRoLvDiCHHA8WZsFC6qP2PLSsFsmevlvcex3yhdYv_bGn2G8kNARosfMCmnf19YStpO5uXTgwWV-oKlO6P_iz2m67PwDNBOy_CeA_3iQfVQDFDn3IjXcwAQEq5rc1lqfXUM/w640-h360/92ae5cfef57d9ef9a523753e45fc9b0b-1692271604.jpg" width="640" /></a></div><br /><p></p><p><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x1lliihq x1s928wv xhkezso x1gmr53x x1cpjm7i x1fgarty x1943h6x xudqn12 x3x7a5m x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u" dir="auto"><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u x1yc453h"></span></span></p><p><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x1lliihq x1s928wv xhkezso x1gmr53x x1cpjm7i x1fgarty x1943h6x xudqn12 x3x7a5m x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u" dir="auto"><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u x1yc453h">Un
"mostro sacro" della ULB ci ha appena lasciati. <b>José Gotovitch</b> detto Gotò
è morto. Nato nel 1940, nelle Marolles, rione popolare vicino al centro di Bruxelles, sarà
salvato dalla deportazione grazie alla solidarietà di quartiere durante
una retata e vivrà la guerra dalle parti di Namur come bambino nascosto.
Iscritto nel 1957 alla ULB, partecipa alle attività del Circolo
studentesco comunista. Il giovane attivista è appassionato di
solidarietà e lotta. Nel 1960 lo studente parte per Cuba. Incontrando
laggiù Che e Fidel Castro. Questo incontro gli dà un'aura con le generazioni
che ha formato. Sarà tra i primi a lavorare sulla storia della seconda
guerra mondiale e pubblicherà con Jules Gérard-Libois "L'An 40", libro
che mantiene la sua rilevanza ancora oggi, uno dei bestseller della storia belga. José
diventa quindi un personaggio pubblico, ospite molto regolare di
programmi radiofonici o televisivi. Rinomato specialista della seconda
guerra mondiale, dedicò la sua tesi di dottorato alla resistenza
comunista e diresse CegeSoma, il Centro Federale per gli Studi della
Guerra e della Società. Oltre a dirigere questo centro di eccellenza,
affascinerà generazioni di studenti delle scienze umanistiche e sociali
nel suo grande corso di storia contemporanea. José amava insegnare, era,
secondo le sue parole, "la gioia della sua vita". Ha anche guidato il
seminario di storia contemporanea e ha insegnato ai giovani storici il
metodo, il rigore e la "costruzione" della storia. Insegnare era "il
suo respiro". Per la sua finezza e intelligenza ma anche per la sua
eloquenza ed entusiasmo, José Gotovitch non poteva lasciare
indifferente. Impegnato, rigoroso, lascia un vuoto enorme ma anche
inevitabile lavoro di ricerca.</span></span></p><p><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x1lliihq x1s928wv xhkezso x1gmr53x x1cpjm7i x1fgarty x1943h6x xudqn12 x3x7a5m x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u" dir="auto"><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u x1yc453h"><b>Annemie Schaus</b>, rettrice dell'Università libera di Bruxelles</span></span></p><p><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x1lliihq x1s928wv xhkezso x1gmr53x x1cpjm7i x1fgarty x1943h6x xudqn12 x3x7a5m x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u" dir="auto"><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u x1yc453h"> https://www.journalbelgianhistory.be/nl/system/files/edition_data/articlepdf/ART_Lagrou_Conway_BTNG-RBHC_2019.2-3.pdf<br /></span></span></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-2658794454852824682024-02-18T19:29:00.005+01:002024-02-18T21:03:08.303+01:00Schlein, qualcosa si muove<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikr6jiJ3yyAbjroqpnrW3nvQGdlE3GYUFa1UfUfEOx_d3aOUrKC4iIyBqnoUq68x5v0jay_IsLmbhqBhlN6pllx6kYJT4QUMk9QpjgbZo9QWkC8g7X7upJ4mvy2UELBSxi7qQzxr0JFOTMB4q1Ta8ndHH2F-ugdTyDl3OhGIHxNf3oDwlumRweFMR7Zj4/s656/07pol1-sotto-alessandra-todde.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="492" data-original-width="656" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikr6jiJ3yyAbjroqpnrW3nvQGdlE3GYUFa1UfUfEOx_d3aOUrKC4iIyBqnoUq68x5v0jay_IsLmbhqBhlN6pllx6kYJT4QUMk9QpjgbZo9QWkC8g7X7upJ4mvy2UELBSxi7qQzxr0JFOTMB4q1Ta8ndHH2F-ugdTyDl3OhGIHxNf3oDwlumRweFMR7Zj4/w640-h480/07pol1-sotto-alessandra-todde.jpg" width="640" /></a></b></div><b><br /> Alessandra Todde<br /></b><p></p><p><b> </b></p><p><b>Marina Della Croce</b>, <i>Schlein avvisa i suoi: «La destra è divisa». Nodo terzo mandato</i>, il manifesto, 18 febbraio 2024<i><br /></i></p><div class="ArticleBody"><p>Elly Schlein riunisce la segreteria del
Partito democratico in vista della direzione di domani e invita i suoi a
restare all’erta: «Le divisioni delle maggioranza sono sempre più
evidenti». Il riferimento è allo scontro di questi giorni sul terzo
mandato ma anche alle divaricazioni che emergono sulla politica estera.
La segretaria ha rivendicato «l’avanzamento che il Pd ha fatto fare al
Parlamento con la richiesta del cessate il fuoco in Medio Oriente» e ha
citato gli imbarazzi dei salviniani sulla morte di Navalny: «Le Lega
ieri ha difeso Putin attraverso le dichiarazioni di Crippa a cui abbiamo
reagito – afferma – Per noi le responsabilità di Putin sono forti».</p>
<p><b>IL RESTO</b> della discussione ha riguardato il
congresso del Pse dei prossimi 1 e 2 marzo. Il fatto che i socialisti
europei abbiano scelto Roma per il congresso, che si terrà alla Nuvola
dell’Eur, dimostra che «l’Italia sarà centrale nella sfida tra la nostra
famiglia politica e la destra». Per il Pd si tratta di un
«riconoscimento delle battaglie che il partito e la segreteria Schlein
stanno portando avanti». Durante il congresso verrà anche adottato il
manifesto elettorale del Pse per le europee, anche se le linee politiche
dei diversi partiti fratelli in questi mesi non sono apparse del tutto
coincidenti (si pensi alle diverse posizioni prese dal premier spagnolo
Pedro Sanchez e dal presidente del consiglio tedesco Olaf Scholz). Ma
circola già una bozza di documento al quale Schlein avrebbe contribuito
«in maniera fondamentale» su due punti in particolare: pace e lavoro.
L’occasione non è servita a dirimere la questione su un impegno diretto
della segretaria all’appuntamento elettorale di giugno. «Prima viene la
squadra – ribadiscono dal Partito democratico – Facciamo le liste e poi
valutiamo se è utile una candidatura della segretaria. Nessuno durante
la segreteria di questa mattina ha messo sul tavolo la questione. Il
fatto che ci stia ragionando su non è tatticismo politico, ma una scelta
di metodo».</p>
<p><b>MA LA VICENDA</b> del terzo mandato ha creato tensioni
anche tra i dem. Dalla riunione di ieri tendono a minimizzare. «Il punto
vero è la divisione della maggioranza – dicono – Il Pd non ha i numeri
per decidere, la nostra posizione passa in secondo piano mentre di là
litigano. Quelle della destra sono divisioni, le nostre sono
discussioni. Noi siamo un partito che discute non un partito a
conduzione familiare». Dunque, anche questa discussione si farà proprio
in direzione, coinvolgendo anche gli amministratori locali e «senza
posizioni cristallizzate». La vicenda è rilevante anche perché se, come
al momento sembra, con la destra è divisa si dovesse arrivare alla conta
in commissione affari costituzionali, la posizione assunta dal Partito
democratico potrebbe fare la differenza. Dopo la strage di Firenze,
inoltre, il Pd intende seguire il modello della mozione sul Medio
Oriente e richiamare l’attenzione del governo anche sul tema della
sicurezza sul lavoro «dal momento che palazzo Chigi «ha gli strumenti
per affrontare la questione: non basta più il cordoglio, servono misure
urgenti ed efficaci». Quanto al confronto tv con Giorgia Meloni,
trapelano le seguenti cose: si farà, non si sa ancora su che canale
televisivo, non sarà a brevissimo.
</p><p><b>IERI GIUSEPPE CONTE</b>, impegnato per le regionali per
Alessandra Todde, ha esaltato il modello della coalizione e chiesto che
Schlein compaia al suo fianco su di un palco isolano in occasione della
fine della campagna elettorale: «Sicuramente questo è un esperimento che
ha portato a un progetto serio e credibile – ha detto il leader del
Movimento 5 Stelle – Forze progressiste e civiche che hanno lavorato
intensamente per un programma coeso e obiettivi condivisi». Al Nazareno,
dove si attendono che lo stesso spirito ecumenico emerga anche in altri
territori (in primis il Piemonte), fanno sapere di aver «registrato» la
richiesta dell’avvocato.</p>
</div><div class="ArticleBody"><p>Elly Schlein riunisce la segreteria del
Partito democratico in vista della direzione di domani e invita i suoi a
restare all’erta: «Le divisioni delle maggioranza sono sempre più
evidenti». Il riferimento è allo scontro di questi giorni sul terzo
mandato ma anche alle divaricazioni che emergono sulla politica estera.
La segretaria ha rivendicato «l’avanzamento che il Pd ha fatto fare al
Parlamento con la richiesta del cessate il fuoco in Medio Oriente» e ha
citato gli imbarazzi dei salviniani sulla morte di Navalny: «Le Lega
ieri ha difeso Putin attraverso le dichiarazioni di Crippa a cui abbiamo
reagito – afferma – Per noi le responsabilità di Putin sono forti».</p>
<p><b>IL RESTO</b> della discussione ha riguardato il
congresso del Pse dei prossimi 1 e 2 marzo. Il fatto che i socialisti
europei abbiano scelto Roma per il congresso, che si terrà alla Nuvola
dell’Eur, dimostra che «l’Italia sarà centrale nella sfida tra la nostra
famiglia politica e la destra». Per il Pd si tratta di un
«riconoscimento delle battaglie che il partito e la segreteria Schlein
stanno portando avanti». Durante il congresso verrà anche adottato il
manifesto elettorale del Pse per le europee, anche se le linee politiche
dei diversi partiti fratelli in questi mesi non sono apparse del tutto
coincidenti (si pensi alle diverse posizioni prese dal premier spagnolo
Pedro Sanchez e dal presidente del consiglio tedesco Olaf Scholz). Ma
circola già una bozza di documento al quale Schlein avrebbe contribuito
«in maniera fondamentale» su due punti in particolare: pace e lavoro.
L’occasione non è servita a dirimere la questione su un impegno diretto
della segretaria all’appuntamento elettorale di giugno. «Prima viene la
squadra – ribadiscono dal Partito democratico – Facciamo le liste e poi
valutiamo se è utile una candidatura della segretaria. Nessuno durante
la segreteria di questa mattina ha messo sul tavolo la questione. Il
fatto che ci stia ragionando su non è tatticismo politico, ma una scelta
di metodo».</p>
<p><b>MA LA VICENDA</b> del terzo mandato ha creato tensioni
anche tra i dem. Dalla riunione di ieri tendono a minimizzare. «Il punto
vero è la divisione della maggioranza – dicono – Il Pd non ha i numeri
per decidere, la nostra posizione passa in secondo piano mentre di là
litigano. Quelle della destra sono divisioni, le nostre sono
discussioni. Noi siamo un partito che discute non un partito a
conduzione familiare». Dunque, anche questa discussione si farà proprio
in direzione, coinvolgendo anche gli amministratori locali e «senza
posizioni cristallizzate». La vicenda è rilevante anche perché se, come
al momento sembra, con la destra è divisa si dovesse arrivare alla conta
in commissione affari costituzionali, la posizione assunta dal Partito
democratico potrebbe fare la differenza. Dopo la strage di Firenze,
inoltre, il Pd intende seguire il modello della mozione sul Medio
Oriente e richiamare l’attenzione del governo anche sul tema della
sicurezza sul lavoro «dal momento che palazzo Chigi «ha gli strumenti
per affrontare la questione: non basta più il cordoglio, servono misure
urgenti ed efficaci». Quanto al confronto tv con Giorgia Meloni,
trapelano le seguenti cose: si farà, non si sa ancora su che canale
televisivo, non sarà a brevissimo.</p>
<p><b>IERI GIUSEPPE CONTE</b>, impegnato per le regionali per
Alessandra Todde, ha esaltato il modello della coalizione e chiesto che
Schlein compaia al suo fianco su di un palco isolano in occasione della
fine della campagna elettorale: «Sicuramente questo è un esperimento che
ha portato a un progetto serio e credibile – ha detto il leader del
Movimento 5 Stelle – Forze progressiste e civiche che hanno lavorato
intensamente per un programma coeso e obiettivi condivisi». Al Nazareno,
dove si attendono che lo stesso spirito ecumenico emerga anche in altri
territori (in primis il Piemonte), fanno sapere di aver «registrato» la
richiesta dell’avvocato.</p>
</div>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-46820747341192568022024-02-12T17:03:00.001+01:002024-02-12T17:03:07.237+01:00Luisa Ghini<p><b> </b></p><p><b> </b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBMWMtcNibMJEYfluR4Cgbg7-7Qbs4n34sp6hiOlvJnIsWzyZZGEAdh4ZVpiQeIZk6dF-SVRrLIO27PO06tMp6zACk1Y6NlgOnjiqLbXXy1Ilgt_Ygot2JcDTk6p_YFFyPxJK-tFN-n9bbHs579blkshDpCsUB0KheQtvWnyVQ3KcScbjs_X1UzD9xSCM/s239/il-voto-degli-italiani-1946-1974-perfect-paperback-ghini-celso.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="239" data-original-width="239" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBMWMtcNibMJEYfluR4Cgbg7-7Qbs4n34sp6hiOlvJnIsWzyZZGEAdh4ZVpiQeIZk6dF-SVRrLIO27PO06tMp6zACk1Y6NlgOnjiqLbXXy1Ilgt_Ygot2JcDTk6p_YFFyPxJK-tFN-n9bbHs579blkshDpCsUB0KheQtvWnyVQ3KcScbjs_X1UzD9xSCM/w640-h640/il-voto-degli-italiani-1946-1974-perfect-paperback-ghini-celso.jpg" width="640" /></a></div><br /><p></p><p><b>Maria Luisa Righi </b><br /></p><div class="" dir="auto"><div class="x1iorvi4 x1pi30zi x1l90r2v x1swvt13" data-ad-comet-preview="message" data-ad-preview="message" id=":R1alalqlaikpl9aqqd9emhpapd5aqH2:"><div class="x78zum5 xdt5ytf xz62fqu x16ldp7u"><div class="xu06os2 x1ok221b"><span class="x193iq5w xeuugli x13faqbe x1vvkbs x1xmvt09 x1lliihq x1s928wv xhkezso x1gmr53x x1cpjm7i x1fgarty x1943h6x xudqn12 x3x7a5m x6prxxf xvq8zen xo1l8bm xzsf02u x1yc453h" dir="auto"><div class="xdj266r x11i5rnm xat24cr x1mh8g0r x1vvkbs x126k92a"><div dir="auto" style="text-align: start;">Nel giorno del ricordo</div><div dir="auto" style="text-align: start;">10/02/1920 - 27/04/2006. Viekoslava Deskovic da noi conosciuta come Luisa Ghini, è nata a Sebenico in Dalmazia. </div><div dir="auto" style="text-align: start;">Militante antifascista iugoslava, fu portata al confino a Ventotene dalle milizie fasciste che occupavano il suo paese.</div><div dir="auto" style="text-align: start;">Nella primavera del 1942 tutta la sua famiglia venne arrestata, e la madre e la sorella Julka, alla quale avevano fucilato il marito, rinchiuse nel carcere di Fossombrone. Suo fratello Ivan era già nel carcere di Alessandria.</div><div dir="auto" style="text-align: start;"><span><a tabindex="-1"></a></span>Luisa fece domanda al Ministero degli Interni affinché la sorella fosse trasferita a Ventotene.</div><div dir="auto" style="text-align: start;">II trasferimento fu approvato e Luisa poté ricongiungersi con la sorella. " Quando sulla piazzetta apparve la sottile figura di mia sorella avvolta in nero, il cuore mi si fermò".</div><div dir="auto" style="text-align: start;">Luisa Ghini viene trasferita con la sorella Julka nel campo di concentramento di "Fraschette" vicino ad Alatri. "Lungo il viaggio di trasferimento" racconta Luisa, "cantavamo le nostre canzoni rivoluzionarie, tanto, dicevamo, i poliziotti non ci capiscono!" In quel campo vi erano richiusi più di 4000 iugoslavi in prevalenza donne e bambini. Luisa incontra le madri dei sui compagni di lotta partigiana. fucilati dai fascisti . "La vita nel campo era disastrosa. I bambini non avevano neppure un poco di latte. Noi a Ventotene avevamo imparato che si combatte anche nei campi di concentramento, andammo subito a protestare presso la direzione. Ricordo che con il mio italiano un poco sgrammaticato minacciai il direttore che ci saremmo rivolti alla Croce Rossa perché conoscevamo le norme sul trattamento degli internati. Il giorno dopo i bambini ebbero il loro latte."</div><div dir="auto" style="text-align: start;">L'8 settembre 1943 nel campo di Fraschette arriva la notizia dell'Armistizio. "Era verso sera. Il campo esplose. I canti, i cortei, madri con i figli in braccio tutti felici, finalmente si pensava, saremmo tornati a casa." Ma la gioia durò poco, qualche giorno dopo il quel campo arrivarono i camion di tedeschi.</div><div dir="auto" style="text-align: start;">Si riunì allora il comitato del partito per capire cosa fosse meglio fare. Luisa e un gruppo di altre quattro compagne decisero di evadere. "Noi provenienti da Ventotene sapevamo che il Partito comunista italiano in caso di occupazione tedesca avrebbe organizzato la resistenza chiamando alla lotta tutti gli antifascisti" Scrive sempre Luisa nell'articolo richiamato. "Bisognava parteciparvi" .</div><div dir="auto" style="text-align: start;">Così quella notte Luisa e le sue compagne scavalcano la recinzione. "Nel correre via, le nostre gavette legate alla cintola tintinnavano come campanelle, potevamo essere scoperte da un momento all'altro ma a noi, giovani e forse un po' incoscienti, la cosa fece ridere a crepapelle!"</div><div dir="auto" style="text-align: start;">Dopo la rocambolesca fuga dal campo, Luisa arriva al Roma e poi si reca a Bologna dove abitava la famiglia di Celso Ghini (divenuto suo compagno a Ventotene). Nell'agosto del '44 la sorella Julka che faceva la staffetta per i partigiani, da Bologna si sposta a Parma, dove purtroppo viene arrestata e deportata a Ravensbruck dove morirà.</div></div></span></div></div></div></div>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-60112917321959836972024-02-10T11:06:00.001+01:002024-02-10T11:06:15.697+01:00Eric Zemmour<p><span style="font-size: medium;"> </span></p><p><span style="font-size: medium;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSmuPb6u67i3G2om5KMh1YYiR1glsXBnxeekeFEld7cgjYBUPMmgEjyUEy5iiHLLaOjdaMmkdb4W6R-5VAOU2Kap7KJRC_y5-eAWabKjrM447GPluii8sVaXpt64LVuz7-RmIjWjr6rDY4Yg1YbjlUqOMXkin8UvHX07kV-CjOt4-msVIrsOyD0x5YSUs/s1614/eric-zemmour-scaled-e1638783319749-807x350@2x.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="1614" height="174" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSmuPb6u67i3G2om5KMh1YYiR1glsXBnxeekeFEld7cgjYBUPMmgEjyUEy5iiHLLaOjdaMmkdb4W6R-5VAOU2Kap7KJRC_y5-eAWabKjrM447GPluii8sVaXpt64LVuz7-RmIjWjr6rDY4Yg1YbjlUqOMXkin8UvHX07kV-CjOt4-msVIrsOyD0x5YSUs/w400-h174/eric-zemmour-scaled-e1638783319749-807x350@2x.jpg" width="400" /></a></span></div><span style="font-size: medium;"><br /> </span><p></p><p><span style="font-size: medium;"> </span></p><p><span style="font-size: medium;"> Il tribuno razzista alleato di Meloni in Europa</span><a id="x_blocco2" name="x_blocco2"></a></p><table cellpadding="0" cellspacing="0" style="width: 100%;"><tbody><tr><td bgcolor="#ffffff" style="color: #666666; font-family: helvetica,sans-serif; font-size: 14px; line-height: 16px;"><table cellpadding="0" cellspacing="0" style="margin: 20px;"><tbody><tr><td width="60"><img alt="editorialista" data-imagetype="External" src="https://images2.corriereobjects.it/methode_image/2024/02/09/Tablet%20Edition/Foto%20-%20Trattate/massimo-nava-kiJG-U34601445277821QHF-60x60@Corriere-Tablet.jpg" style="border-radius: 20px; display: block; padding-right: 5px;" width="48" /></td><td style="color: #333333; font-family: helvetica,sans-serif; font-size: 16px;"><table><tbody><tr><td style="font-family: helvetica,sans-serif; text-align: left;">di <b style="text-transform: uppercase;">Massimo Nava </b></td></tr></tbody></table></td></tr></tbody></table></td></tr><tr><td bgcolor="#ffffff"><table cellpadding="0" cellspacing="0" style="width: 100%;"><tbody><tr><td width="10"><br /></td><td style="color: #333333; font-family: georgia,sans-serif; font-size: 20px; line-height: 29px; padding-bottom: 20px; padding-bottom: 2px; padding-right: 0px; padding-top: 13px; text-align: left;"><p style="margin-bottom: 25px; margin-left: 10px;"><span style="font-weight: bold;">Éric Zemmour </span>considera <span style="font-weight: bold;">l’Islam </span>- e non solo l’islamismo radicale - come <span style="font-weight: bold;">un fatto politico, non religioso</span>.
Un fatto politico non può essere assimilato. È uno Stato nello Stato.
Quindi, un nemico. È in questo spirito che ha scelto il nome <span style="font-weight: bold;">Reconquete </span>per il suo un partito. Un ricordo della <span style="font-weight: bold;">Reconquista spagnola</span>
sotto i re cattolici, che terminò con la successiva espulsione degli
ebrei (1492) e dei musulmani (1502). Nelle circostanze attuali, è un
avvertimento rivolto a questi ultimi: sta ai musulmani di Francia
scegliere tra la religione o la valigia. Zemmour non esita, pur essendo
ebreo, a difendere la memoria del maresciallo Pétain. Di conseguenza, il
capitano Dreyfus sarebbe stato davvero un «traditore». </p><p style="margin-bottom: 25px; margin-left: 10px;"><span style="font-weight: bold;">Un fenomeno culturale amplificato ha conseguenze politiche impreviste</span>. La Francia è percorsa da anni dalla <span style="font-weight: bold;">roboante retorica nazionalista dello scrittore </span>che ha sognato di passare dalla testa delle classifiche in libreria al comando della Nazione, <span style="font-weight: bold;">agitando i fantasmi dell’islamizzazione del Paese </span>con
spregiudicate diagnosi sul «tradimento» dei padri della patria, Victor
Hugo e il generale de Gaulle. Dopo la sconfitta alle elezioni
presidenziali, eliminato dalla corsa con un modesto 7 per cento, Zemmour
continua a troneggiare nelle vetrine delle librerie e nei media
francesi.<span style="font-weight: bold;"> La narrazione è fatta di
provocazioni politiche, conferenze contestate o annullate, cronache
giudiziarie e gossip sulla vita privata e sentimentale</span>. Durante
la campagna elettorale, è stata resa pubblica la love story con la sua
assistente e responsabile per la stampa. Il profeta dell’apocalisse
sociale della Francia ha risvegliato gli anticorpi della politica, ma ha
obbligato la classe politica e l’opinione pubblica a fare i conti con i
suoi proclami e a interrogarsi sullo stato di salute sociale della
Francia. </p><p style="margin-bottom: 25px; margin-left: 10px;">La storia
personale scrive al tempo stesso il percorso drammatico di un
intellettuale brillante e una vicenda emblematica dell’immigrazione
francese, <span style="font-weight: bold;">dello scontro sotterraneo fra ebraismo e radicalismo islamico </span>e della reazione emotiva di fronte a fenomeni che fanno parte della storia nazionale. <span style="font-weight: bold;">La sua famiglia proviene dall’Algeria. Infanzia e giovinezza s’intrecciano con le vicende della ex colonia</span>.
Due anni prima dello scoppio della guerra d’Algeria - siamo nel 1952 -
Roger e Lucette Zemmour, i suoi genitori, lasciarono Constantine per
trasferirsi <span style="font-weight: bold;">a Montreuil, periferia di Parigi. Montreuil è il cuore dell’immigrazione</span>,
la periferia più interessante per chi vuol studiare un microcosmo di
culture, etnie e religioni. Zemmour ha cancellato anche la storia, i
ricordi, i condizionamenti di un’evoluzione sociale complessa fino ad
elaborare la teoria della sostituzione progressiva, il tempo in cui
nordafricani e e musulmani avranno il sopravvento demografico sulla
popolazione francese europea e bianca. Tema questo caro a un altro
scrittore di successo, <span style="font-weight: bold;">Michel Houellebecq</span>. </p><p style="margin-bottom: 25px; margin-left: 10px;"><span style="font-weight: bold;">Zemmour è il più deciso sostenitore di politiche di espulsione dei nuovi arrivati e rieducazione degli stranieri</span>,
senza troppi distinguo fra quanti sono migranti e quanti sono figli e
nipoti dei primi migranti e oggi cittadini francesi. Zemmour si rivolge
alla borghesia cosiddetta «patriottica» contro una quinta colonna
definita: i musulmani. È un’epidemia di parole. <span style="font-weight: bold;">Nato in Francia nel 1958, si dichiara un francese di fede ebraica e di origine berbera, ma nega la lontana discendenza araba</span>.
Il teorema è semplice: il musulmano postcoloniale di oggi è discendente
dell’arabo colonizzato di ieri e rappresenta un pericolo demografico e
culturale. Le tensioni tra giovani ebrei e musulmani sono in aumento.
Zemmour ha pubblicato un romanzo nel 2008, Petit Frère, ispirato alla
storia di un giovane francese di fede ebraica assassinato da un vicino
di casa di origine musulmana, nel 19° arrondissement di Parigi. In
un’intervista al settimana di destra Valeurs (5 gennaio 2022), ha
spiegato programma e pensiero. «Il popolo si è allontanato dalla
sinistra, per la semplice ragione che la sinistra si è allontanata dal
popolo per sottomettersi alle minoranze. Ponendo la questione della
sopravvivenza della Francia, non ignoravo a cosa mi stavo esponendo. È
la domanda fondamentale che tormenta i francesi e che è proibita dai
media, dalle élite politiche, culturali e intellettuali. E poiché
nessuno ha osato fare questa domanda, non ho avuto altra scelta che
presentarmi alle elezioni». </p><p style="margin-bottom: 25px; margin-left: 10px;">«<span style="font-weight: bold;">L’assimilazione che propongo è stata la regola per secoli</span>.
Quando ero a Sciences Po, negli anni 70, nessuno si scandalizzava nel
sapere che certi benefici sociali erano riservati ai cittadini
francesi». Zemmour, allontanato a suo tempo dal Figaro e non gradito su
diversi canali televisivi che peraltro avevano contribuito al suo
successo editoriale, è traslocato sui canali del finanziere <span style="font-weight: bold;">Vincent Bolloré<br /> </span>e
in particolare sulla rete di notizie 24 ore, CNnews. Da qui ha lanciato
la candidatura all’Eliseo, auspicando deportazioni di clandestini e
assimilazione di minoranze etniche. Naturalmente, i media di Bollorè
hanno continuato ad ospitare e pubblicare personalità politiche e
intellettuali di varie tendenze (uno degli autori di spicco è <span style="font-weight: bold;">Bernard Henri Lévy</span>),
ma il megafono a favore di Zemmour, in stile Fox News, è suonato in
modo così ossessivo da provocare addirittura un’audizione al Senato. </p><p style="margin-bottom: 25px; margin-left: 10px;">«Ci
sono tante posizioni nei nostri programmi e nei libri che pubblichiamo.
Non ha senso un canale d’opinione. Non ho il potere di nominare
nessuno. Gli interessi del nostro gruppo sono il cinema, lo sport e le
serie», si è difeso Bolloré. In effetti, le recenti simpatie
islamofobiche e sovraniste contrastano con relazioni a tutto campo,
com’è buona regola per un uomo d’affari. Il gruppo ha curato a suo tempo
la comunicazione di personalità della sinistra, <span style="font-weight: bold;">da Bernard Kouchner a Dominique Strauss Kahn</span>,
il candidato socialista all’Eliseo poi travolto dallo scandalo della
cameriera stuprata al Sofitel di New York. Padre e figlio, Iannick,
hanno sostenuto <span style="font-weight: bold;">la sindaca socialista di Parigi</span>. In precedenza, avevano sostenuto il sindaco socialista <span style="font-weight: bold;">Bertrand Delanoe</span>, in coincidenza dell’appalto per le auto elettriche in car sharing. Uno degli ascoltati consiglieri di Bollorè è stato <span style="font-weight: bold;">Alain Minc</span>, oggi vicino a Macron. </p><p style="margin-bottom: 25px; margin-left: 10px;">Ma che cosa succederà se un giorno non lontano Marine Le Pen o Eric Zemmour dovessero conquistare l’Eliseo? <span style="font-weight: bold;">Bollorè consoliderà la rivoluzione/evoluzione del conservatorismo francese?</span> La risposta potrebbe risiedere nelle pieghe meno evidenti dell’impero: <span style="font-weight: bold;">il
settanta per cento dei libri scolastici, la metà dei tascabili, la
distribuzione dei libri, le grandi case editrici e le vetrine invase da
Zemmour e Houellebecq</span>. Ma sopratutto il consenso di una Francia
(e di un’Europa) spaventata dai flussi migratori incontrollati,
dall’insicurezza - percepita - nelle città, dalla crisi economica che
declassa il ceto medio e rende i ricchi sempre più ricchi. Se la
sinistra annaspa o si radicalizza, la destra seduce. E il mondo
inquinato dai social network produce semplificazioni antagoniste: noi e
loro, io e l’altro. Zemmour, cervello fino, lo ha capito con grande
anticipo. </p></td></tr></tbody></table></td></tr></tbody></table>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-82635094031944069402024-01-19T13:56:00.016+01:002024-01-24T14:34:47.052+01:00L'ora di Lysenko<p><span style="font-size: medium;"> </span></p><p><span style="font-size: medium;"> </span></p><p><span style="font-size: medium;"> </span></p><p><span style="font-size: medium;"></span></p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjc6JfFStnRY58nYpCHBTljXG_Ak_1_tvJOP3rYy7J82_Z2RNyAiYHUMt-s64XqgCsRctXjJRzktQb6WLOUMDQMl34nE4u4X5FykkCAkqjuJQmnSAcTivMcKg7GRZTc5er-FxpFOcM6QTi08ZQZ5YYYSH_eK3NpncgXlcT4HBI1cTIbivfNoCpVv7KwmrA/s300/Trofim_Lysenko_portrait.jpg" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="221" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjc6JfFStnRY58nYpCHBTljXG_Ak_1_tvJOP3rYy7J82_Z2RNyAiYHUMt-s64XqgCsRctXjJRzktQb6WLOUMDQMl34nE4u4X5FykkCAkqjuJQmnSAcTivMcKg7GRZTc5er-FxpFOcM6QTi08ZQZ5YYYSH_eK3NpncgXlcT4HBI1cTIbivfNoCpVv7KwmrA/w294-h400/Trofim_Lysenko_portrait.jpg" width="294" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Trofim Denisovi<span>č Lysenko<br /></span></td></tr></tbody></table><span style="font-size: medium;"><br />Il caso Lysenko appartiene ormai a un lontano passato. Detto in poche parole, consisteva in una invasione di campo. Il partito comunista dell'Unione Sovietica si arrogava il diritto di stabilire quale fosse la teoria giusta nel settore degli studi biologici. Veniva condannata la genetica e veniva promossa invece una particolare concezione della biologia, quella ideata dall'agronomo ucraino Trofim D. Lysenko (1898-1976). Già nel 1938 si era avuta una prima consacrazione, quando Lysenko era diventato presidente dell' Accademia pansovietica di scienze agrarie Lenin. Nel 1948 si arrivò al trionfo supremo: in una sessione di questa accademia Lysenko fu riconosciuto ufficialmente come la massima espressione della scienza biologica. L'apice della sua fortuna si può collocare nell'agosto 1948 quando quella stessa Accademia sovietica di scienze agrarie annunciò che da allora in poi il lysenkoismo sarebbe stato insegnato come "l'unica teoria corretta". L'incursione del potere politico nel dominio della scienza diventò oggetto di discussione in Occidente e anche in Italia. Nel clima ormai imperante della guerra fredda si formarono due correnti di opinione, una favorevole alla libertà della scienza, l'altra contraria, attratta dal richiamo di una scienza «sovietica» superiore, impegnata in una prometeica opera di potenziamento dell’agricoltura, attenta ai bisogni della società e fedele al materialismo dialettico. La consacrazione finale del lysenkoismo fu una vera tragedia per la scienza, la coscienza, la stessa vita di molti studiosi sovietici. Per i partiti comunisti dell’Occidente essa segnò invece l’inizio di una stagione di drammatiche lacerazioni. Gran parte dei biologi si schierarono per il mantenimento di criteri scientifici staccati dalle ideologie. Da buon comunista fedele alla linea del partito Calvino si schierò dalla parte di Lysenko. Tutta questa materia è trattata nel volume di Francesco Cassata, Le due scienze" Il "caso Lysenko" in Italia, Bollati Boringhieri, Torino 2008; l'articolo di Calvino sull'Unità edizione piemontese è citato e in parte ripreso a pagina 39 del testo. In precedenza gli Editori riuniti avevano pubblicato Il caso Lysenko (ed. or. 1976) di Dominique Lecourt. </span><p></p><p><span style="font-size: medium;"><b>Italo Calvino</b>,<i> La verità sul dibattito Lysenko</i>, l'Unità edizione piemontese, 31 dicembre 1948</span></p><p><span style="font-size: medium;"> I giornali borghesi continuano a parlare di Lysenko e della polemica sulla biologia svoltasi lo scorso agosto nell'Unione Sovietica. Ne parlano, come al solito, con superficialità, volgarità e malafede per penna dei loro giornalisti, e con la cronica incomprensione di tutto ciò che avviene nel paese del socialismo, per penna di scienziati peraltro seri. Non è perciò il caso di rispondere ai singoli articoli: prima di tutto occorre dare quella base d'informazioni che ai più manca.
La rivista parigina Europe nel suo ultimo numero (ottobre '48) pubblica il testo integrale della relazione Lysenko, le discussioni all'Accademia di Scienze Agrarie e le risoluzioni finali. Cercheremo di darne un esauriente riassunto; ma prima di tutto occorre mettere in luce come mai un dibattito di biologi diventa in U.R.S.S. una questione di interesse nazionale, che occupa per giorni e giorni intere pagine della Pravda e degli altri quotidiani, una questione cui s'interessano milioni e milioni di cittadini e silla quale dà il proprio parere il Comitato Centrale del Partito. In un paese socialista il progresso della cultura non è staccato dal progresso comune di tutta la società; la scienza non compie le sue ricerche chiusa nei laboratori, dando alla società solo i prodotti immediatamente utilizzabili delle sue ricerche, indifferente al fatto che essi vengano usati come armi di distruzione o come farmaci. La società socialista è un tutto armonico in cui lo sviluppo di una parte è condizione dello sviluppo del tutto: non ci si può fermare né si può pretendere di sviluppare anarchicamente le proprie ricerche; chi perde il contatto con i bisogni della società perde ogni facoltà di controllare se la direzione in cui si muove è giusta o sbagliata.
Lo scienziato socialista, strettamente legato alla pratica, ha possibilità che lo scienziato della società socialista non si sogna d'avere. La condizione tradizionale della scienza che compie le sue ricerche a dispetto della classe dominante, che vede le sue scoperte usate come mezzo di speculazioni e non per il bene dell'umanità, si va sempre più trasformando, nell'epoca dell'imperialismo in una condizione ancor più tragica: le possibilità della scienza possono essere limitate anche nella società borghese, ma nella misura in cui le sue ricerche hanno un interesse per la guerra. In U.R.S.S. al contrario lo scienziato ha a sua disposizione tutto un sesto del mondo come laboratorio per verificare la giustezza dei suoi ritrovati: può vedere le sue scoperte subito adottate in larghissima scala, e usate per il bene dell'umanità.
Ma perché questo avvenga, bisogna che lo scienziato non si proponga «la scienza per la scienza», bensì i suoi obiettivi coincidano con gli obiettivi generali della società. In un tutto che ha come ragione di vita la trasformazione in una data direzione (prima la costruzione del socialismo attraverso i piani quinquennali, per l’industrializzazione del paese, poi il passaggio dal socialismo al comunismo mediante un enorme aumento delle capacità produttive) ogni sforzo va teso in quella direzione; non può essere sprecato né un pensiero né un gesto; il primo criterio deve essere: serve o non serve allo sviluppo della rivoluzione?
Chi seguendo le sue ricerche specifiche perde di vista gli interessi generali diventa un veicolo di ideologie reazionarie [reazionario nel testo originale]. Ecco perché Lysenko e i biologi della scuola miciuriniana, che moltiplicano la produzione delle patate e trasformano le steppe in campi coltivati, sono i naturali portavoce del materialismo dialettico in campo biologico, mentre i genetisti tradizionali, occupati in studi non immediatamente immissibili nel processo produttivo, aprono le porte nel campo della teoria ad illazioni idealistiche, irrazionali e pessimistiche e nel campo della pratica monopolizzando gli studi biologici, sottraggono forze alla trasformazione della natura da parte dell'uomo e sabotano la rivoluzione, la costruzione della società comunista.
Se dei paralleli possono essere fatti tra settori diversi della cultura, la vittoria della scuola miciuriniana sulle altre scuole biologiche può essere paragonata alla vittoria, avvenuta anni orsono, della tendenza del realismo socialista in letteratura e in arte, sulle altre scuole più o meno contaminate dal formalismo. Solo il realismo socialista in tutta l’ampiezza dei suoi possibili sviluppi, può procedere di pari passo con lo sviluppo generale della società, continuamente nutrendolo ed essendone nutrito.
E veniamo dunque alla relazione sulla «situazione della scienza biologica» alla sessione estiva dell'Accademia Lenin di Scienze Agrarie, tenuta dal presidente dell'Accademia, T. D. Lysenko. Egli si rifà alla dottrina di Darwin che segnò l'inizio della biologia scientifica e che con la teoria della selezione naturale e artificiale diede una spiegazione razionale allo sviluppo della materia vivente.
Ma la teoria di Darwin, dice Lysenko, indiscutibilmente giusta e materialista nelle sue linee fondamentali, non fu immune da errori: nella concezione di «lotta per l'esistenza» le infiltrazioni della teoria di Malthus forzarono il significato storico e filosofico del darwinismo mettendolo alla stregua delle altre dottrine borghesi dell'epoca la «guerra di tutti contro tutti» di Hobbes in filosofia, la libera concorrenza in economia, il principio malthusiano della popolazione in sociologia).
Nel periodo post-darwiniano i biologi progressisti, come Timiriazev, sostennero e svilupparono il darwinismo come dottrina dello sviluppo della natura vivente e lo difesero dagli attacchi degli oscurantisti e della Chiesa. I biologi reazionarin cercarono invece di spogliare la dottrina di Darwin dei suoi elementi materialisti e di ridare la biologia in balia dell'idealismo.
Lysenko accusa uno dei fondatori della genetica moderna, il Weissmann, d'aver rifiutato di ammettere l'ereditarietà dei caratteri acquisiti, e d'aver dichiarato guerra ai principi di Lamarck, cioè all'azione direttamente trasformatrice dell'ambiente. Secondo Weissmann, la «materia ereditaria» è costituita solo dai cromosomi, ciascuna delle cui particelle determina una data parte dell'organismo: i cromosomi costuirebbero un mondo a parte, autonomo dall'organismo e dalle sue condizioni d'esistenza.
«Una materia ereditaria immortale senza rapporti con le caratteristiche qualitative dello sviluppo d'un corpo vivente, che governa il corpo mortale ma che non può avere origine da esso: tale è la concezione apertamente idealista, mistica nella sua essenza che Weissmann presenta sotto il travestimento di neodarwinismo», dice Lysenko. E accusa i seguaci di Mendel e di Morgan d'aver aggravato le posizioni idealistiche implicite in Weissmann, fino a negare l'evoluzione o a riconoscerla solo come processo di cambiamenti quantitativi.
Oggi le due posizioni della biologia: reazionaria e progressiva, sono particolarmente nette. L'agricoltura socialista, il regime dei kolkoz e dei sovkoz ha dato origine a una nuova scienza biologica le cui basi sono state poste dai grandi agrobiologi sovietici Miciurin e Williams. Secondo i miciuriniani i noti principi del lamarckismo, che ammettono la funzione attiva dell'ambiente nella trasformazione dei corpi viventi, sono giusti e pienamente scientifici. L'eredità dei caratteri acquisiti è possibile e indispensabile; ma il fatto essenziale della dottrina di Miciurin è che ad ogni biologo è aperta la prospettiva di dirigere la natura degli organismi vegetali e animali, la prospettiva di poter trasformare questa natura conformemente alle necessità pratiche.
Il nocciolo della disputa tra le due tendenze biologiche è dunque questo: è possibile la ereditarietà dei caratteri acquisiti dagli organismi vegetali e animali nel corso della loro vita? I miciuriniani dicono di sì, i mendelisti-morganisti lo negano.
Lysenko passa poi a citare affermazioni di morganisti sovietici, mettendo in luce come le loro idee li portino a negare che le trasformazioni del sistema abbiano influenza sulla «materia ereditaria».
La lotta tra miciuriniani e morganisti era in una fase acuta già da tempo. Lysenko rigetta le accuse mossegli dagli avversari d'aver sabotato le loro ricerche e li accusa a sua volta di aver fatto di tutto, benché in minoranza nell'Accademia Lenin, per ostacolare gli studi dei giovani miciuriniani, tanto fruttuosi per l'agronomia socialista, mentre loro rivolgono tutta la loro attenzione a sterili statistiche di cromosomi.
Invece il motto di Miciurin fu: «Noi non ci attendiamo che la natura ci elargisca i suoi doni; il nostro compito è di strapparglieli». Per Miciurin l'organismo e le condizioni di vita ad esso necessarie sono un tutto indivisibile. L'eredità è la proprietà che un corpo vivente ha d'esigere date condizioni di vita e di sviluppo e di reagire in una data maniera a tale o tal altra condizione».
La conoscenza delle esigenze naturali e del rapporto dell'organismo con l'ambiente dà la possibilità di dirigerne la vita e lo sviluppo, non solo, ma la stessa ereditarietà. Le trasformazioni sono causate dalle modificazioni del tipo d'assimilazione; se la vernalizzazione del grano di primavera avviene a temperature più basse, esso può essere trasformato dopo qualche generazione in grano d'inverno.
La teoria cromosomica dell'ereditarietà nega anche ogni possibilità d'ottenere degli ibridi per altra via che non la via sessuale. Miciurin sostenne la possibilità anche di ibridi vegetativi, mediante innesto.
Egli termina la sua relazione con una serie di critiche e di autocritiche sulle deficienze della lotta contro il contrabbando ideologico dei morganisti, e ribadisce la necessità che si sviluppi una nuova generazione di biologi sovietici miciuriniani.
Nella discussione della relazione Lysenko gli interventi più numerosi e più interessanti sono quelli che documentano i magnifici risultati dell'agrobiologia miciuriniana: dalla produzione di nuove scpecie di montoni astrakan al grano della Siberia, dall'avicoltura alla coltivazione della «steppa di pietra» del
sud-est. Su questi risultati pratici già il nostro giornale ha pubblicato diversi articoli, e altri ne pubblicherà ancora. Qui daremo notizia degli interventi più propriamente ideologici.
Molti scienziati ribadiscono il carattere reazionario della «genetica formalista»: Glutcenko, Dolgucin, Dimitriev, Dimitov, Mitin, Lobanov mettono l'accento sui rapporti del morganismo col malthusianesimo,
col razzismo, col pessimismo sociale.
La rivista «Europe» riassume anche gli interventi degli avversari di Lysenko che rispondono alle critiche mosse loro: Jebrak difende gli studi sui cromosomi, Zavadovsky si dichiara anche lui contrario alla genetica formalista ma dice che le tendenze sono tre: darwinismo logico, weismanismo reazionario e lamarckismo meccanicista, materialista volgare. Contrari a Lysenko si dichiarano Rapoport, Alikhamin, Kislowsky, Jukowsky e Shmalgausen: essi, pur dichiarandosi materialisti, antidealisti e in una certa misura miciuriniani, difendono determinati aspetti delle loro teorie genetiche.
Particolare interesse ha una lettera al Comitato Centrale del Partito e al compagno Stalin di Youri Zdanov, scienziato e collaboratore del Comitato Centrale. La lettera è un'autocritica di Youri Zdanov in cui egli riconosce d'aver sbagliato tentando di smorzare il contrasto tra le due tendenze avverse e lasciandosi fuorviare dagli aspetti d'interesse personale della lotta senza mettere in evidenza il fondo ideologico della questione. Egli riconosce anche di aver criticato aspramente Lysenko (con cui egli continua a essere in disaccordo su parecchi punti) senza pensare che questo portava acqua al mulino della ideologia reazionaria. <br /></span></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-17370759127504103352024-01-11T12:08:00.040+01:002024-01-11T16:20:52.762+01:00Italo Calvino, Se questo è un uomo<p> </p><p> </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIE9uW2KYqUA4WK-ourUq5UzNnrXmVUeadZw2ctjOMeAUpdERAoTbouDADAsinOlXRSnGBMYmMKl_Wm6ubh1S6hsj554a_UpAvNtK88IuSzERk3n2BIVMaJsKA7KMYdztMw57EjzI1xAWzQXlGxMkvrPd32I5wHDZv_T_Pp4biJUAqXB6WUtdqV7KMHQc/s380/SQU47_arancione.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="380" data-original-width="254" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIE9uW2KYqUA4WK-ourUq5UzNnrXmVUeadZw2ctjOMeAUpdERAoTbouDADAsinOlXRSnGBMYmMKl_Wm6ubh1S6hsj554a_UpAvNtK88IuSzERk3n2BIVMaJsKA7KMYdztMw57EjzI1xAWzQXlGxMkvrPd32I5wHDZv_T_Pp4biJUAqXB6WUtdqV7KMHQc/w268-h400/SQU47_arancione.png" width="268" /></a></div><br /><p><span style="font-size: medium;"><span><span><span><i>Se questo è un uomo</i>,
il libro al quale Primo Levi affidò la sua testimoniaza della vita nei campi, era stato rifiutato da Einaudi. Uscì, nella sua prima
edizione, nell'autunno del 1947 (e non nel 1948, come sostiene Calvino nell'articolo che segue) per la piccola casa editrice
torinese De Silva diretta da Franco Antonicelli.<br />Del libro furono stampati 2500 esemplari e ne
furono venduti 1500, che da anni ormai sono diventati oggetti preziosi e quasi introvabili sul mercato antiquario; l'opera ebbe recensioni autorevoli, tra cui quella
di Italo Calvino che la definì un libro magnifico, le cui pagine, di
autentica potenza narrativa, sarebbero rimaste nella nostra memoria tra
le più belle della letteratura sulla seconda guerra mondiale.<br />Quella recensione è successivamente diventata il risvolto editoriale del volume pubblicato da Einaudi nel 1958. Figura nel<i> Libro dei risvolti</i> (Einaudi, 2003, ultima edizione <i>Il libro dei risvolti. Note introduttive, quarte di copertina e altre scritture editoriali</i>, Mondadori, 2023).</span></span></span></span></p><p><span style="font-size: medium;"><b>Italo Calvino</b>, <i>Un libro sui campi della morte. "Se questo è un uomo"</i>, L'Unità edizione piemontese, 6 maggio 1948 </span></p><div class="node-abstract"><blockquote><p align="justify"><span style="font-size: medium;">
C'era un sogno, racconta Primo Levi, che tornava spesso ad angustiare le
notti dei prigionieri dei campi di annientamento: il sogno di essere
tornati a casa e di cercare di raccontare ai famigliari e agli amici le
sofferenze passate, ed accorgersi con un senso di pena desolata ch'essi
non ascoltano, che non capiscono nulla di quello che loro si dice. Io
credo che tutti gli scampati che abbiano provato a scrivere le loro
memorie su quella terribile esperienza si siano sentiti prendere da
quella pena desolata: di aver vissuto un'esperienza che passa i limiti
del dicibile e dell'umano, un'esperienza che non potranno mai comunicare
in tutto il suo orrore a nessuno, e il cui ricordo continuerà a
perseguitarli con un tormento della sua incomunicabilità, come un
prolungamento della pena.<br />
Per fatti come i campi d'annientamento sembra che qualsiasi libro debba
essere troppo da meno della realtà per poterli reggere. Pure, Primo Levi
ci ha dato su questo argomento un magnifico libro (<i>Se questo è un uomo</i>,
Ed. De Silva 1948) che non è solo una testimonianza efficacissima, ma
ha delle pagine di autentica potenza narrativa, che rimarranno nella
nostra memoria tra le più belle della letteratura sulla seconda guerra
mondiale.<br />
Primo Levi fu deportato ad Auschwitz al principio del '44 insieme col
contingente d'ebrei italiani del campo di concentramento di Fossoli. Il
libro si apre appunto con la scena della partenza da Fossoli (vedi
l'episodio del vecchio Gattegno) e in cui già si sente quel peso di
rassegnazione di popolo ramingo sulla terra da secoli e secoli che
peserà su tutto il libro. Poi, il viaggio, l'arrivo ad Auschwitz, e
altra scena di struggente potenza, la separazione degli uomini dalle
donne e dai bambini, di cui mai più sapranno nulla. Poi la vita del
campo: Levi non si limita a lasciar parlare i fatti, li commenta senza
forzar mai la voce e pure senza accenti di studiata freddezza. Studia
con una pacatezza accurata cosa resta di umano a chi è sottoposto a una
prova che di umano non ha nulla.<br /></span>
<span style="font-size: medium;"><i>Null-Achtzen</i>, «zero-diciotto», il suo compagno di lavoro che
ormai è come un automa che non reagisce più e marcia senza ribellarsi
verso la morte, è il tipo umano cui i più si modellano, in quel lento
processo d'annientamento morale e fisico che porta inevitabilmente alle
camere a gas. Suo termine autentico è il «Prominenten», il privilegiato,
l'uomo che si «organizza», che riesce a trovare il modo di aumentare il
suo cibo quotidiano di quel tanto che basta per non essere eliminato,
che riesce ad acquistare una posizione di predominio sugli altri e
vivere sulla rovina altrui; tutte le sue facoltà sono tese ad uno scopo
elementare e supremo: sopravvivere.<br />
Le figure che Levi ci disegna sono dei veri e proprii personaggi con una
compiuta psicologia: l'ingegner Alfred L., che continua a mantenere tra
i compagni di sofferenze la posizione di predominio che ha sempre
tenuto nella vita sociale, e quell'assurdo Elias, che sembra nato dal
fango dei Lager e che è impossibile immaginare come un uomo libero, e
quell'agghiacciante personaggio del dottor Pannwitz, personificazione
del fanatismo scientifico del germanesimo. Certe scene raccontate dal
Levi ci ricostruiscono tutta un'atmosfera e un mondo: il suono della
banda musicale che accompagna ogni mattina i forzati al lavoro,
fantomatico simbolo di quella geometrica follia; e le notti angosciose
nella stretta cuccetta, coi piedi del compagno vicino al volto; e la
terribile scena della scelta degli uomini da mandare alle camere a gas, e
quella dell'impiccagione di chi, in quell'inferno di rassegnazione e di
annientamento, trova ancora il coraggio di cospirare e resistere, con
quel grido sulla forca: «Kamaraden, ich bin der Letzte!». Compagni, io
sono l'ultimo.</span></p></blockquote>
<div style="text-align: right;"> <span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></div><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"> </span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p><p><span><span><span><span style="font-size: small;"><br /></span></span></span></span></p>
</div>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-82847891831554453982024-01-09T12:44:00.001+01:002024-01-09T12:44:10.529+01:00Italo Calvino: "Il muro" di Jean-Paul Sartre<p><span style="font-size: medium;"><b> </b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1obsGcnS4m1mQo9YARoGrjSeGDCq-WGy9ki3abxXqkB5AzTbRCOM9Zb5wom9-oJ6Xi_08IMKtNv8zxwRNkBSmbg2kZDnB35hRa6Mkyp8SqpZU0JPFIUt0LXtpAFRcuItFO3A15SBbC9pfBwhjVXitrN1P5YaMic26UH-mmAIWcSrU3S2ZwvrAbZWxGeI/s1000/6159gJA-tvL._AC_UF1000,1000_QL80_.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="638" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1obsGcnS4m1mQo9YARoGrjSeGDCq-WGy9ki3abxXqkB5AzTbRCOM9Zb5wom9-oJ6Xi_08IMKtNv8zxwRNkBSmbg2kZDnB35hRa6Mkyp8SqpZU0JPFIUt0LXtpAFRcuItFO3A15SBbC9pfBwhjVXitrN1P5YaMic26UH-mmAIWcSrU3S2ZwvrAbZWxGeI/s320/6159gJA-tvL._AC_UF1000,1000_QL80_.jpg" width="204" /></a></b></span></div><span style="font-size: medium;"><b><br /></b></span><p></p><p><span style="font-size: medium;"><b>Italo Calvino</b>, <i>"Il muro" di Jean-Paul Sartre</i>, L'Unità edizione piemontese, 12 gennaio 1947</span></p><p><span style="font-size: medium;">Sartre è un po' il grande fatto culturale di questi ultimi anni e io non mi fermerò, recensendo questo libro di racconti, a rifare la storia della sua filosofia, a sceverare quanto sia di letterario e di filosofico nella sua letteratura, né accennerò al genere creativo in cui egli è più noto in Italia e cui probabilmente resterà legata la sua fama: il teatro. Il tempo deciderà quanto Sartre abbia detto di valido nelle sue varie attività: certo, alcuni esempi anche nostrani come Pirandello, ci invitano a diffidare degli scrittori troppo intenzionalmente preoccupati a una problematica d'ordine filosofico.<br />I racconti di <i>Le mur</i>, insieme al romanzo <i>La nausée</i>, sono la prova più significativa del Sartre narratore: ché la vasta trilogia </span><span style="font-size: medium;">non ancora compiuta</span><span style="font-size: medium;"> de <i>Les chemins de la liberté </i>sembra risentire troppo della sua programmaticità d'esemplificazione esistenzialista.<br />I racconti di Sartre che ora appaiono per la prima volta in Italia sotto una serafica copertina illuminano la natura umana senza risparmiare alcun andito, una natura umana già di per sé turpe, legata al marchio d'una qualche anomalia sessuale a un peso di carne sopportato con schifo. L'introspezione di Sartre ancor più che psicanalitica potrebbe dirsi fisiologica, se si guarda con quale zoologica esattezza egli controlla le reazioni organiche dei suoi personaggi, dallo svuotarsi di ghiandole al gorgogliare degli intestini. Da questa condizione di schiavitù umana Sartre suscita i momenti d'esistenzialistica angoscia, d'assoluta libertà, di scelta dove il peso dello schifo umano sembra svanire nel vuoto del nulla. <br /><i>Il muro</i> consta di cinque racconti. In quello che dà il titolo al volume, un episodio della guerra civile spagnola, tutto è davvero espresso narrativamente: è una descrizione della paura di morire fisiologica e metafisica insieme; sarebbe un bellissimo racconto se un ingiustificato finale a sorpresa non lo sciupasse. Ottimo è anche, per l'intensità di clima che raggiunge, <i>La camera</i>, che racconta il caso di coscienza della moglie di un pazzo, simile a quello della commedia italiana <i>Un gradino più giù</i> di Stefano Landi. <i>Eratostene</i> è un caso di misantropia d'origine sessuale che porta alla pazzia; Intimità sono scene coniugali d'un impotente e una frigida.<i> L'infanzia di un capo</i>, che è il racconto più lungo del libro potrebbe essere definito <i>Le vie della libertà </i>all'incontrario. Come nella trilogia Sartre ha voluto rappresentare la via dell'uomo verso l'autodecisione e la realizzazione di sé stesso, qui è un po' la storia delle vie d'uscita che si chiudono e dell'uomo che si trova ad essere qualcosa che in fondo non voleva. E' la storia d'un giovane dell'alta borghesia nel periodo tra le due guerre, all'epoca dei surrealisti e dell'<i>Action française</i> e, come nei<i> Chemins</i>, il maggior interesse del racconto è nella documentazione storica, genere di cui Sartre è un maestro. Poi, nei momenti culminanti, il suo protagonista attacca a ragionare di essere e di nulla, e allora il lettore bene informato può rinfrescare le sue cognizioni d'esistenzialismo. <br /></span></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com04V8P5HQ2+94-43.8115955 174.55025-72.121829336178848 139.394 -15.501361663821157 -150.2935tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-44516696881944655772024-01-07T12:13:00.002+01:002024-01-07T12:13:24.255+01:00Manuela Dviri: il coraggio di guardare al futuro<p><span style="font-size: medium;"><b> </b></span></p><p><span style="font-size: medium;"><b> </b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhITi7SVoTMxEB86IkZMtBms_MfjRIWhx8y5wl7t3E8HWp96sY0A_kMmz8UijZrkD1pZCkPznKN2DtvdQIVIA5mdYDF4t6taDhavGffaC50TbKUFJm284bqbimbRYDaUHQaRefK4IWlWxCcYE7K-l8LAwqBQ2TVKTSGnn-6JCy0V92doHksMZC6qXLk2N8/s320/dviri.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="180" data-original-width="320" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhITi7SVoTMxEB86IkZMtBms_MfjRIWhx8y5wl7t3E8HWp96sY0A_kMmz8UijZrkD1pZCkPznKN2DtvdQIVIA5mdYDF4t6taDhavGffaC50TbKUFJm284bqbimbRYDaUHQaRefK4IWlWxCcYE7K-l8LAwqBQ2TVKTSGnn-6JCy0V92doHksMZC6qXLk2N8/w400-h225/dviri.jpg" width="400" /></a></b></span></div><span style="font-size: medium;"><b><br /></b></span><p></p><p><span style="font-size: medium;"><b> Manuela Dviri</b>, <i>Abbiamo bisogno di credere in un futuro diverso</i>, Gariwo, 13 dicembre 2023 </span><br /></p><p><span style="font-size: medium;">... “Due stati, una patria” o “una terra per tutti” è un'iniziativa di
israeliani e palestinesi che propongono un’idea completamente diversa da
quelle discusse da ormai decine di anni: <strong>la creazione di una confederazione dello stato di Israele e di uno stato palestinese basata sui confini del 1967</strong>,
sulla libertà di movimento e su istituzioni congiunte. Gli insediamenti
rimarranno sotto il controllo palestinese, i coloni potranno mantenere
la cittadinanza israeliana, e un numero simile di cittadini palestinesi
potrà vivere in Israele con lo status di residente. L'iniziativa è nata
circa undici anni fa da una serie di incontri avuti dal giornalista
israeliano <strong>Meron Rapoport </strong>(<em><a href="https://it.gariwo.net/interviste/meron-rapoport-da-tel-aviv-netanyahu-e-il-primo-responsabile-di-questo-fallimento-26564.html">leggi la nostra intervista</a>)</em> e dall'attivista politica palestinese <strong>Awni al-Mashni</strong>,
originario del campo profughi di Dehaishe a Betlemme ed editorialista
della stampa palestinese. Secondo il piano, la frontiera tra i due paesi
sarà stabilita secondo le linee del 4 giugno 1967, con la fine completa
dello stato di occupazione. Entrambi i paesi saranno democratici, il
loro regime sarà basato sul principio dello stato di diritto e sul
riconoscimento dell’universalità dei diritti umani, come riconosciuto
dal diritto internazionale. Il piano prevede anche meccanismi congiunti
per raggiungere il rappacificamento, compresa la creazione di comitati
congiunti di riconciliazione, che consentiranno una discussione
approfondita ed esauriente delle ingiustizie subite da entrambe le
parti, e piani congiunti per promuovere la riconciliazione a livello
della comunità, dei sistemi educativi e delle istituzioni culturali.</span></p>
<p><span style="font-size: medium;">Il paradigma tradizionale dei due stati, due popoli, come proposto in
tutti in questi anni, ignora la realtà: ebrei e arabi vivono già
insieme in questa terra. Dei 900.000 abitanti di Gerusalemme, il 40%
sono palestinesi e il 60% ebrei. Anche in Cisgiordania, 450.000 coloni
israeliani vivono tra 2,5 milioni di palestinesi. Impossibile negare
anche l'intreccio tra realtà geografica ed economica. In un’area
geografica così piccola, semplicemente non c’è modo di combattere il
cambiamento climatico o affrontare questioni come le risorse idriche, i
trasporti o il turismo senza un alto livello di cooperazione tra le due
parti. Anche l’economia, il commercio e lo sviluppo umano sono
profondamente interdipendenti. </span></p>
<p><span style="font-size: medium;">Un progetto simile, più recente, è la “<strong>Confederazione della Terra Santa</strong>” di <strong>Yossi Beilin</strong>, ex ministro della giustizia e tra i promotori di Oslo, creato in collaborazione con l’avvocato palestinese <strong>Hibba Husseini</strong>.
Secondo questo progetto, le parti inizierebbero i negoziati per un
anno, definendo i parametri di uno stato palestinese sovrano accanto a
quello di Israele e determinando la struttura di una confederazione
cooperativa come la comunità europea ai suoi inizi: Gerusalemme
diventerebbe la capitale di entrambi gli stati, una città parzialmente
aperta. </span></p>
<p><span style="font-size: medium;">“Il fatto che un’opinione sia stata ampiamente condivisa - disse <strong>Bertrand Russel </strong>-
non prova affatto che non sia del tutto assurda. Il mondo è pieno di
eventi magici che aspettano pazientemente che il nostro ingegno diventi
più acuto”.</span></p>
<p><span style="font-size: medium;">Dedicato a tutti coloro che seguono da lontano il reality show della
morte degli ultimi mesi, stando a tifare a volte per uno e a volte per
l’altro, ma mai per entrambi. <strong>Che invece sarebbe la cosa giusta da fare</strong>. </span></p>
<br />Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-13622975429126567912023-12-31T15:07:00.000+01:002023-12-31T15:07:12.857+01:00Addio monti<div class="itwiki-template-citazione">
<div class="itwiki-template-citazione-singola">
<p><br /></p><p><span style="font-size: medium;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEja9NlC70w08V0ZA9sryk97aXGTLG-8bcfuJ6i3jn92hnovL1LayLEd21shLljhck0rWT-PQxtWycyOt_3qP0XtWltcwLJ-eovMJ9mHP01m0Mbwf9Eco7kAQES-N95RLxP2kZCC9IhViAQzj3VX4yulD0vS2BnRLs0OJ5d4feNfeETquHiMfAqe3yL97Bw/s294/1941337.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="221" data-original-width="294" height="301" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEja9NlC70w08V0ZA9sryk97aXGTLG-8bcfuJ6i3jn92hnovL1LayLEd21shLljhck0rWT-PQxtWycyOt_3qP0XtWltcwLJ-eovMJ9mHP01m0Mbwf9Eco7kAQES-N95RLxP2kZCC9IhViAQzj3VX4yulD0vS2BnRLs0OJ5d4feNfeETquHiMfAqe3yL97Bw/w400-h301/1941337.jpg" width="400" /></a></span></div><span style="font-size: medium;"><br /><b>Alessandro Manzoni</b>,<i> I Promessi sposi</i>, capitolo VIII<br /></span><p></p><p><span style="font-size: medium;">Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime
inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente,
non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’
quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville
sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti;
addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne
allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte
volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si
disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si
maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se
non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel
piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza
uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento
nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano
nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi
ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello
del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da
gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.
</span></p><p><span style="font-size: medium;">Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un
desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni
dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi,
staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più
care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti
che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione
arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove,
sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’
passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore.
Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla
sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si
figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa,
dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore;
dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore
doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e
chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e
non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una
più certa e più grande. <br /><b>Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia, e poco diversi i pensieri degli<br />altri due pellegrini, mentre la barca gli andava avvicinando alla riva destra dell'Adda.</b></span></p><p><span style="font-size: medium;"><b>Franco Brevini, </b><i>La letteratura degli italiani</i>, Feltrinelli, Milano 2010, pag. 79<br /></span></p><p><span style="font-size: medium;">... basta leggere l' <i>Addio monti</i> di Lucia per misurare l'abisso che si spalanca tra la pagina e la realtà, tra il compassato congedo dal villaggio natio del personaggio dei Promessi sposi e le parole effettivamente pronunciate dal suo corrispettivo nella realtà, una popolana del contado lecchese del Seicento, annaspante nelle semiocclusive dentali del suo irto dialetto. Al punto che lo stesso scrittore sente il bisogno di chiosare: "Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia".<br /></span></p>
</div></div><p><b> </b></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-22207825175876568922023-12-28T17:22:00.000+01:002023-12-28T17:22:14.501+01:00Souvarine l'anarchico in Zola<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfB5g_uGZG9QHDjQ7kmIqirg1uZZLM84JFBIJnGkhLk036jV96KOGWm9NswPx2W6ic5upxnveDPoqs2yzK9JDboqu0U_n2kqEkXSeZmUuChadzgBJlF12VwtP5xawMweI0WnUuUbJK0qzVbAmuHcWINSBbZZ7sQ2lW4AjuV0zdipWZ3Fihyev_A1lh9WQ/s225/Souvarine.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="225" data-original-width="225" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfB5g_uGZG9QHDjQ7kmIqirg1uZZLM84JFBIJnGkhLk036jV96KOGWm9NswPx2W6ic5upxnveDPoqs2yzK9JDboqu0U_n2kqEkXSeZmUuChadzgBJlF12VwtP5xawMweI0WnUuUbJK0qzVbAmuHcWINSBbZZ7sQ2lW4AjuV0zdipWZ3Fihyev_A1lh9WQ/w400-h400/Souvarine.jpg" title="Stefano Cassetti interpreta il ruolo di Souvarine nella versione cinemetografica di Germinal con la regia di Claude Berri (1993)" width="400" /></a></div><span style="font-size: medium;">Stefano Cassetti interpreta il ruolo di Souvarine nella versione cinematografica di Germinal con la regia di Claude Berri (1993)</span><br /><p><br /></p><p><span style="font-size: medium;">É. ZOLA, Germinale, Einaudi, Torino 1994, pp. 219-220, trad. it. C. Sbarbaro<br /></span> <span style="font-size: medium;"><br />A tutto suo agio Souvarine emise un filo di fumo; poi: – […] La loro Internazionale sta per<br />diventare davvero efficiente. Se ne occupa Lui.<br />– Lui chi?<br />– Lui!<br />– Pronunciò il monosillabo, smorzando la voce, con tono di religioso rispetto. Del mae-<br />stro, parlava: di Bakunin, lo sterminatore.<br />– Lui solo può dare il colpo di grazia, – proseguì, – mentre con la loro teoria dell’evolu-<br />zione, i tuoi scienziati non sono che dei codardi… Sotto la sua direzione, l’Internazionale,<br />prima di tre anni annienterà il vecchio mondo.<br />Smanioso di istruirsi, di comprendere quel culto della distruzione sul quale il russo non<br />lasciava cadere che qualche vaga frase quasi volesse tener per sé il segreto, Stefano pen-<br />deva ora dalle sue labbra.<br />– Ma insomma spiegami… Quale scopo vi proponete?<br />– La distruzione di tutto… Non più nazioni, non più governi, non più proprietà, non più<br />Dio, non più culto.<br />– Sì, capisco… Soltanto a che vi porterà questo?<br />– Alla comunità primitiva, informe; a un mondo nuovo, al ricominciamento di tutto.<br />– E i mezzi? Come contate di arrivare a questa distruzione integrale?<br />– Col fuoco, col veleno, col pugnale. Il brigante è il vero eroe, il vendicatore del popolo,<br />il rivoluzionario in atto, che non sa di frasi attinte nei libri. Occorre che una serie di spaven-<br />tosi attentati atterrisca i potenti e svegli il popolo.<br />Parlando, il viso di Souvarine diventava spaventoso; gli occhi chiari s’accendevano d’un<br />ardore mistico, le mani femminee si contraevano sull’orlo del tavolo quasi volessero spez-<br />zarlo; una specie di estasi pareva sollevarlo dalla sedia. Sconcertato, l’altro lo guardava; e<br />il pensiero gli andava alle rade confidenze che il russo gli aveva fatto: di mine caricate sotto<br />il palazzo dello zar, di capi di polizia scannati come cinghiali; d’una compagna di fede, la sola<br />donna che Souvarine avesse amato, impiccata a Mosca un mattino di pioggia, mentre, per-<br />duto nella folla, lui le inviava l’ultimo saluto.<br />Scartando da sé tutte quelle visioni atroci: – No, no! – Stefano protestò. – Non s’era an-<br />cora arrivati a questo, da noi! L’assassinio, l’incendio, no, no! È iniquo, è mostruoso. Da noi<br />tutti insorgerebbero e farebbero giustizia sommaria del colpevole!<br />E poi lui seguitava a non capire; contro l’abominevole proposito di sterminare l’umanità<br />alla radice, come si falcia raso terra un campo di segale, tutto in lui si ribellava. E dopo? Che<br />si farebbe, dopo? Da un simile salasso come risorgerebbe l’umanità?<br />– Spiegami meglio! Qual è il vostro programma? Per metterci in cammino noi francesi<br />abbiamo bisogno di conoscere la meta.<br />L’altro, senza uscire dalla sua trasognata impassibilità: – Tutti i ragionamenti sono cri-<br />minali, perché impediscono la distruzione pura e semplice e ostacolano la marcia della ri-<br />voluzione.<br /><br /></span></p><p><span style="font-size: medium;"><b>Il testo originale (1885)</b><br /></span></p><p><span style="font-size: medium;"> Souvarine, après avoir soufflé lentement un jet<br />de fumée, répondit par son mot favori :<br />– Oui, des bêtises ! mais, en attendant, c’est<br />toujours ça... D’ailleurs, leur Internationale va<br />marcher bientôt. Il s’en occupe.<br />– Qui donc ?<br />– Lui !<br />Il avait prononcé ce mot à demi-voix, d’un air<br />de ferveur religieuse, en jetant un regard vers<br />l’Orient. C’était du maître qu’il parlait, de<br />Bakounine l’exterminateur.<br />– Lui seul peut donner le coup de massue,<br />continua-t-il, tandis que tes savants sont des<br />lâches, avec leur évolution... Avant trois ans,<br />l’Internationale, sous ses ordres, doit écraser le<br />vieux monde.<br />Étienne tendait les oreilles, très attentif. Il<br />brûlait de s’instruire, de comprendre ce culte de<br />la destruction, sur lequel le machineur ne lâchait<br />que de rares paroles obscures, comme s’il eût<br />gardé pour lui les mystères.<br />– Mais enfin explique-moi... Quel est votre<br />but ?<br />– Tout détruire... Plus de nations, plus de<br />gouvernements, plus de propriété, plus de Dieu ni<br />de culte.<br />– J’entends bien. Seulement, à quoi ça vous<br />mène-t-il ?<br />– À la commune primitive et sans forme, à un<br />monde nouveau, au recommencement de tout.<br />– Et les moyens d’exécution ? comment<br />comptez-vous vous y prendre ?<br />– Par le feu, par le poison, par le poignard. Le<br />brigand est le vrai héros, le vengeur populaire, le<br />révolutionnaire en action, sans phrases puisées<br />dans les livres. Il faut qu’une série d’effroyables<br />attentats épouvantent les puissants et réveillent le<br />peuple.<br />En parlant, Souvarine devenait terrible. Une<br />extase le soulevait sur sa chaise, une flamme<br />mystique sortait de ses yeux pâles, et ses mains<br />délicates étreignaient le bord de la table, à la<br />briser. Saisi de peur, l’autre le regardait, songeait<br />aux histoires dont il avait reçu la vague<br />confidence, des mines chargées sous les palais du<br />tzar, des chefs de la police abattus à coups de<br />couteau ainsi que des sangliers, une maîtresse à<br />lui, la seule femme qu’il eût aimée, pendue à<br />Moscou, un matin de pluie, pendant que, dans la<br />foule, il la baisait des yeux une dernière fois.<br />– Non ! non ! murmura Étienne, avec un grand<br />geste qui écartait ces abominables visions, nous<br />n’en sommes pas encore là, chez nous.<br />L’assassinat, l’incendie, jamais ! C’est<br />monstrueux, c’est injuste, tous les camarades se<br />lèveraient pour étrangler le coupable !<br />Et puis, il ne comprenait toujours pas, sa race<br />se refusait au rêve sombre de cette extermination<br />du monde, fauché comme un champ de seigle, à<br />ras de terre. Ensuite, que ferait-on, comment<br />repousseraient les peuples ? Il exigeait une<br />réponse.<br />– Dis-moi ton programme. Nous voulons<br />savoir où nous allons, nous autres.<br />Alors, Souvarine conclut paisiblement, avec<br />son regard noyé et perdu :<br />– Tous les raisonnements sur l’avenir sont<br />criminels, parce qu’ils empêchent la destruction<br />pure et entravent la marche de la révolution.<br /><br /></span></p><p><span style="font-size: medium;"> </span></p><p><span style="font-size: medium;"> </span></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-88613211554301910522023-12-26T18:44:00.001+01:002023-12-26T18:44:22.755+01:00Nell<p><span style="font-size: medium;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiC16_iSE2XJkZnBfZhiflIPuwVr00A5o4HGi1hGmXmYZHuvxnRXZ04wJ9DDWqIFK0E_DdSWfsmfTRQ1uRjoxV2tyxr9HNcGwJHSWxhtXTE64_JkpwthcOsBQKq0ZgTAhX8qU-2HM3RHv0Pk4s4ZtSfZiTZDXfOUv3d10CXP_4QqI_SE7f0cvxTnn751EU/s1000/71KbRAE6ByL._AC_UF1000,1000_QL80_.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="634" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiC16_iSE2XJkZnBfZhiflIPuwVr00A5o4HGi1hGmXmYZHuvxnRXZ04wJ9DDWqIFK0E_DdSWfsmfTRQ1uRjoxV2tyxr9HNcGwJHSWxhtXTE64_JkpwthcOsBQKq0ZgTAhX8qU-2HM3RHv0Pk4s4ZtSfZiTZDXfOUv3d10CXP_4QqI_SE7f0cvxTnn751EU/w254-h400/71KbRAE6ByL._AC_UF1000,1000_QL80_.jpg" width="254" /></a></span></div><span style="font-size: medium;"> </span><p></p><p><span style="font-size: medium;">In Victor Hugo la piccola Cosette (<i>Les Misérables</i>, 1862) ha qualcosa di ripugnante, è ossuta, mal vestita, piena di lividi, ha otto anni e sembra averne sei: "<span class="alinea">Tutta la persona di questa fanciulla, il suo incedere, il suo atteggiamento. il suono della sua voce, i suoi intervalli tra una parola e l'altra, il suo sguardo, il suo silenzio, ogni suo minimo gesto, esprimevano e traducevano una sola idea: la paura". Tutt'altra cosa questa Nell (abbreviazione di Helen, precisa Verne in nota), figura non meno romantica e tuttavia portatrice di una qualche estraneità al mondo ordinario delle cose e delle persone: un essere singolare, bizzarro e affascinante, un folletto di aspetto un po' soprannaturale, nientemeno. <br /><br /><br /></span><b>Jules Verne</b>, <i>Les Indes noires</i>, 1877</span></p><p><span style="font-size: medium;"><i> </i></span></p><p><span style="font-size: medium;"><i>Nell au cottage</i></span></p><p><span style="font-size: medium;">Deux heures après, Harry, qui n’avait pas<br />aussitôt recouvré ses sens, et l’enfant, dont la<br />faiblesse était extrême, arrivaient au cottage avec<br />l’aide de Jack Ryan et de ses compagnons.<br />Là, le récit de ces événements fut fait au vieil<br />overman, et Madge prodigua ses soins à la pauvre<br />créature, que son fils venait de sauver.<br />Harry avait cru retirer un enfant de l’abîme...<br />C’était une jeune fille de quinze à seize ans, au<br />plus. Son regard vague et plein d’étonnement, sa<br />figure maigre, allongée par la souffrance, son<br />teint de blonde que la lumière ne semblait avoir<br />jamais baigné, sa taille frêle et petite, tout en<br />faisait un être à la fois bizarre et charmant. Jack<br />Ryan, avec quelque raison, la compara à un<br />farfadet d’aspect un peu surnaturel. Était-ce dû<br />aux circonstances particulières, au milieu<br />exceptionnel dans lequel cette jeune fille avait<br />peut-être vécu jusqu’alors, mais elle paraissait<br />n’appartenir qu’à demi à l’humanité. Sa<br />physionomie était étrange. Ses yeux, que l’éclat<br />des lampes du cottage semblait fatiguer,<br />regardaient confusément, comme si tout eût été<br />nouveau pour eux.<br />À cet être singulier, alors déposé sur le lit de<br />Madge et qui revint à la vie comme s’il sortait<br />d’un long sommeil, la vieille Écossaise adressa<br />d’abord la parole :<br />« Comment te nommes-tu ? lui demanda-t-<br />elle.<br />– Nell, répondit la jeune fille.<br />– Nell, reprit Madge, souffres-tu ?<br />– J’ai faim, répondit Nell. Je n’ai pas mangé<br />depuis... depuis... »</span></p><p><span style="font-size: medium;"><br /></span></p><p><span style="font-size: medium;">Traduzione di Giansiro Ferrata e Mario Spagnol, Oscar Mondadori, Milano 1971</span></p><p><span style="font-size: medium;">Due ore dopo, Harry, che non aveva ripreso subito i sensi, e la piccola, che era in uno stato di estrema debolezza, arrivavano al <i>cottage</i> con l'aiuto di Jack Ryan e dei suoi compagni.<br />Là, ci si affrettò a fare il rescoconto degli ultimi avvenimenti al vecchio <i>overman</i>, mentre Madge si occupava della povera creatura che suo figlio aveva salvata. <br />Harry aveva creduto di portare con sé, dal fondo dell'abisso, una bambina. Era, in realtà, una giovinetta di quindici o sedici anni al più. Lo sguardo vago e pieno di stupore, il viso magro, allungato dai patimenti, la carnagione di bionda che la luce del giorno sembrava non aver mai sfiorato, la figurina minuta e fragile, tutto ne faceva un essere insieme bizzarro e incantevole. Jack Ryan la paragonò, non completamente a torto, a un folletto. Lo si dovesse o meno alle circostanze, certo è che la piccola non sembrava appartenere per intiero all'umanità. Aveva una ben strana espressione. Gli occhi, che sebravano affaticati dalla luce delle lampade, guardavano in modo vago come se tutto riuscisse loro nuovo.<br />A quell'essere bizzarro, che sul letto di Madge tornava alla vita come se uscisse da un lungo sonno, la vecchia scozzese fu la prima a rivolgere la parola: <br />"Come ti chiami?" domandò.<br />"Nell."<br />"Nell, riprese Madge, senti qualche male?"<br />"Ho fame", rispose Nell, "non mangio da... da..." <br /></span></p><p><br /></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-72689632832721775692023-11-27T14:43:00.000+01:002023-11-27T14:43:12.797+01:00La gran bonaccia delle Antille<div><span style="font-size: medium;"><b> <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgN-n-YkFJYUSJtFYdiMt09WmfE_GygCt8Hq22Qbq1DXiqzgH4-MTYDLrVajWdSeWGJd-7p7AuRsII5MzTl_dNIqH51uh8xypeh1VbucWGeVUQaNH2YeMY-eNNUZbqrj4HEAnKleRnMtHDrYo9FFD-ICcm9x6zxXmH66TPW97qfNDAwOcMLcer0GtRJrzI/s1216/pirati09.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1216" height="404" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgN-n-YkFJYUSJtFYdiMt09WmfE_GygCt8Hq22Qbq1DXiqzgH4-MTYDLrVajWdSeWGJd-7p7AuRsII5MzTl_dNIqH51uh8xypeh1VbucWGeVUQaNH2YeMY-eNNUZbqrj4HEAnKleRnMtHDrYo9FFD-ICcm9x6zxXmH66TPW97qfNDAwOcMLcer0GtRJrzI/w640-h404/pirati09.webp" width="640" /></a></div><br /></b></span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div><span style="font-size: medium;"><span><b>Italo Calvino<i>, </i></b><i>La gran bonaccia delle Antille</i><b><i>, </i></b>Città aperta<b><i>, </i></b>n. 4-5, 25 luglio 1957<b><i><br /></i></b></span></span>
<div><span style="font-size: medium;"><span> </span></span></div><div><span style="font-size: medium;"><span>Dovevate sentire mio zio Donald, che aveva navigato con l’ammiraglio Drake, quando attaccava a narrare una delle sue avventure.</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– Zio Donald, zio Donald! – gli gridavamo nelle orecchie, quando
vedevamo il guizzo di uno sguardo affacciarsi tra le sue palpebre
perennemente socchiuse, – raccontateci come andò quella volta della gran
bonaccia dellAntille!</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– Eh? Ah, bonaccia, sì, sì, la gran bonaccia… – cominciava lui, con
voce fioca. – Eravamo al largo delle Antille, procedevamo a passo di
lumaca, sul mare liscio come l’olio con tutte le vele spiegate per
acchiappare qualche raro filo di vento. Ed ecco che ci troviamo a tiro
di cannone da un galeone spagnolo. Il galeona sta va fermo, noi ci
fermiamo pure, e lì, in mezzo alla gran bonaccia, prendiamo a
fronteggiarci. Non potevamo passare noi, non potevano passare loro. Ma
loro, a dire il vero, non avevano nessuna intenzione di andare avanti:
erano lì apposta per non lasciar passare noi. Noialtri invece, flotta di
Drake, avevamo fatto tanta strada non per altro che per non dar tregua
alla flotta spagnola e togliere da quelle mani di papisti il tesoro
della Grande Armada e consegnarlo in quelle di Sua Graziosa Maestà
Britannica la Regina Elisabetta. Però ora, di fronte ai cannoni di quel
galeone, con le nostre poche colubrine non potevamo reggere e così ci
guardavamo bene dal far partire un colpo. Eh, sì, ragazzi, tali erano i
rapporti di forza, voi capite. Quei dannati del galeone avevanoprovviste
d’acqua, frutta delle Antille, rifornimenti facili dai loro porti,
potevano stare lì quanto volevano: anche loro però si trattenevano dallo
sparare, perché per gli ammiragli di Sua Maestà Cattolica quella
guerricciuola con gli Inglesi così come stava andando era proprio quel
che ci voleva, e se le cose si mettevano diversamente, per una battaglia
navale vinta o persa, tutto l’equilibrio andava all’aria, certo ci
sarebbero stati dei cambiamenti, e loro di cambiamenti non ne volevano.
Così passavano i giorni, la bonaccia continuava, noi continuavamo a star
di qua e loro di là, immobili a largo delle Antille…</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– E come andò a finire? Diteci, zio Donald! – facemmo noi, vedendo
che il vecchio lupo di mare già piegava il mento sul petto e riprendeva a
sonnecchiare.</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>“Ah? Sì, sì, la gran bonaccia! Settimane durò. Li vedevamo coi
cannocchiali, quei rammolliti di papisti, quei marinai da burla, sotto
gli ombrellini con le frange, il fazzoletto tra il cranio e la parrucca
per detergere il sudore, che mangiavano gelati di ananasso. E noi che
eravamo i più valenti marinai di tutti gli oceani, noi che avevamo per
destino di conquistare alla Cristianità tutte le terre che vivevano
nell’errore, noi ce ne dovevamo star lì con le mani in mano, pescando
alla lenza dalle murate, masticando tabacco. Da mesi eravamo in rotta
sull’Atlantico, le nostre scorte erano ridotte all’estremo e avariate,
ogni giorno lo scorbuto si portava via qualcuno, che piombava in mare in
un sacco mentre il nostromo borbottava in fretta due versetti della
Bibbia. Di là, sul galeone, i nemici spiavano col cannocchiale ogni
sacco che sprofondava in mare, e facevano segni con le dita come
affaccendati a contare le nostre perdite. Noi inveivamo contro di loro:
ce ne voleva prima di darci tutti morti, noialtri che eravamo passati
attraverso tanti uragani, altro che quella bonaccia delle Antille…</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– Ma una via d’ uscita come la trovaste, zio Donald?”</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– Cosa dite? Via d’ uscita? Mah, ce lo domandavamo di continuo per
tutti quei mesi che durò la bonaccia… Molti dei nostri, specie tra i più
vecchie i più tatuati, dicevano che noi eravamo sempre stati una nave
da corsa, buona per azioni rapide, e ricordavano i tempi in cui le
nostre colubrine sguarnivano delle alberature le più potenti navi
spagnole, aprivano falle nelle murate, giostravano con brusche virate…
Ma sì, nella marineria di corsa, certo eravamo stati bravi, ma allora
c’era il vento, si andava svelto… Adesso, in quella gran bonaccia,
questi discorsi di sparatorie e d’abbordaggi erano solo un modo di
trastullarci aspettando chissacché; una levata di libeccio, un
fortunale, addirittura un tifone… Perciò gli ordini erano che non
dovessimo neanche pensarci, e il capitano ci aveva spiegato che la vera
battaglia navale era quello star lì fermi guardandoci, tenendoci pronti,
ristudiando i piani delle grandi battaglie navali di Sua Maestà
Britannica e il regolamento del maneggio delle vele e il manuale del
perfetto timoniere, e le istruzioni per l’uso delle colubrine, perché le
regole della flotta dell’ammiragio Drake restavano in tutto e per tutto
le regole della flotta dell’ammiragio Drake: se si cominciava a
cambiarenon si sapeva dove…</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– E poi, zio Donald? Ehi zio Donald! Come riusciste a muovervi?</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– Uhm… Uhm… Cosa vi dicevo? Ah sì, guai se non si teneva la più
rigida disciplina e obbedienza alle regole nautiche. Su altre navi della
flotta di Drake c’erano stati cambiamenti ufficiali e anche
ammutinamenti, sommosse: si voleva ormai un altro modo di andar per i
mari, c’erano semplici uomini della ciurma, marinai di quarto e pure
mozziche ormai s’erano fatti esperti e avevano da dir la loro sulla
navigazione… Questo i più degli ufficiali e quartiermastri ritenevano il
pericolo più grave, perciò guai se sentivano in aria discorsi di chi
voleva ristudiare da capo il regolamento navale di Sua Maestà
Elisabetta. Niente, dovevamo continuare a ripulire le spingarde, lavare
il ponte, assicurarci del funzionamento delle vele, che pendevano flosce
nell’aria senza vento, e nelle ore libere delle lunghe giornate lo
svago ritenuto più sano erano i soliti tatuaggi sul petto e sulle
braccia, che inneggiavano alla nostra flotta dominatrice dei mari. E nei
discorsi si finiva per chiudere un occhio su quelli che non riponevano
altra speranza che in un aiuto del cielo, come un uragano che magari ci
avrebbe mandato a picco tutti, amici e nemici, piuttosto che quelli che
volevano trovare un modo per muovere la nave nella condizione presente…
Capitò che un gabbiere, certo Slim John, non so se il sole in testa gli
avesse fatto male o che cos’altro, cominciò a trastullarsi con
unacaffettiera. Se il vapore solleva il coperchio della caffettiera, –
diceva questo Slim John, – allora anche la nostra nave, se fosse fatta
come una caffettiera potrebbe andare senza vele… Era un discorso un po’
sconnesso, bisogna dire, ma forse, studiandoci ancora sopra, se ne
poteva cavare qualche costrutto. Macché: gli buttarono in mare la
caffettiera e poco mancò che ci buttassero anche lui. Queste storie di
caffettiere, presero a dire, erano poco meno che idee da papisti… è in
Spagna che si costuma il caffè ele caffettiere, non danoi… Mah, io non
ne capivo nulla, ma purché si muovessero, con quello scorbuto che
continuava a falciar gente…</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– E allora, zio Donald, – esclamammo noi, gli occhi lucidi
d’impazienza, prendendolo per i polsi e scuotendolo, – sappiamo che vi
salvaste, che sgominaste il galeone spagnolo, ma spiegateci come
avvenne, zio Donald!</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>-Ah sì, anche là nel galeone, mica che fossero tutti della stessa
idea, manco per sogno! Lo si vedeva, osservandoli col cannocchiale,anche
lì c’erano quelli che volevano muoversi, gli uni contro di noi a
cannonate, altri che avevano capito che non c’era altra via che
affiancarsi a noi, perché il prevalere della flotta d’Elisabetta avrebbe
fatto rifiorire i traffici da tempo languenti… Ma anche lì, gli
ufficiali dell’ammiragliato spagnolo non volevano che si muovesse nulla,
per carità! Su quel punto i capi della nostra nave e quelli della nave
nemica, pur odiandosi a morte, andavano proprio d’accordo.</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>Cosicché, la bonaccia non accennando a finire, si prese a lanciare
dei messaggi, con le bandierine da una nave all’ altra come si volesse
aprire un dialogo. Ma non si andava più in là d’un Buon giorno! Buona
sera! Neh, che fa bel tempo! e così via.</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– Zio Donald! Zio Donald! Non riaddormentatevi, per carità! Diteci, come riuscì a muoversi la nave di Drake!</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– Ehi, ehi, non sono mica sordo! Capitemi, fu una bonaccia che
nessuno s’aspettava durasse tanto, addirittura per degli anni, là al
largo delle Antille, e con un’afa, un cielo pesante, basso, che pareva
fosse lì lì per scoppiare in un uragano. Noi stillavamo sudore, tutti
nudi, arrampicati su per le sartie, cercando un po’ d’ombra sotto le
vele avvoltolate. Tutto era così immobile, che anche quelli di noi che
erano più impazienti di cambiamenti e di novità, stavano immobili anche
loro, uno in cima all’albero di parrocchetto, un altro sulla randa di
maestra, un altro ancora cavalcioni del pennone, appollaiati lassù a
sfogliare atlanti o carte nautiche…</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– E allora, zio Donald! – ci buttammo in ginocchio ai suoi piedi,
lo supplicavamo a mani giunte, lo scuotevamo per le spalle, urlando.</span></span></div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>– Diteci come andò a finire, in nome del cielo! Non possiamo più aspettare! Continuate il vostro racconto, zio Donald!</span></span></div>
</div>
<div><span style="font-size: medium;"><span>—————————————————————————————</span></span></div>
<div>
<div><span style="font-size: medium;">La risposta commissionata da Togliatti aveva per titolo <i>La grande caccia delle Antille</i>
e fu pubblicata su Rinascita (settembre 1957). L’autore Maurizio
Ferrara si nascondeva dietro lo pseudonimo di Little Bald [piccolo
calvo]. Un Vecchio con gli occhiali, salito sul cassero di una nave,
riusciva a impedire che il Capo-stivatore bombardasse le case di alcuni
ricchi mentre una folla festeggiava l’ equipaggio per aver sconfitto un
odioso pirata: «Fratelli, levatevi dalla testa idee sinistre. Noi siamo
quelli della “Speranza”, ramponieri e cacciatori, non pirati. La gente
buona spera in noi. Davanti a noi non vi sono case da assediare, ma
pascoli acquatici ove soffia ancora libera la Balena Bianca… Riponete
archibugi e spingarde, impugnate il rampone, la Grande caccia è aperta».
Il Vecchio intento a trasformare i marinai in pescatori della Balena
avversaria difficile da prendere era Togliatti, il Capo-stivatore Pietro
Secchia, il pirata sconfitto Mussolini.</span></div></div><p><span style="font-size: medium;"> </span></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-17318022207544814012023-11-24T17:58:00.002+01:002023-11-24T17:58:49.391+01:00Il toro rosso<p></p><p></p><p></p><p></p><p></p><p></p><p></p><p></p><p></p><p></p><p></p><p></p><p></p><p><b> </b></p><p><b> </b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKj2DRbOu5ay6hV5_tks6kskVRhyX7ienbkEIrmfouppYvTu3bweC7CUyDVJ1F3tyFuS3J8wjR-LOLpufS3Jnol8NjqwuYnoKt62TKXfd40gz7GFW_6E2yPByZHkYGhTZ6xy_2zvtWCWm99dQOWdjXeBXOKM03D1T-bwpsdxHjXhIvrsCPbOahqhCo60M/s225/grande%20toro%20rosso.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="224" data-original-width="225" height="637" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKj2DRbOu5ay6hV5_tks6kskVRhyX7ienbkEIrmfouppYvTu3bweC7CUyDVJ1F3tyFuS3J8wjR-LOLpufS3Jnol8NjqwuYnoKt62TKXfd40gz7GFW_6E2yPByZHkYGhTZ6xy_2zvtWCWm99dQOWdjXeBXOKM03D1T-bwpsdxHjXhIvrsCPbOahqhCo60M/w640-h637/grande%20toro%20rosso.jpg" width="640" /></a></b></div><b><br /> <br /></b><p></p><p><b>Italo Calvino</b>, <i>Il toro rosso</i>, l'Unità edizione piemontese 23 marzo 1947 <br /><br />Pochi buoi, dalle nostre parti. Non ci son prati da pascolare, né campi grandi da essere arati: ci<br />son solo sterpi da brucare e brevi strisce di una terra che non si rompe se non si zappa. Poi<br />stonerebbero, i buoi e le mucche, larghi e placidi come sono, in queste valli strette e dirupate; qui ci<br />vogliono bestie magre, tutte tendini, che camminino su per i sassi: muli e capre.<br />Il bue degli Scarassa era l’unico della vallata, e non stonava, era più forte e docile di un mulo, un<br />piccolo bue tozzo, tarchiato, da carico; Morettobello, si chiamava. I due Scarassa, padre e figlio, si<br />guadagnavano la vita col bue, facendo viaggi per i vari proprietari della vallata, portando i sacchi di<br />frumento al mulino, o le foglie di palma agli spedizionieri, o i sacchi di concime dal consorzio.<br />Quel giorno Morettobello dondolava sotto il carico bilanciato alle due parti del basto: legna<br />d’ulivo spaccata da vendere a un cliente in città. Dall’anello infilzato nelle narici nere e molli la<br />corda lenta da toccar terra finiva nelle mani ciondolanti di Nanin, figlio di Battistin Scarassa,<br />allampanato e macilento come il padre. Erano una strana coppia: il bue con le gambe corte, la<br />pancia bassa e larga, come un rospo, faceva passi prudenti, sotto il carico; lo Scarassa, con la faccia<br />lunga e ispida di peli rossi, i polsi scoperti dalle maniche troppo corte, buttava avanti i passi che<br />sembrava avesse due ginocchi in ogni gamba, sotto i pantaloni che quando tirava vento s’agitavano<br />come vele, come se non ci fosse dentro nessuno.<br />C’era la primavera, quel mattino; cioè c’era nell’aria quel senso improvviso di scoperta che si<br />prova tutti gli anni, un mattino, quel ricordarsi una cosa come dimenticata da mesi. Morettobello, di<br />solito così tranquillo, era inquieto. Già Nanin, al mattino, cercandolo nella stalla non l’aveva<br />trovato; era in mezzo al campo che girava intorno gli occhi sperduti. Ora, andando, Morettobello si<br />fermava ogni tanto, alzava le narici infilzate dall’anello, annusava l’aria con un breve muggito.<br />Nanin dava uno strappo alla corda e una voce gutturale di quel linguaggio che s’usa tra gli uomini e<br />i buoi.<br />Morettobello sembrava ogni tanto preso da un pensiero: aveva fatto un sogno, quella notte,<br />perciò era uscito dalla stalla e quel mattino si trovava sperduto nel mondo. Aveva sognato cose<br />dimenticate, come d’un’altra vita: grandi pianure erbose e vacche, vacche, vacche a perdita<br />d’occhio che avanzavano muggendo. E aveva visto anche se stesso, là in mezzo, a correre nella<br />torma delle vacche come cercando. Ma c’era qualcosa che lo tratteneva, una tenaglia rossa<br />conficcata nelle sue carni, che gl’impediva di traversare quella torma. Al mattino, andando,<br />Morettobello sentiva la ferita rossa della tenaglia ancora viva su di sé, come una disperazione<br />ineffabile nell’aria.<br />Per le strade non si vedevano che bambini vestiti di bianco con al braccio la fascia frangiata<br />d’oro, e bambine vestite da sposa: era il giorno della cresima. Al vederli qualcosa si oscurò in fondo<br />all’animo di Nanin, come un’antica, furiosa paura. Era forse perché suo figlio e sua figlia non<br />avrebbero mai avuto quegli abiti bianchi per la cresima? Certo, dovevano costare molto. Allora gli<br />prese una rabbia, una smania, di far fare la cresima ai suoi figlioli: vedeva già il maschietto con<br />l’abito bianco alla marinara e la fascia al braccio con la frangia d’oro, la femmina col velo e lo<br />strascico nella chiesa tutta ombre e luccichio; e i paramenti del prete e della chiesa, i pizzi, i fiocchi, i candelieri s'agitavano nella sua mente come una smania strana, che non si poteva esaurire.<br />Il bue sbuffò: ricordava il sogno, vedeva la mandria di vacche galoppanti, come in una zona fuori<br />della sua memoria, e lui che proseguiva in mezzo a loro sempre più a fatica. A un tratto in mezzo<br />alla torma delle vacche, su una piccola altura, rosso come il dolore della ferita, era apparso il grande<br />toro, dalle corna come falci che toccavano il cielo, che si gettava contro di lui muggendo.<br />I bambini della cresima, sul piazzale della chiesa, presero a correre intorno al bue. - Un bue! Un<br />bue! - gridavano. Era una vista insolita un bue, da quelle parti. I più coraggiosi si azzardavano fino<br />a toccargli la pancia, i più esperti gli guardavano sotto la coda: - É castrato! Guardatelo! É castrato!<br />- Nanin si mise a urlare, a dar manate in aria per mandarli via. Allora i bambini vedendolo così<br />allampanato, macilento e rattoppato, cominciarono a fargli il verso e a canzonarlo col suo<br />soprannome: "Scarassa! Scarassa!" che vuol dire palo da vigna.<br />Nanin sentiva quella antica paura farglisi più viva, più angosciosa. Vedeva altri ragazzi vestiti da<br />cresima che lo canzonavano, che canzonavano non lui ma suo padre, macilento, allampanato e<br />rattoppato come lui, il giorno che l’aveva accompagnato a cresimarsi. E risentì viva come allora<br />quella vergogna che aveva provato per suo padre, al vedere i ragazzi che gli saltavano intorno e gli<br />buttavano addosso i petali di rosa calpestati dalla processione, chiamandolo: Scarassa. Quella<br />vergogna l’aveva accompagnato per tutta la vita, l’aveva riempito di paura a ogni sguardo, a ogni<br />riso. Ed era tutto colpa di suo padre; cosa aveva ereditato da suo padre più che miseria, stupidità,<br />goffaggine della persona allampanata? Egli odiava suo padre, ora lo comprendeva, per quella<br />vergogna fattagli provare da ragazzo, per tutta la vergogna, la miseria della sua vita. E gli venne<br />paura in quel momento che i suoi figli si sarebbero vergognati di lui come lui del padre, che un<br />giorno l’avrebbero guardato con l’odio che era in quel momento nei suoi occhi. Decise: «Mi<br />comprerò anch’io un vestito nuovo, per il giorno della loro cresima, un vestito a quadretti, di<br />flanella. E un berretto di tela bianca. E una cravatta di colore. E anche mia moglie dovrà comprarsi<br />un vestito nuovo, di stoffa, grande che le stia anche quando è incinta. E andremo tutti insieme ben<br />vestiti nella piazza della chiesa. E compreremo il gelato al carretto del gelataio». Ma gli restava una<br />smania che non sapeva come esaurire. <br />Arrivato a casa, portò il bue nella stalla e gli tolse il basto. Poi andò a mangiare; la moglie e i<br />bambini e il vecchio Battistin erano già a tavola che trangugiavano una minestra di fave. Il vecchio<br />Scarassa, Battistin, pescava le fave con le dita e le succhiava buttando via la pellicola. Nanin non<br />stava attento ai loro discorsi. "Bisogna che i bambini facciano la cresima", - disse. La moglie alzò verso di lui la faccia smunta e spettinata.<br />"E i soldi per vestirli?" chiese. <br />"Dovranno avere dei bei vestiti", continuò Nanin senza guardarla. - Il maschio alla marinara, bianco, con la frangia d’oro al braccio, la femmina da sposa, con lo strascico e il velo.<br />Il vecchio e la moglie lo guardavano a bocca aperta. <br />"E i soldi?" ripeterono<br />"E io mi comprerò un vestito di flanella a quadretti, - continuò Nanin, - e tu un vestito di stoffa,<br />grande che ti stia anche quando sei incinta".<br />Alla moglie venne una idea: - Ah! Hai trovato da vendere la terra del Gozzo. La terra del Gozzo era un campo ereditato, tutto pietre e cespugli, che li faceva pagar tasse senza render niente. A Nanin seccava che credessero questo: stava dicendo delle cose assurde, ma c’insisteva, con rabbia.<br />"No, non ho trovato nessuno. Ma noi dobbiamo avere tutto questo", s’intestò, senza levare gli<br />occhi dal piatto. Invece gli altri erano già pieni di speranze: se aveva trovato da vendere la terra del<br />Gozzo, tutte le cose che aveva detto erano possibili.<br />"Coi soldi della terra, - disse il vecchio Battistin, - mi posso far fare l’operazione dell’ernia".<br />Nanin sentiva d’odiarlo. "Ci creperai, con la tua ernia!" gridò.<br />Gli altri stavano attenti se impazziva.<br />Intanto, nella stalla, il bue Morettobello s’era slegato, aveva abbattuto la porta, era uscito nel<br />campo. A un tratto entrò nella stanza, si fermò, e lanciò un muggito, lungo, lamentoso, disperato.<br />Nanin s’alzò imprecando e lo ricacciò nella stalla a bastonate.<br />Rientrò: tutti tacevano, anche i bambini. Poi il maschio gli chiese: "Papà, quando me lo compri il<br />vestito alla marinara?"<br />Nanin alzò gli occhi su di lui, gli occhi uguali a quelli di suo padre Battistin.<br />- Mai! - urlò.<br />Sbatté la porta e andò a dormire. <br /></p><br />Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-65120541742118289452023-11-22T11:36:00.000+01:002023-11-22T11:36:00.822+01:00Il padrone delle mine<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQ3JoTiKQilSGNkUJ31oS_QveJzCUZDv6UD6ILpQKFT8UF0svV5uQ2lSjIVK94I-M2VMzVJzQTnLfuN-k4iNWQ_AhlhwtpPeGn5Sw8U8eSoIj2c_en_SPNZNXdDt_hGQwttXxwpSqVtbtYOcl3Du6QU4RSqwDs6EbyFD52ypOrqjM-Hg6aTqoUkvb869o/s842/026d8-sorpampurio_devita.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="842" data-original-width="595" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQ3JoTiKQilSGNkUJ31oS_QveJzCUZDv6UD6ILpQKFT8UF0svV5uQ2lSjIVK94I-M2VMzVJzQTnLfuN-k4iNWQ_AhlhwtpPeGn5Sw8U8eSoIj2c_en_SPNZNXdDt_hGQwttXxwpSqVtbtYOcl3Du6QU4RSqwDs6EbyFD52ypOrqjM-Hg6aTqoUkvb869o/w452-h640/026d8-sorpampurio_devita.jpg" width="452" /></a></div><br />Un contrabbandiere chiamato grimpante fa strage di pesci sparando a una mina recuperata da Baci Degli Scogli. Sembra una fiaba. E invece i particolari della storia sono tutti molto realistici. A cominciare dalla descrizione dei poveri affamati, ancora dei marginali. <b> <br /></b><p></p><p><b>Italo Calvino</b>, <i>Il padrone delle mine</i>, l'Unità edizione piemontese 23 novembre 1948 <br /> </p><p> Alla villa del finanziere Pompilio gli invitati prendevano il caffè sulla veranda. C’era il generale<br />Amalasunta che spiegava la terza guerra mondiale con le tazzine e i cucchiaini, e la signora<br />Pompilio diceva - Spaventoso! - sorridendo, da quella donna di sangue freddo che era.<br />Solo la signora Amalasunta faceva un po’ la costernata e poteva permetterselo dato che suo<br />marito era tanto coraggioso da volere subito la guerra totale su quattro fronti. "Speriamo che non<br />duri tanto..." lei diceva. Ma il giornalista Strabonio era scettico: "Eh, eh, tutto previsto, - diceva. - Ricorda, eccellenza, quel mio articolo, già l’anno passato..."<br />- Eh, eh, - annuiva Pompilio che se ne ricordava perché quell’articolo Strabonio l’aveva scritto<br />dopo un colloquio con lui.<br />- Con questo non si deve escludere... - disse l’onorevole Uccellini che non era riuscito a<br />dimostrare chiaramente la missione pacificatrice del Papato prima, durante e dopo l’immancabile<br />conflitto. - Ma sì, ma sì, onorevole... - fecero gli altri con tono conciliante. La moglie dell’onorevole era<br />l’amante di Pompilio e non gli si potevano dare tanti dispiaceri.<br />Il mare si vedeva negli intervalli della tenda a righe, strofinarsi contro la spiaggia come un<br />tranquillo gatto inconsapevole, arcuandosi alle passate della brezza.<br />Entrò un cameriere e chiese se volevano dei frutti di mare. Era venuto un vecchio, disse, con una<br />cesta di ricci e di patelle. La discussione dal pericolo di guerra passò al pericolo di tifo, il generale<br />citò gli episodi africani, Strabonio citò degli episodi letterari, l’onorevole dava ragione a tutti.<br />Pompilio, che se ne intendeva, disse che facessero venire lì il vecchio con la roba e avrebbe scelto<br />lui.<br />Il vecchio si chiamava Bacì Degli Scogli; fece delle storie con il cameriere perché non voleva che<br />toccasse le ceste. Le ceste erano due, mezzo sfasciate e ammuffite: una la reggeva contro un fianco<br />e appena entrato la lasciò cadere a terra; l’altra, ch’egli teneva su una spalla, stando tutto contorto,<br />doveva essere pesantissima ed egli la posò a terra con molta attenzione. Era chiusa da un pezzo di<br />sacco legato intorno.<br />La testa di Bacì era coperta da una lanugine bianca, senza differenza di capelli e barba. La poca<br />pelle nuda era rossa come se da anni il sole non riuscisse ad abbronzarla ma solo a bollirla e<br />scorticarla; e gli occhi erano sanguigni come se fin la cispa gli si fosse trasformata in sale. Aveva un<br />corpo basso, da ragazzo, con membra nodose che sporgevano dagli strappi del vestito vetusto,<br />indossato sulla pelle, senza neanche camicia. Le scarpe doveva averle pescate in mare, tanto<br />sformate, spaiate, incartapecorite erano. E da tutta la sua persona s’alzava un forte odore d’alghe<br />marce. Le signore dissero: - Che caratteristico.<br />Bacì Degli Scogli, scoperta la cesta leggera, andava mostrando i ricci ammucchiati in un<br />digrignare d’aculei neri e lucidi. Con quelle sue mani vizze, tutte punti neri di spine conficcate,<br />maneggiava i ricci come fossero conigli da prender per le orecchie, e li rivoltava e mostrava la<br />polpa rossa e molle. Sotto i ricci c’era un ripiano di sacco e sotto ancora le patelle, coi piatti corpi<br />zonati giallo-bruni sotto i gusci barbuti e lichenosi.<br />Pompilio esaminava ed annusava: "Non sboccano mica delle fogne, dalle vostre parti, no?" Bacì sorrise nella sua lanugine: "Eh, no, io sto sulla punta, le fogne le avete voi qui, dove fate i bagni..."<br />Gli invitati cambiarono discorso. Comprarono dei ricci, delle patelle e incaricarono Bacì di<br />fornirne loro ancora nei giorni venturi. Anzi, gli diedero ciascuno il proprio biglietto da visita, in<br />modo ch’egli potesse fare il giro delle loro ville.<br />- E che ci avete in quell’altra cesta? - chiesero.<br />- Eh, - il vecchio ammiccò, - una bestia grossa. Una bestia che non vendo.<br />- Che ve ne fate allora? La mangiate?<br />- Mangiarla! É una bestia di ferro... Bisogna che trovi il suo padrone, per ridargliela. Che se la<br />sbrighi un po’ lui, dico bene?<br />Gli altri non capivano.<br />- Sapete, - lui spiegò, - la roba che il mare porta a riva, io la divido. Da una parte le latte,<br />dall’altra le scarpe, le ossa da un’altra ancora. Ed ecco che mi arriva quest’accidente. Dove lo<br />metto? Lo vedo al largo che viene avanti, mezzo sott’acqua e mezzo sopra, verde d’alghe e<br />rugginoso. Perché li mettono in mare questi accidenti, io non capisco. Vi piacerebbe, trovarli sotto il<br />letto? o in un armadio? Io l’ho preso e adesso cerco chi è che ce li mette e gli dico: tienilo un po’ tu,<br />fa’ il favore!<br />E così dicendo aveva avvicinato con cautela la cesta, aveva slegato il coperchio di sacco e aveva<br />scoperto un grosso, mostruoso, ferreo oggetto. Le signore dapprima non capirono, ma diedero in un<br />grido quando il generale Amalasunta esclamò: - Una mina! - La signora Pompilio andò in deliquio.<br />Ci fu una gran confusione, chi si affannava a far vento alla signora, chi assicurava: - Certo è<br />inoffensiva, da tanti anni così, alla deriva... - chi diceva: - Bisogna portarla via, bisogna arrestare<br />quel vecchio -. Ma il vecchio intanto era sparito, con la terribile cesta.<br />Il padrone di casa chiamò la servitù: - L’avete visto? Dov’è andato? - Nessuno poteva assicurare<br />fosse uscito. - Cercate per tutta la casa: aprite gli armadi, i comodini, vuotate la cantina!<br />- Si salvi chi può, - gridò Amalasunta improvvisamente impallidito. - Questa casa è in pericolo,<br />via tutti!<br />- Perché proprio la mia? - protestò Pompilio. - E la sua, generale, pensi alla sua!<br />- Bisognerà che vada a sorvegliare casa mia... - disse Strabonio che s’era ricordato di certi suoi<br />articoli di una volta e di adesso.<br />- Pietro! - gridava la signora Pomponio, rinvenuta, gettandosi al collo del marito.<br />- Pierino! - gridava la signora Uccellini, gettandosi anch’essa al collo di Pompilio e scontrandosi<br />con la legittima consorte.<br />- Luisa! - osservò l’onorevole Uccellini. - Andiamo a casa!<br />- Non crederà mica che casa sua sia più sicura? - gli dissero. – Con la politica che fa il suo<br />partito, lei è più in pericolo di noi!<br />Uccellini ebbe un lampo di genio: - Chiamiamo la polizia!<br />La polizia si scatenò per la cittadina rivierasca, alla ricerca del vecchio con la mina. Le ville del<br />finanziere Pompilio, del generale Amalasunta, del giornalista Strabonio e dell’onorevole Uccellini<br />ed altre ancora furono piantonate da picchetti armati, e reparti di sminatori del Genio le<br />ispezionarono dalla cantina alle soffitte. I commensali di villa Pompilio si disposero a bivaccare<br />all’aperto quella notte.<br />Intanto un contrabbandiere chiamato Grimpante, che grazie alle sue amicizie riusciva sempre a<br />sapere tutto, s’era messo per conto suo sulle piste di Bacì Degli Scogli. Grimpante era un<br />omaccione con un berrettino marinaro di tela bianca; gli affari loschi che si svolgevano sul mare e<br />sulla riva passavano tutti per le sue mani. Fu facile a Grimpante, fatto il giro di qualche osteria del<br />quartiere delle Case Vecchie, d’imbattersi in Bacì che usciva brillo con la misteriosa cesta in spalla.<br />Lo invitò a bere all’Osteria dell’Orecchia Mozzata, e versando da bere cominciò a spiegargli la<br />sua idea.<br />- É inutile che restituisci la mina al proprietario, - diceva, - tanto lui appena può la rimette dove<br />l’hai trovata. Invece, se dài retta a me, ci prendiamo tanti di quei pesci da invadere i mercati di tutta<br />la riviera e farci milionari in pochi giorni.<br />Bisogna sapere che un monello chiamato Zefferino, solito a ficcare il naso dappertutto, aveva<br />seguito i due nell’Osteria dell’Orecchia Mozzata e s’era nascosto sotto il tavolo. E capito a volo<br />quel che intendeva Grimpante scappò via e corse a passar la voce tra i poveri delle Case Vecchie.<br />- Ehi, volete farvi il fritto, oggi?<br />Dalle finestre strette e sbilenche s’affacciavano donne magre e spettinate con bambini al petto,<br />vecchi con il cornetto acustico, comari che pelavano radicchi, giovani disoccupati che si facevano la<br />barba.<br />- E come? E come?<br />- Zitti zitti, venite con me, - disse Zefferino.<br />Grimpante che aveva fatto un salto a casa sua, tornò con una custodia da violino e s’incamminò<br />col vecchio Bacì. Presero la strada che fiancheggiava il mare. Dietro, in punta di piedi, venivano i<br />poveri delle Case Vecchie. Le donne ancora in grembiale, con le padelle a spall’arm, i vecchi<br />paralitici nelle carrozzelle, i mutilati con le stampelle, e una torma di ragazzini tutt’intorno al<br />branco.<br />Giunti sugli scogli della punta, la mina fu abbandonata in mare, a una corrente che la portava<br />verso il largo. Grimpante aveva tirato fuori dalla custodia di violino uno di quegli arnesi<br />ammazzacristiani che sparano a raffica e l’aveva piazzato dietro un riparo di scogli. Quando la mina<br />gli fu a tiro cominciò a sparacchiare: i colpi sull’acqua segnavano una scia di piccoli zampilli. I<br />poveri, ventre a terra sullo stradone litoraneo, si turarono gli orecchi.<br />Tutt’a un tratto una grande colonna d’acqua s’alzò nel mare dal punto dove prima era la mina. Il<br />fragore fu enorme: i vetri delle ville andarono in frantumi. L’ondata arrivò fin allo stradone. Appena<br />le acque si quetarono cominciarono a venire a galla le pance bianche dei pesci. Grimpante e Bacì<br />stavano mettendo mano a una gran rete, quando furono travolti dalla folla che correva verso il mare.<br />I poveri si misero in acqua vestiti, chi con le scarpe in mano e i calzoni rimboccati, chi con le<br />scarpe e tutto, le donne con le sottane galleggianti a cerchio: e tutti giù ad acchiappare i pesci morti.<br />Chi li pescava con le mani, chi col cappello, chi con le scarpe, chi li metteva in tasca, chi nella<br />borsetta. I ragazzi erano i più veloci ma non s’azzuffavano: tutti erano d’accordo di dividerli in parti<br />uguali. Anzi, badavano ad aiutare i vecchi che ogni tanto scivolavano sott’acqua e uscivano con la<br />barba piena d’alghe e granchiolini. Le più fortunate erano le beghine che procedevano a due a due<br />coi loro veli tesi a fior d’acqua e rastrellavano tutto il mare. Le belle ragazze ogni tanto gridavano: -<br />Ih... ih... perché un pesce morto saliva loro sotto le sottane, e i giovanotti giù a cercare di pescarlo.<br />Sulla riva cominciarono ad accendersi fuochi d’alghe secche e comparvero le padelle. Ognuno<br />tirò fuori di tasca un boccettino d’olio e si cominciò a sentire odor di fritto. Grimpante se l’era<br />svignata perché la polizia non lo acciuffasse con quell’arrotavivi per le mani. Bacì Degli Scogli<br />invece se ne stava in mezzo agli altri, con pesci, granchi e gamberi che gli spuntavano da tutti gli strappi del vestito, e si mangiava una triglia cruda dalla contentezza. <br /></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-35118040353657624922023-11-20T12:48:00.005+01:002023-11-20T13:07:30.505+01:00Pranzo con un pastore<p> </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOWkBmsog1rspR6UHKRQgrNOdh35AtiX2DyujyMJFjczW9ySaVqnANxysUaLoRbnpr_qvrpPKZcggMFcl3VrJAyqGVd0E5-KdRaPzZ-KjMLT7V6bx0m1gAhQAmN31aGDGLtKlj0zg498fkj8rCuELFIBJb-cpqgDSce8QUEGf_X648j5M-KSzF7JCiKKE/s1500/plateau-vercors-berger-0265.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1001" data-original-width="1500" height="428" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOWkBmsog1rspR6UHKRQgrNOdh35AtiX2DyujyMJFjczW9ySaVqnANxysUaLoRbnpr_qvrpPKZcggMFcl3VrJAyqGVd0E5-KdRaPzZ-KjMLT7V6bx0m1gAhQAmN31aGDGLtKlj0zg498fkj8rCuELFIBJb-cpqgDSce8QUEGf_X648j5M-KSzF7JCiKKE/w640-h428/plateau-vercors-berger-0265.jpg" width="640" /></a></div><br />Ancora un marginale. Un giovane che, invitato a pranzo in una casa borghese, non si ritrova, attirando la solidarietà dei suoi coetanei. <br /><p></p><p><b>Italo Calvino</b>, <i>Pranzo con un pastore</i>, l'Unità edizione piemontese 15 settembre 1948 </p><p>Fu uno sbaglio di nostro padre, dei suoi soliti. Aveva fatto venire quel ragazzo da un paesetto di<br />montagna, perché ci guardasse le capre. E il giorno che arrivò lo volle invitare a tavola con noi.<br />Nostro padre non capisce le differenze che ci sono tra la gente, la differenza tra una sala da<br />pranzo come la nostra, coi mobili incisi, i tappeti dai cupi disegni, le maioliche, e quelle loro case di<br />pietra affumicate, con per pavimento terra battuta e i festoni di giornale neri di mosche alla cappa<br />dei camini. Nostro padre si muove dappertutto con quella sua festosità senza cerimonie, di non<br />voler che gli cambino il piatto alla pietanza, e quando gira a caccia tutti lo invitano, e alla sera<br />vengono da lui a dirimere le liti. <br />Quello entra; io leggo in un giornale. E mio padre a fargli dei gran discorsi, che bisogno c’era?, si<br />sarebbe confuso sempre più. No, invece. Alzai gli occhi ed era in mezzo alla sala con le mani<br />pesanti, a mento contro il petto, ma con lo sguardo davanti a sé, ostinato. Era un pastore della mia<br />età, all’incirca, coi capelli compatti e legnosi, e i lineamenti arcuati: fronte, orbite, mandibole.<br />Aveva una scura camicia da soldato abbottonata a forza sul pomo del collo e un abituccio sbilenco<br />da cui sembrava traboccassero le grandi nodose mani e gli scarponi goffi e lenti sul pavimento<br />lucido.<br />"Questo è mio figlio Quinto, - disse mio padre -, fa il liceo".<br />Io m’alzai e azzardai un’espressione sorridente e la mia mano tesa s’incontrò con la sua e subito<br />le scostammo senza guardarci in viso. Mio padre aveva già preso a raccontare di me, cose che non<br />importavano a nessuno, di quanto mi mancava a finire gli studi, di un ghiro da me ucciso una volta<br />cacciando nei paesi di quel giovane; e io alzavo le spalle con degli: " Io? Ma no" ogni volta che mi<br />sembrava non dicesse giusto. Il pastore restava muto e fermo e non si capiva se sentisse: ogni tanto<br />gettava un’occhiata rapida verso una parete, una tenda; come una bestia che cerca uno spiraglio<br />nella gabbia.<br />Già mio padre aveva cambiato discorso e ora girava per la stanza e diceva di certe varietà<br />d’ortaggi che coltivano in quelle vallate e faceva delle domande al ragazzo e lui a mento sul petto e<br />bocca semichiusa continuava a rispondere che non sapeva. Nascosto dietro il giornale, io aspettavo<br />servissero in tavola. Ma mio padre aveva fatto già sedere l’invitato e portato d’in cucina un cetriolo<br />e glielo andava tagliando nel piatto da minestra in fette sottili, perché lo mangiasse, diceva lui, per<br />antipasto.<br />Entrò mia madre, alta e vestita di nero, coi bordi di pizzo e la scriminatura impassibile tra i<br />capelli bianchi e lisci. "Ah, ecco qui il nostro pastorello, disse. - Hai fatto buon viaggio?" Il<br />ragazzo non s’alzò e non rispose, alzò lo sguardo su mia madre, uno sguardo pieno di diffidenza e<br />d’incomprensione. Io stavo dalla sua con tutta l’anima: disapprovavo quel tono di superiorità<br />affettuosa di mia madre, quel «tu» padronale che gli dava; avesse parlato in dialetto come nostro<br />padre, ancora! ma parlava italiano, un italiano freddo come un muro di marmo di fronte al povero<br />pastore. Già stavano per servire la minestra quando apparve mia nonna sulla poltrona a ruote spinta dalla<br />mia povera sorella Cristina. Dovettero gridare forte negli orecchi della nonna di cosa si trattava.<br />Anzi mia madre fece proprio le presentazioni: "Questo è Giovannino che ci guarderà le capre. Mia<br />madre. Mia figlia Cristina".<br />Io arrossivo di vergogna per lui a sentirlo chiamare Giovannino; chissà come quel nome suonava<br />diverso nel chiuso e rozzo dialetto della montagna: certo era la prima volta ch’egli si sentiva<br />chiamato in quel modo.<br />Mia nonna assentì con la sua patriarcale pacatezza: - Bravo Giovannino, speriamo che non te ne<br />lascerai scappare, di capre, neh! - Mia sorella Cristina, che vede in tutte le rare visite persone<br />d’estremo riguardo, da mezzo nascosta che era dietro lo schienale della poltrona a ruote s’affacciò<br />tutta spaurita mormorando "Lietissima" e diede la mano al giovane che la sfiorò con pesantezza.<br />Mio fratello arrivò in ritardo come al solito, quando s’avevano per mano già i cucchiai. Entra e a<br />un’occhiata s’è già reso conto di tutto, e prima che mio padre gli abbia spiegato la storia e l’abbia<br />presentato: "Mio figlio Marco che studia da notaio", già è seduto che mangia, senza batter ciglio,<br />senza guardar nessuno, coi freddi occhiali che sembran neri tanto sono impenetrabili, e la lugubre<br />barbetta liscia e rigida. Si direbbe che abbia salutato tutti e si sia scusato del ritardo, e forse anche<br />abbia fatto una specie di sorriso all’ospite, invece non ha schiuso le labbra né increspato d’una ruga<br />la spietata fronte. Ora so che il pastore ha un alleato potentissimo al suo fianco, che lo proteggerà<br />col suo mutismo di pietra, che gli aprirà una via di scampo in quell’atmosfera greve di disagio che<br />solo lui, Marco, sa creare.<br />Il pastore mangiava curvo sul piatto della minestra, con sciacquio e rumore. In questo tutti e tre<br />noi uomini eravamo dalla sua e lasciavamo alle donne l’ostentata etichetta: nostro padre per la sua<br />naturale rumorosità espansiva, mio fratello per determinazione imperiosa, io per malagrazia. Ero<br />contento di questa nuova alleanza, di questa ribellione di noi quattro contro le donne: perché faceva<br />sì che il pastore non fosse più solo. Certo in quel momento le donne ci disapprovavano, e non lo<br />dicevano per non umiliarci a vicenda, quelli di casa di fronte all’ospite, e viceversa. Ma se ne<br />rendeva conto il pastore? No di certo.<br />Mia madre passò all’attacco, dolcissima: "E quanti anni hai, Giovannino?"<br />Il ragazzo disse la cifra, che risuonò come un grido. La ripeté piano. - "Come?" disse la nonna e la<br />ripeté sbagliata. "No: è questa", - e tutti a gridargliela nelle orecchie. Solo mio fratello, zitto. "Un<br />anno più di Quinto", scoperse mia madre e si dovette rispiegarlo alla nonna. Soffrivo di questo paragonare me e lui, lui che doveva guardare le capre altrui per vivere, e puzzare di ariete, ed era forte da abbattere le querce, e io che vivevo sulle sedie a sdraio, accanto alla radio leggendo libretti d’opera, che presto sarei andato all’università, e non volevo mettermi la flanella sulla pelle perché mi faceva prudere la schiena. Le cose ch’erano mancate a me per esser lui, e quelle che eran mancate a lui per esser me, io le sentivo allora come un’ingiustizia, che faceva me e lui due esseri incompleti che si nascondevano, diffidenti e vergognosi, dietro quella zuppiera di minestra.<br />Così continuammo per tutta la durata del pranzo in questa guerra, di noi tre ragazzi contro un<br />mondo crudele e servizievole, senza poterci riconoscere alleati, pieni di reciproche diffidenze anche tra<br />noi. Mio fratello terminò con un gran gesto, dopo la frutta: uscì un pacchetto e offrì una sigaretta<br />all’ospite. Se le accesero, senza chiedere permesso a nessuno, e questo fu il momento di solidarietà<br />più piena che si creò in quel pranzo. Io ne ero escluso, perché i miei non mi permettevano di fumare<br />finché ero al liceo. Mio fratello ormai era soddisfatto: s’alzò, tirò due boccate guardandoci dall’alto<br />e zitto com’era venuto si girò e andò via.<br />Mio padre accese la pipa e la radio per le notizie. Il pastore se ne stava guardando l’apparecchio<br />con le mani aperte sui ginocchi e gli occhi spalancati che s’arrossavano di lacrime. Certo a quegli<br />occhi appariva ancora il paese alto sui campi, il giro delle montagne e il folto dei boschi di castagni.<br />Mio padre non lasciava sentire, parlava male della Società delle Nazioni, ed io ne approfittai per<br />uscire dalla sala da pranzo.<br />Il pensiero del ragazzo pastore ci seguì tutta la sera. Cenammo in silenzio alle luci attutite del<br />lampadario e non potevamo liberarci dal pensare a lui adesso solo nel casolare della nostra<br />campagna. Ora certo aveva finito la minestra nella gavetta messa a riscaldare, ed era steso sulla<br />paglia quasi al buio, mentre giù si sentivano le capre muoversi e urtarsi e macinare erba coi denti. Il<br />pastore usciva e c’era un po’ di nebbia verso il mare e l’aria umida. Una fontanella ronfava discreta<br />nel silenzio. Il pastore s’avvicinava lungo le vie coperte d’edera selvatica e beveva senza sete. Delle<br />lucciole si vedevano apparire e sparire e sembravano un grande sciame compatto. Ma lui muoveva il braccio in aria senza toccarle. <br /></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-84397064267000821522023-11-18T19:15:00.001+01:002023-11-18T19:15:33.886+01:00Il messaggio dello sciopero<div class="articlePlainText"> </div><div class="articlePlainText"> <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYBcMycE77pdVATC9VPuI4aDand_EAlv39RL07TbQxGjci4k7AVm6CEf2mBkRqoH7FJ8JWU05Lc4xq3LEY0n1YoacrPtJRaxWYQ4IKma1KOhaoQqX57zXjmXgzc71fhI-s7BhuPUuRSVXu3qc75G1tPlZJmhOwM4bHqfVdogAd4KDkRsmixSOfCTORX_M/s883/sciopero-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="564" data-original-width="883" height="255" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhYBcMycE77pdVATC9VPuI4aDand_EAlv39RL07TbQxGjci4k7AVm6CEf2mBkRqoH7FJ8JWU05Lc4xq3LEY0n1YoacrPtJRaxWYQ4IKma1KOhaoQqX57zXjmXgzc71fhI-s7BhuPUuRSVXu3qc75G1tPlZJmhOwM4bHqfVdogAd4KDkRsmixSOfCTORX_M/w400-h255/sciopero-1.jpg" width="400" /></a></div><br /></div><div class="articlePlainText"> </div><div class="articlePlainText">Marco Revelli, Se i dimenticati battono un colpo, La Stampa, 18 novembre 2023 <br /></div><div class="articlePlainText"> </div><div class="articlePlainText">Lo sciopero generale è pienamente
riuscito. «Piazze strapiene come non si vedevano da anni», ha detto dal
palco a Roma Maurizio Landini, comprensibilmente soddisfatto. Cortei
affollati non solo di lavoratori, ma anche di cittadini comuni, e si
sono rivisti persino gli studenti. Evidentemente il tentativo del
ministro delle Infrastrutture nonché vice-premier Matteo Salvini di
indebolire la mobilitazione con un atto d'imperio non è riuscito, e anzi
forse ha ottenuto il risultato opposto, spingendo a scendere in piazza
anche chi normalmente non lo fa, aggiungendo alle motivazioni economiche
quella, evidentemente sentita, di difendere un diritto
costituzionalmente garantito come quello di sciopero.</div><div class="articlePlainText">I
Grandi Dimenticati hanno battuto un colpo. Non solo contro una manovra
finanziaria abborracciata e considerata priva di responsabilità sociale,
ma più in generale come risposta a una condizione di disagio economico
ed esistenziale diffuso, tra chi lavora e chi il lavoro non ce l'ha, tra
i giovani senza futuro e gli anziani senza riconoscimenti: un piano
inclinato lungo il quale si è scivolati per anni, e che ora sembra aver
raggiunto un punto non più sopportabile in silenzio. Per una
combinazione non certo voluta, ma significativa, nello stesso giorno
della mobilitazione sindacale la Caritas Italiana, potremmo chiamarla il
Sindacato dei Poveri, ha diffuso il proprio rapporto annuale 2023 sulle
povertà intitolato "Tutto da perdere". Ed è una drammatica conferma di
uno stato di degrado "sistemico" non più ignorabile. Apprendiamo non
solo (dato ufficiale Istat) che le persone in condizione di povertà
assoluta (cioè prive del minimo indispensabile per condurre una "vita
dignitosa") sono salite a 5 milioni e 674mila, 357mila in più rispetto
all'anno scorso (la popolazione di una città come Firenze). E che di
queste 1 milione e 270mila sono minori, vittime innocenti di una
clamorosa ingiustizia sociale. Ma apprendiamo anche, e la cosa
costituisce uno scandalo nello scandalo, che quasi la metà dei nuclei
famigliari in condizioni di povertà assoluta (un totale di 2,7 milioni
di persone) risulta avere il capofamiglia occupato, cioè un classico
working poor, uno che pur lavorando, tuttavia rimane povero "assoluto",
non può offrire ai propri figli due pasti regolari al giorno, una casa
decente, il riscaldamento e la cura delle malattie.</div>Nel
meridione il 20% degli occupati è in questa condizione, nelle Isole lo è
il 21,9%! E i dati non tengono ancora conto dell'impatto prodotto dalla
cancellazione, per molte di queste famiglie, di quel piccolo rivolo di
risorse che era offerto dal Reddito di cittadinanza, su cui si è
accanito nei mesi scorsi il governo. Alla luce di tutto ciò, come
giustificare la guerra da tempo dichiarata da parte della maggioranza, e
non solo, a un istituto come quello del salario minimo, che non
sanerebbe certo tutte queste piaghe, ma permetterebbe di contenerne, sia
pur in piccola parte, gli aspetti più devastanti? E dall'altra parte
come stupirsi che, alla chiamata delle grandi organizzazioni sindacali,
vi sia una risposta così robusta, nonostante le tante delusioni subite
in questi anni, le troppe prove di divisione e d'incertezza, gli impacci
le lungaggini e le inerzie delle ottuse burocrazie d'organizzazione
centrali e periferiche? Lo si può considerare non solo come la denuncia
di un disagio a cui la politica, tutta, è chiamata a dare risposte
serie, ma anche come un segno di vitalità della nostra società e della
nostra malconcia democrazia. Le democrazie vivono della partecipazione e
della mobilitazione dei propri cittadini (una sofferenza senza segni di
reazione genera necrosi dell'organismo). E nessuna precettazione di
questo o quel ministro potrà mai spegnerle, pena la caduta in un limbo
autoritario. <p> </p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-47647840269009874272023-11-16T08:42:00.000+01:002023-11-16T08:42:11.346+01:00Armi nascoste<p>Questo racconto fu poi ripreso con il titolo "Il gatto e il poliziotto" in "Ultimo viene il corvo" (Einaudi, Torino 1949). Durante un rastrellameno di armi nascoste, in una casa di righiera un gatto resiste con efficacia all'intrusione di un poliziotto.</p><p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpDH1oBWNVMTHquCj8tB3q9RziRU25eO3hBmRG8P27mwHMPKll47KsO4Q4c2KbVakVons8_tgvZvb-U7FpsUXb6HNHgwXfyGH_h3-IZ5tJBt2ez05paAtvZOngCX_0RZ3EsI0OjMl7fX1dS1Gq_SDLzLenF__pdpE9jim7HKkQfvJ-FVjL618BH9FmHno/s720/e03125c36b7a5da3bbed369feae09701.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="564" data-original-width="720" height="314" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpDH1oBWNVMTHquCj8tB3q9RziRU25eO3hBmRG8P27mwHMPKll47KsO4Q4c2KbVakVons8_tgvZvb-U7FpsUXb6HNHgwXfyGH_h3-IZ5tJBt2ez05paAtvZOngCX_0RZ3EsI0OjMl7fX1dS1Gq_SDLzLenF__pdpE9jim7HKkQfvJ-FVjL618BH9FmHno/w400-h314/e03125c36b7a5da3bbed369feae09701.jpg" width="400" /></a></div><br /><p></p><p></p><p><b>Italo Calvino</b>, <i>Armi nascoste</i>, l'Unità edizione piemontese 28 agosto 1948<br /></p><p><br />Da qualche tempo erano cominciati nella città i rastrellamenti delle armi nascoste. I poliziotti<br />montavano sulle camionette con in testa i caschi di cuoio che davano loro fisionomie uniformi e<br />disumane, e via per i quartieri poveri a suon di sirena verso qualche casa di manovale o d’operaio, a<br />scompigliare biancheria nei cassettoni e a smontar tubi di stufe. Una struggente angoscia<br />s’impadroniva in quei giorni dell’animo dell’agente Baravino.<br />Baravino era un disoccupato che da poco tempo s’era arruolato nella polizia. Da poco tempo<br />quindi egli aveva saputo d’un segreto che esisteva in fondo a quella città apparentemente placida e<br />operosa: dietro le mura di cemento che s’allineavano lungo le vie, in recinti appartati, in scantinati<br />oscuri, una foresta d’armi lucide e minacciose giaceva guardinga come aculei d’istrice. Si parlava di<br />giacimenti di mitragliatrici, di miniere sotterranee di proiettili; c’era, si diceva, chi dietro una porta<br />murata teneva un cannone intero in una stanza. Come tracce metallifere che indicano l’approssimarsi d’una regione mineraria, nelle case della città si riscontravano pistole cucite dentro i materassi, fucili inchiodati sotto gli impiantiti. L’agente Baravino si sentiva a disagio in mezzo alla sua gente; ogni tombino, ogni catasta di rottami gli sembrava custodisse incomprensibili minacce. <br />Una sera la polizia fece una corsa nei quartieri operai e circondò tutta una casa. Era un grande<br />edificio dall’aria sfatta, come se il sostenere tanta umanità assiepata ne avesse deformato i piani e i<br />muri, avesse ridotto anch’essi ad una vecchia carne porosa, callosa ed incrostata. Intorno al cortile ingombro di barili d’immondizie correvano a ogni piano le ringhiere dei ballatoi di ferro rugginose e storte; ed a queste ringhiere, e a spaghi tirati dall’una all’altra, panni appesi e stracci, e lungo i ballatoi porte-finestre con legni al posto di vetri, traversati dai neri tubi delle stufe, e al termine dei ballatoi, uno sopra l’altro come in scrostate torri, le baracche dei cessi, tutto così un piano sopra l’altro, intervallati dalle finestrelle dei mezzanini rumorose di macchine da cucire e vaporose di minestra, fino in cima, alle inferriate delle soffitte, alle gronde sbilenche, ai cenciosi abbaini aperti come forni.<br />Un labirinto di logore scale traversava dalle cantine al tetto il corpo della vecchia casa, come nere<br />vene dalle ramificazioni innumerevoli, e sulle scale, sparpagliate come a caso, s’aprivano le porte<br />dei mezzanini e dei promiscui appartamenti. Gli agenti salivano senza riuscire a cambiare il suono<br />lugubre dei propri passi, e cercavano di decifrare i nomi segnati sulle porte.<br />Baravino era in mezzo a loro, indistinguibile da loro sotto il casco di automa che gettava una<br />cruda ombra sui suoi nuvolosi occhi celesti; ma il suo animo era in preda a confusi turbamenti. Dei<br />loro nemici, gli era stato detto, nemici di loro poliziotti e gente d’ordine, si nascondevano dentro<br />quella casa. L’agente Baravino guardava con sgomento dagli usci socchiusi nelle stanze: in ogni<br />armadio, dietro qualsiasi stipite potevano celarsi armi terribili; perché ogni inquilino, ogni donnetta<br />li guardava con pena mista ad ansia? Se qualcuno tra loro era il nemico, perché non avrebbero<br />potuto esserlo tutti? Dietro i muri delle scale le immondizie buttate nei condotti verticali cadevano<br />con tonfi; non potevano essere le armi di cui ci s’affrettava a sbarazzarsi?<br />Scesero in una stanza bassa, dove una famigliola stava cenando a un desco a quadrettoni rossi. I<br />bambini gridarono. Solo il più piccolo, che mangiava sulle ginocchia del babbo, li guardò zitto, con<br />occhi neri e ostili. "Ordine di perquisire la casa", disse il brigadiere accennando un attenti e<br />facendo sobbalzare i cordoncini colorati sul suo petto. "Madonna! A noi povera gente! A noi onesti<br />tutta la vita!" disse una donna anziana, con le mani al cuore. Il babbo era in maglietta, una faccia<br />larga e chiara, punteggiata di barba dura a radere; imboccava il piccino a cucchiaiate. Prima li<br />guardò con un’occhiata traversa e forse ironica; poi scrollò le spalle e badò al bimbo.<br />La stanza era piena di poliziotti che non ci si poteva rigirare. Il brigadiere dava ordini inutili e<br />impicciava invece di dirigere. Con sgomento Baravino guardava ogni mobile, ogni stipo.<br />Quell’uomo in maglietta, ecco, era il nemico: e certo se non l’era stato fino a quel momento, ormai<br />lo era diventato, irreparabilmente, a vedersi rovesciare i cassetti e sradicare dai muri i quadri delle<br />madonne e dei parenti morti. E se era loro nemico, ecco, la sua casa era piena d’insidie: nel<br />canterano ogni cassetto poteva contenere mitragliatrici smontate tutte in ordine; se apriva gli<br />sportelli della credenza baionette inastate di fucili potevano puntarglisi sul petto; sotto le giacche<br />appese all’attaccapanni forse penzolavano nastri di proiettili dorati; ogni casseruola, ogni tegame<br />covava una guardinga bomba a mano.<br />Baravino muoveva impacciato le lunghe esili braccia. Tintinnò un cassetto: pugnali? No: posate.<br />Rimbombò una cartella: bombe? Libri. La camera da letto era ingombra da non potersi attraversare:<br />due letti matrimoniali, tre brandine, due pagliericci abbandonati in terra. E, all’altro estremo della<br />stanza, seduto in un lettino, c’era un bambino con il mal di denti che si mise a piangere. L’agente<br />già voleva aprirsi un varco tra quei letti per rassicurarlo; ma se fosse stato poi di sentinella a un<br />arsenale mascherato, se sotto a ogni giaciglio fosse nascosto un fusto di mortaio?<br />- Non un passo di più, - disse una voce, - sei sotto il tiro della mia pistola.<br />Sullo scalino della grande finestra c’era accoccolata una ragazza coi capelli lunghi sulle spalle,<br />dipinta, con le calze di seta e senza scarpe, che con voce raffreddata compitava alle ultime luci della<br />sera su di un giornale tutto fatto di figure e di poche frasi in stampatello.<br />- Pistola? - disse Baravino e le prese un polso come per aprirle il pugno. Appena lei schiuse le braccia, un gatto raggomitolato a palla sul suo petto saltò in aria, contro di lui, agente Baravino, digrignando i denti. Balzò da un tetto all'altro e fuggì via per la finestra. Affacciato alla bassa ringhiera, Baravino lo vide correre libero e sicuro per i tetti. - E Mary vide presso il suo letto, - continuava a leggere la ragazza, - il baronetto in frac con l’arma puntata.<br />Fuori s’accendevano le luci nelle case operaie alte e solitarie come torri. L’agente Baravino<br />vedeva l’enorme città stendersi intorno: costruzioni di ferro geometriche s’alzavano dentro i recinti delle<br />fabbriche, rami di nuvole si muovevano sui fusti delle ciminiere traversando il cielo.<br />"Volete le mie perle, Sir Enrico? - compitava ostinata quella intasata voce raffreddata. - No, voglio te, Mary"<br />Dall'interno della casa si sentivano i comandi, i gridi di spavento, le proteste. A un alzarsi di vento Baravino vide contro di sé quella intricata distesa di cemento e ferro; come se da mille nascondigli l’istrice rialzasse i suoi aculei. Capì chiaro, allora, per la prima volta, quanto quel loro lavoro era sbagliato; capì che in ogni stanza che mettevano a soqquadro, erano loro a lasciare quel seme da cui germogliavano le armi; capì che le armi nascoste sarebbero state sempre dietro ai loro passi, non davanti. <br />- Ho la ricchezza e l’eleganza, abito in un lussuoso palazzo, ho la servitù e gioielli, cosa posso<br />chiedere di più dalla vita? - proseguiva la ragazza con i neri capelli che le piovevano sul foglio<br />istoriato di donne serpigne e uomini dal lucido sorriso.<br />"Baravino!- si sentì la voce del brigadiere. - Dove è andato a cacciarsi quell'addormentato?". Doveva andare. Avrebbe voluto fuggire sotto le catene di nuvole del cielo, seppellire la sua pistola in una grande buca scavata nella terra. <br /></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-77191089121644222012023-11-15T10:51:00.001+01:002023-11-15T10:51:12.841+01:00L'autodafé di Grillo<div class="articlePlainText"><b> </b></div><div class="articlePlainText"><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFipQGYxv9IjNtvoYPL3lsI_j17zj4VcxTcQb_dPf5h6bSx8L-FJzfwdkqX43DvvCJI5LOWkRiL86wsewwcRhc2OPpqzHtz-99LsazVesXjcQ6JnBD1C6hgGHcbq2kQAixwJjvQuX-Aww5qTbxPEr-lpZRluygJWl_fuv9u2CrffH65A4yGnJ7QS10AtQ/s299/grillo%20da%20fazio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="168" data-original-width="299" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFipQGYxv9IjNtvoYPL3lsI_j17zj4VcxTcQb_dPf5h6bSx8L-FJzfwdkqX43DvvCJI5LOWkRiL86wsewwcRhc2OPpqzHtz-99LsazVesXjcQ6JnBD1C6hgGHcbq2kQAixwJjvQuX-Aww5qTbxPEr-lpZRluygJWl_fuv9u2CrffH65A4yGnJ7QS10AtQ/w400-h225/grillo%20da%20fazio.jpg" width="400" /></a></div><br /> </b></div><div class="articlePlainText"><b>Luca Bottura</b>, <i>E' un Berlusconi che non ce l'ha fatta, ora però un bel vaffa se lo merita lui,</i> La Stampa, 14 novembre 2014<br /></div><div class="articlePlainText"> </div><div class="articlePlainText">A lungo ho creduto che Beppe Grillo avesse
influenzato profondamente le quattro facezie che, per me o per gli
altri, ho compitato negli anni: "Fantastico", "Te la do io l'America",
il teatro "di denuncia"… Tutto molto divertente, energico, sincero. Poi
ho scoperto che non era lui. Che dovevo dire grazie ad Antonio Ricci,
Michele Serra, a Marco Morosini, gli autori che lo avevano instradato,
le diverse tappe: comicità, satira, ecologismo e neo-luddismo.</div><div class="articlePlainText">Poi
arrivò Casaleggio e la cosa, da divertente, si fece drammatica. L'ego
sconfinato di Grillo si combinò a quello del suo mentore, che voleva
diventare "patrone ti monto" e per farlo ventilava una guerra con
quattro miliardi di morti. Si specchiarono. Si amarono. Si
spalleggiarono. Pensavano entrambi che il popolo fosse composto da
fessi, che fossero sufficienti quattro slogan ripetuti per realizzare il
loro unico obiettivo: gloria, potere.</div><div class="articlePlainText">L'altra
sera, da Fabio Fazio, Grillo ha ammesso che non c'era alcun progetto.
Non c'erano risposte. Non esisteva il benché minimo orizzonte. E che ha
peggiorato il Paese. Si potrà obiettare (lui lo farebbe) che era
spettacolo, farsa, bugia. Ma spettacolo, farsa, bugia, è ciò che Grillo e
i suoi epigoni manettari, naturalmente mai con gli amici, hanno
miscelato alla politica, quella vera, in questi anni di cupio dissolvi
civile. E la politica, purtroppo, cambia realmente la vita delle
persone. E delle comunità. Anche devastandone i capisaldi.</div><div class="articlePlainText">Grillo
è un Berlusconi che non ce l'ha fatta: accentratore, malato di "vita",
mentitore, spregiudicato. Non a caso, Gianroberto Casaleggio veniva da
Forza Italia. Non a caso, ogni qual volta gli è toccato di andare a
soggetto, gli è uscito di tutto, sempre da destra, dacché ogni populismo
da là viene. Il sostegno a Casa Pound, le "botte" agli immigrati, gli
attacchi (ora) ai giudici. Tra Bersani e Salvini, scelse Salvini.</div><div class="articlePlainText">Poi,
la disinformazione. Casaleggio junior ha fatto sparire da tempo Le
Fucine, TzéTzé, e altri siti con cui macinava denaro all'ombra del
Movimento Cinque Stelle, con un volano poderoso: il Sacro Blog. Un
agglomerato di notizie grigie, gonfiate, spesso prese da siti
disinformativi russi come Sputnik. Un mosaico rancoroso che oggi si
ritrova tale e quale nei siti "fuori dal coro", una sentina che ha
devastato il livello dell'informazione italiana transumandola dal
tradizionale asservimento, tra l'altro non sempre, alla confusione
deliberata. Con un corollario pre-autoritario: la violenza verbale verso
i non allineati.</div><div class="articlePlainText">Grillo è stato
responsabile degli attacchi ai cameraman Rai che lo riprendevano, delle
gogne ai danni dei cronisti colpevoli di criticarlo (e delle croniste,
con che gioia), persino degli autori satirici. Grillo, e Casaleggio,
hanno creato coi mezzi dell'epoca – appunto il blog – ciò che Salvini,
Meloni, Renzi, avrebbero perfezionato: una Bestia di pessima
informazione, aggressiva, basata sul bastone, sulla dannazione, sulla
cacciata a furor di popolo dei non allineati. Interni, esterni. Mentre
si davano lezioni di democrazia e giornalismo agli altri.</div><div class="articlePlainText">In
questa malafede e nei suoi adepti c'è un'aggravante non da poco: l'aver
fatto propria, una volta andati al potere, la peggiore consorteria
partitica, la più disastrosa lottizzazione, la contrattazione del
singolo strapuntino. Chiunque abbia avuto a che fare coi Cinque Stelle
"di governo" – a parte lodevoli eccezioni, che resistono tuttora –
ricorda una gestione militare dei rapporti con la stampa, la fuga dalle
domande, le pagelle dei buoni e cattivi.</div><div class="articlePlainText">La
repubblica di Casalino, potentissima, che ancora oggi si sostanzia
nelle acque reflue del servizio pubblico: io ti voto il Cda, tu mi dai
qualcosa qua… eccetera.</div><div class="articlePlainText">E dire che
era tutto chiaro da subito, bastava voler vedere. Dal giorno in cui, a
Bologna, i nomi dei principali quotidiani italiani furono scanditi per
esporli al vaffanculo della piazza. La colpa: ricevere finanziamenti
pubblici. Delegittimarli significava "disintermediare", come diceva
Casaleggio. O disintermerdare, com'è accaduto. Sostituire le notizie con
la propaganda. Fuggendo, se necessario. Nel 2011, per farsi
intervistare, Grillo chiese 2.000 euro «da dare in beneficenza per gli
alluvionati liguri». Andai a vedere il bluff: li raccolsi, li versai, lo
aspettai in radio. Non venne: «L'iniziativa non è più attiva», mi
scrisse a trasmissione conclusa. Ma dai.</div><div class="articlePlainText">Oggi,
quando Giorgia Meloni fa passerella web a Palazzo Chigi saltando a piè
pari ogni confronto coi giornali, applica la "regola Grillo". Inoltre,
sulla spinta dell'indignazione ad minchiam, quella di un Paese in cui il
50% manco paga le tasse, i finanziamenti pubblici sono rimasti solo per
le "cooperative", quasi sempre fittizie, che magari schermano imperi
nel settore della Sanità o spiegano al mondo i totem del liberismo. Coi
soldi pubblici.</div><div class="articlePlainText">La cancellazione dei
sostegni all'informazione (che venivano anche hackerati, come tutto in
Italia, ma davano una mano al pluralismo) fa il paio con la diminuzione
di deputati e senatori: una trovata da repubblica delle banane che il Pd
sposò per ignavia, seminando il campo sul quale oggi Meloni sparge
concime col premierato. Grillo ha peggiorato anche l'opposizione, ha
dato a intendere a una parte del Paese che la sinistra fosse quella roba
lì: una giusta – ad esempio il reddito di cittadinanza – insieme a
cento sbagliate ma a furor di popolo. Manipolato. Anzi, peggio: in mezzo
a un nulla di slogan vuoti, di parole messe lì per far numero:
«Giuseppe Conte parlava difficile, non si capiva. L'ho scelto per
quello».</div>L'ultimo paradosso è che
l'autodafé di Grillo sia avvenuto anch'esso per promozione, in casa di
un conduttore che aveva insultato e irriso, da cui si è fatto agilmente
gestire come a suo tempo nel salotto di Bruno Vespa. Una passerella
mesta (al netto del colpaccio e del senso giornalistico) a caccia di un
pubblico per spettacoli sempre meno affollati, o di qualche lettore in
più per un blog che senza Casaleggio è defunto. Per raggranellare un po'
di attenzione ad anni luce dal successo di piazza da cui iniziò la
caduta: gli 800.000 (autocertificati) di piazza San Giovanni del 2013.
Un pubblico così, Grillo, non l'avrebbe mai più avuto. Il suo unico vero
programma era completato. Oggi – chapeau - ha il coraggio artistoide di
venire in tv a spiegarci che sì, ci aveva preso per i fondelli. Una
sincerità che merita adeguata risposta: Beppe, hai settant'anni. Adesso
vattene affanculo tu. <p> </p><p> </p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-62554326415055582932023-11-13T18:27:00.001+01:002023-11-13T18:27:31.296+01:00Si dorme come cani<p></p><p><b> </b></p><p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwuxhNH7qeHV2xq0jj8OD6TOQ2ngy2ya7e9ixaXdYIZb6Bp-Ep8bg-VXjNy9cG3IQ-SjtDk9ZL0rruneFjJTghcauME-HEnCEoiQ0BSgEYc7vLmhVRlNqTPmRpVXCL4PgwvUnvfpj5YtGoZD6GEeJWjZtoWdjLTOQxgwg_nQLxJJ3te-uRgOoDokOJC4A/s457/img-1184263502808083163.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="304" data-original-width="457" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwuxhNH7qeHV2xq0jj8OD6TOQ2ngy2ya7e9ixaXdYIZb6Bp-Ep8bg-VXjNy9cG3IQ-SjtDk9ZL0rruneFjJTghcauME-HEnCEoiQ0BSgEYc7vLmhVRlNqTPmRpVXCL4PgwvUnvfpj5YtGoZD6GEeJWjZtoWdjLTOQxgwg_nQLxJJ3te-uRgOoDokOJC4A/w640-h426/img-1184263502808083163.jpg" width="640" /></a></b></div><b><br /></b>Continua l'esplorazione dei marginali. Questa è la volta dei barboni, colti in uno dei momenti più duri della loro esistenza: la ricerca del sonno. La felicità è un letto caldo con le lenzuola di bucato e il materasso di piume.<b><br /></b><p></p><p><b> </b></p><p><b>Italo Calvino</b>, <i>Si dorme come cani</i>, l'Unità edizione piemontese 11 giugno 1948<br /> </p><p>Ogni volta che apriva gli occhi si sentiva addosso tutta quella luce gialla e acida dalle grandi<br />lampade della biglietteria. E s’involgeva gli occhi nel bavero tirato della giacca, in cerca di buio e di<br />caldo. Coricandosi non s’era accorto di come gelide e dure erano le lastre di pietra del pavimento:<br />ora lame di freddo salivano a infiltrarglisi di sotto al vestito e per i buchi delle scarpe, e la poca<br />carne dei fianchi gli doleva, pigiata tra le ossa e la pietra.<br /> Il posto però se l’era scelto bene, in quell’angolo a ridosso alla scalinata, riparato e non di passaggio: tant’è vero che dopo un po’ ch’era lì, arrivarono quattro gambe di donna alte sopra la sua testa e dissero: - Ehi, quello ci ha preso il posto.<br />L’uomo sentiva ma non era sveglio: sbavava da un angolo della bocca sul cartone scorticato della<br />piccola valigia, il suo cuscino, e i capelli s’erano messi a dormire per conto loro, seguitando la linea<br />orizzontale del corpo.<br />- Ben, - disse quella voce di prima, da sopra i ginocchi terrosi e la campana spiovente della<br />gonna. - Si tolga. Almeno prepariamo il letto.<br />E uno di quei piedi, piede di donna in scarponi, lo assaggiò ai fianchi, come un muso che annusi.<br />L’uomo si rizzò sui gomiti, annaspando nella luce gialla con palpebre smarrite e irritate, e i capelli<br />che non s’eran accorti di niente tutti dritti. Poi ripiombò giù come volesse dare una testata dentro la<br />valigia.<br />Le donne avevano tolto i sacchi di testa. L’uomo che veniva dietro posò le coperte arrotolate e<br />cominciarono a disporsi. - Ehi, - disse la più vecchia al coricato, - alzati, almeno mettiamo anche te<br />sotto -.<br /> Macché: dormiva.<br />- Deve avercene una carica, - disse la più giovane, una tutt’ossi con parti grasse quasi appoggiate<br />alla sua magrezza: seni, natiche, che le giravano su e giù sotto la vestina, mentre lei si piegava a<br />stendere le coperte, e a rincalzarle sotto i sacchi di farina.<br />Erano tre della borsanera e venivano giù coi sacchi pieni e le latte vuote. Gente che s’era fatta le<br />ossa a dormire sul duro, per le stazioni e viaggiando sui «bestiame», però aveva imparato a<br />organizzarsi e viaggiava con le coperte.<br />Intanto l’uomo ch’era con loro, un magro con le cerniere-lampo, s’era già ficcato tra una coperta<br />e l’altra e tirato il purillo sugli occhi. <br />Si misero sotto anche le donne, e la più giovane e il marito si strofinarono un po’ fianco a fianco facendo un rumore di brividi, mentre la più vecchia rincalzava quel meschino d’addormentato. Forse la più vecchia non era tanto vecchia, ma era come scalcagnata dalla vita che faceva, sempre con carichi di farina e<br />d’olio sulla testa, su e giù per quei treni: e portava un vestito che sembrava un sacco e i capelli che<br />andavano in tutti i versi.<br />All’uomo addormentato scivolava la testa dalla valigia, ch’era troppo alta e gli faceva tenere il<br />collo per storto; lei provò a sistemarlo meglio, ma a quello per poco non cadeva la testa in terra:<br />così lei gli fece posare la testa su una sua spalla. <br />Erano lì che facevano per dormire, quando arrivarono un abbruzzese con i baffi neri e due figlie brune e grassottee grassotte, tutt’e tre piccoli di statura, con delle ceste di vimini e gli occhi schiacciati dal sonno in mezzo a tutta quella luce. Sembrava che le figlie volessero andare da una parte e lui dall’altra e così litigavano, senza guardarsi in faccia e quasi senza parlare, a furia di brevi frasi addentate, e un fermarsi e avanzare a strattoni. Scoprirono il posto già occupato da quei quattro e rimasero lì sempre più smarriti, finché non li raggiunsero due giovanotti in mollettiere e con le mantelline a tracolla.<br />Subito i due misero in mezzo gli abbruzzesi, per convincerli a mettere tutte le coperte assieme e<br />sistemarsi tutt’uno con quei quattro coricati. I giovanotti erano due veneti che emigravano in<br />Francia, e fecero alzare i borsanera e ridisporre tutte le coperte in modo da starci quanti erano. <br />Già qualcuno russava, ma l'abbruzzese non riusciva a dormire, pur con tutto il sonno che gli<br />pesava addosso. Il giallo acido di quella luce lo perseguitava fin sotto le palpebre, fin sotto la mano<br />che gli tappava gli occhi; e il grido disumano degli altoparlanti:... accelerato... binario... partenza...<br />lo teneva in continua inquietudine. Poi aveva bisogno di fare i suoi bisogni, ma non sapeva dove andare e<br />aveva paura di perdersi in quella stazione. Finì per decidersi a svegliare uno e prese a scuoterlo: era<br />quel disgraziato che dormiva lì fin da prima.<br />- La latrina, compare, la latrina, - diceva, e lo tirava per un gomito. <br />L’addormentato finì per alzarsi a sedere di scatto e spalancò i rossi occhi nebbiosi e la bocca<br />gommosa su quella faccia chinata su di lui, quella piccola faccia da gatto, grinzosa e coi baffi neri.<br />- La latrina, compare... - diceva l'abbruzzese.<br />L’altro restava attonito, si guardava intorno con spavento. Rimasero tutt’e due a guardarsi a<br />boccaperta, lui e l'abbruzzese. Quello sempre addormentato non capiva niente: scoprì la faccia di<br />quella donna, per terra sotto di lui, e la fissava pieno di terrore. Forse era lì lì per dare un urlo. Poi<br />tutt’a un tratto riaffondò la testa nel seno della donna e ripiombò nel sonno. <br />L'abbruzzese s’alzò calpestando due o tre corpi, e prese a muovere passi incerti per quel grande atrio luminoso e freddo. Di là delle vetrate si vedeva il buio limpido della notte e paesaggi di ferro, geometrici. Vide un brunetto più piccolo di lui con la guappa e l’abito gualcito che s’avvicinava con aria distratta.<br />- La latrina, compare, - chiese l'abbruzzese, supplichevole.<br />- Americane, svizzere, - fece l’altro che non aveva capito, facendo spuntare un pacchetto.<br />Era Belmoretto che sbarcava il lunario intorno le stazioni e non aveva una casa né un letto sulla<br />faccia della terra e ogni tanto pigliava un treno e cambiava città, dove lo portavano i suoi incerti<br />commerci di tabacco e gomma da masticare.<br />Belmoretto era un lui pure, e fu molto gentile col vecchietto dai baffi neri; lo portò alla<br />latrina e aspettò che avesse finito di orinare per riaccompagnarlo. Gli diede da fumare e insieme<br />fumavano e guardavano con gli occhi sabbiosi di sonno partire i treni e giù nell’atrio il mucchio di<br />quelli che dormivano per terra.<br />- Si dorme come cani, - disse l'abbruzzese. - Sei giorni e sei notti che non vedo un letto.<br />- Un letto, - disse Belmoretto, - delle volte me lo sogno, un letto. Un bel letto bianco tutto per me.<br />L'abbruzzese se ne tornò a dormire. <br />Dopo un po' si sentì un corpo estraneo che s'intrufolava in mezzo a loro, come un cane che<br />scavasse sotto le coperte. Qualche donna gridò. Subito ci fu un affannarsi a tirar via le coperte per<br />capire cos’era. E in mezzo a loro scopersero Belmoretto che già russava aggomitolato come un feto<br />e senza scarpe, con la testa sotto una sottana e i piedi infilati in un’altra. Svegliato a pugni nella<br />schiena. - Scusate, - disse, - non volevo disturbare.<br />Ma ormai tutti erano svegli e sacramentavano, tranne quel primo, che sbavava.<br />Allora Belmoretto trovò modo di vendere delle Nazionali a tutti e si misero a fumare e a raccontare di<br />quante notti era che non dormivano.<br />- Un letto, - disse Belmoretto, - con le lenzuola di bucato e il materasso di piume da affondarci.<br />Un letto stretto e caldo, da starci solo io.<br />- Che dire di noi che facciamo sempre questa vita? - disse il borsanera. - Arrivati a casa si passa<br />una notte in letto e poi via di nuovo sui treni.<br />- Averci un letto di bucato, caldo, - disse Belmoretto. - Nudo, c’entrerei dentro, nudo.<br />- Sei notti che non ci spogliamo, - dissero le bassitalia, - che non cambiamo biancheria. Sei notti<br />che si dorme come cani.<br />- Io entrerei in una casa come un ladro, - disse un veneto, - ma non per rubare. Per ficcarmi in un<br />letto e dormirci fino al mattino.<br />A Belmoretto veniva un’idea. - Aspettate, - disse, e se ne andò.<br />Girò un po’ sotto i portici finché non incontrò Maria la Matta. Maria la Matta se passava la notte<br />senza trovare un cliente saltava il pasto l’indomani, perciò non s’arrendeva nemmeno alle ore<br />piccole e continuava su e giù per quei marciapiedi fino all’alba, coi capelli rossi stopposi e i<br />polpacci a fiasco. Belmoretto era molto amico suo.<br />Nell’accampamento della stazione continuavano a discutere di sonno e di letti e del dormire da<br />cani che facevano, e aspettavano che si schiarisse il buio alle vetrate. Non eran passati dieci minuti<br />e rieccoti Belmoretto, che arriva con un materasso arrotolato sulle spalle.<br />- Sotto, - disse, stendendolo per terra, - turni di mezz’ora, cinquanta lire, ci possono stare due per<br />volta. Sotto, cosa sono venticinque lire a testa?<br />Aveva noleggiato un materasso da Maria la Matta che ne aveva due nel letto e adesso lo<br />subaffittava a mezz’ore. Altri viaggiatori assonnati che aspettavano le coincidenze si avvicinarono,<br />interessati.<br />- Sotto, - diceva Belmoretto. - Penso io alla sveglia. Ci mettiamo una coperta sopra e vualà che<br />nessuno vi vede e potete farci anche i figli. Sotto.<br />Un veneto provò per primo, insieme a una delle ragazze abbruzzesi. La più vecchia dei borsanera<br />prenotò il secondo turno per lei e quel povero addormentato che aveva addosso. Belmoretto già<br />aveva tirato fuori un taccuino e segnava le ordinazioni.<br />All’alba avrebbe riportato il materasso a Maria la Matta e sarebbero stati a far capriole sul letto fino a giorno fatto. Poi, finalmente, si sarebbero addormentati. <br /></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-35354205249011100932023-11-12T17:36:00.015+01:002023-11-12T17:55:36.392+01:00Il destino del Pd: una ipotesi<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhXavlkegbK19NF0MLPqoTPcPXMPOJMhKG52n8hZtD1gOL1BibHRdhBJvVtDfSxv-3bCEpR9CpyZvqBCr19FbqiTh4n-PjUmLCBNL2NsMeiSvHAz4tp5u9t7w0D36moBSEyx3t_toxi1PJC0bPNhcXjDL2LixqhKK1jCQxDvRCA_DPkmNwnQz5O4bYYug/s1280/11493791.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="633" data-original-width="1280" height="316" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhXavlkegbK19NF0MLPqoTPcPXMPOJMhKG52n8hZtD1gOL1BibHRdhBJvVtDfSxv-3bCEpR9CpyZvqBCr19FbqiTh4n-PjUmLCBNL2NsMeiSvHAz4tp5u9t7w0D36moBSEyx3t_toxi1PJC0bPNhcXjDL2LixqhKK1jCQxDvRCA_DPkmNwnQz5O4bYYug/w640-h316/11493791.jpg" width="640" /></a></div><br /><span style="font-size: medium;"> <b>Marco Damilano</b>,<i> La leader, i tre mondi nel Pd e quel pezzo di paese pulito</i>, Domani, 12 novembre 2023</span><p></p><p><span style="font-size: medium;">... Il Pd dell'11 novembre è apparso diviso in tre, Il retropalco dei dirigenti rimasti rigorosamente nascosti agli occhi: gli eterni (Franceschini, Zingaretti, Guerini, Fassino), gli aspiranti eterni (Boccia), i contingenti (gli uomini e le donne della segretaria). C'era poi il palco, i tanti interventi che nel complesso servivano a dare l'immagine dell'Italia cui la Schlein vorrebbe dare voce, la sanità pubblica ferita, il lavoro, le famiglie arcobaleno, i diritti sociali e civili, gli amministratori della Romagna e della Toscana alluvionate. E infine la piazza che assomigliava alle piazze del Pd viste altre volte: un pezzo di paese pulito. Nell'insieme: un vecchio partito reduce da mille sconfitte e da riforme mancate, con i suoi generali che non si sono vergognati di vergognarsi del loro partito e che hanno spalancato le porte alla destra; un mondo associativo e intellettuale che in tanti anni di crisi è venuo giù e anche in qualche intervento sul palco non è riuscito una mancanza di abitudine a un confronto con la politica; una piazza partecipe ma anche un po' disorientata. La manifestazione di ieri era la sintesi della frattura che si è creata in questi anni, tra un mondo della politica ufficiale, distante dalla società, e pezzi di società a loro volta chiusi in una autoreferenzialità che spesso diventa inconsistenza politica.Per la politica è un problema, per il Pd è un dramma. Di questo dramma bisognerà continuare a ragionare. Ma ieri a fare da cerniera tra questi tre mondi c'era solo lei, Elly Schlein. L'unica sintesi possibile, difficile da aggirare, nonostante le bordate quotidiane che le riversano addosso avversari e amici. Una frontiera anche: posizione scomoda, che rischia di scontentare tutti. Il punto di partenza è questo, si sapeva già, le macerie di anni di incuria. Il punto di arrivo, se la riforma Meloni non è un bluff totale al tavolo da poker della destra, è lo scontro referendario in arrivo sul cambio della Costituzione e poi, in caso di approvazione, la ricerca di una leadership da contrapporre alla premier che punta ad essere la prima eletta direttamente dai cittadini. Una strada è stata indicata ieri da Rosy Bindi su La Stampa: costituire subito quei comitati di difesa della Costituzione, su modello di quelli ccreati dal monaco Giuseppe Dossetti nel 1994, citato da Sergio Mattarella nel suo discorso al meeting di Rimini la scorsa estate.<br />Chi ha memoria, però, ricorda che i comitati del 1994 contro le proposte di riscrittura della Carta del primo berlusconismo furono seguiti, nel 1995, dalla nascita dell'Ulivo di Romano Prodi. Il no che tenne insieme le opposizioni di allora era la premessa di una nuova coalizione di centrosinistra, con un leader capace di tenerla insieme. E allora verrà il momento in cui le figure di cerniera, sintesi, frontiera torneranno utili. Una promessa, un progetto. <br /></span></p><p><span style="font-size: medium;"> </span><br /></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-31980051199345897782023-11-12T12:32:00.004+01:002023-11-12T12:32:56.641+01:00Il giardino incantato<p><b> </b></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrEdod0CZyK3mZ2doH1XlUWr5FJ2KjuWxmM-6hLcXIHkW8WQEf3lnQaFLcWTyFrDXAXCvF-gANrMr1mKvJ2tDMaexBFeRqoPwJwJ4CRoPED5Jc9-Gv-4ydvhXG4AqZ1gIYil2UOSr5V-_QrHaGi3C1qgV4GlV7qaZyAUQqRVUfUpU7ZoeenOJJk0F7cck/s640/affaccio-sul-mare-bellamoli-giardini-img~2de1c38d059bd748_4-1886-1-505ee25.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="640" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrEdod0CZyK3mZ2doH1XlUWr5FJ2KjuWxmM-6hLcXIHkW8WQEf3lnQaFLcWTyFrDXAXCvF-gANrMr1mKvJ2tDMaexBFeRqoPwJwJ4CRoPED5Jc9-Gv-4ydvhXG4AqZ1gIYil2UOSr5V-_QrHaGi3C1qgV4GlV7qaZyAUQqRVUfUpU7ZoeenOJJk0F7cck/w400-h300/affaccio-sul-mare-bellamoli-giardini-img~2de1c38d059bd748_4-1886-1-505ee25.jpg" width="400" /></a></div><b> </b><p></p><p>La felicità è un tempo sospeso<b> <br /></b></p><p><b> </b></p><p><b>Italo Calvino</b>, <i>Il giardino incantato</i>, l'Unità edizione piemontese 2 febbraio 1948</p><p><br />Giovannino e Serenella camminavano per la strada ferrata. Giù c’era un mare tutto squame<br />azzurro cupo azzurro chiaro; su, un cielo appena venato di nuvole bianche. I binari erano lucenti e<br />caldi che scottavano. Sulla strada ferrata si camminava bene e si potevano fare tanti giochi: stare in<br />equilibrio lui su un binario e lei sull’altro e andare avanti tenendosi per mano, oppure saltare da una<br />traversina all’altra senza posare mai il piede sulle pietre. Giovannino e Serenella erano stati a caccia<br />di granchi e adesso avevano deciso di esplorare la strada ferrata fin dentro la galleria. Giocare con<br />Serenella era bello. perché non faceva come tutte le altre bambine che hanno sempre paura e si<br />mettono a piangere a ogni dispetto: quando Giovannino diceva: - Andiamo là, - Serenella lo seguiva<br />sempre senza discutere.<br />Deng! Sussultarono e guardarono in alto. Era il disco di uno scambio ch’era scattato in cima a un<br />palo. Sembrava una cicogna di ferro che avesse chiuso tutt’a un tratto il becco. Rimasero un po’ a<br />naso in su <br />a guardare: che peccato non aver visto! Ormai non lo faceva più.<br />- Sta per venire un treno, - disse Giovannino.<br />Serenella non si mosse dal binario. - Da dove? chiese.<br />Giovannino si guardò intorno, con aria d’intendersene. Indicò il buco nero della galleria che<br />appariva ora limpido ora sfocato, attraverso il tremito del vapore invisibile che si levava dalle pietre<br />della strada.<br />- Di lì, - disse. Sembrava già di sentirne lo sbuffo incupito dalla galleria e vederselo tutt’a un<br />tratto addosso, scalpitante fumo e fuoco, con le ruote che mangiavano i binari senza pietà.<br />- Dove andiamo, Giovannino?<br />C’erano grandi agavi grige, verso mare, con raggere di aculei impenetrabili. Verso monte correva<br />una siepe di ipomea, stracarica di foglie e senza fiori. Il treno non si sentiva ancora: forse correva a<br />locomotiva spenta senza rumore e sarebbe balzato su di loro tutt’a un tratto. Ma già Giovannino<br />aveva trovato un pertugio nella siepe. - Di là.<br />La siepe sotto il rampicante era una vecchia rete metallica cadente.<br />In un punto, s’accartocciava su da terra come un angolo di pagina. Giovannino era già sparito per<br />metà e sgusciava dentro.<br />- Dammi una mano, Giovannino!<br />Si ritrovarono in un angolo di giardino, tutt’e due carponi in un’aiola, coi capelli pieni di foglie<br />secche e di terriccio. Tutto era zitto intorno; non muoveva una foglia.<br />- Andiamo, - disse Giovannino e Serenella disse: - Sì.<br />C’erano grandi e antichi eucalipti color carne, e vialetti di ghiaia. Giovannino e Serenella<br />camminavano in punta di piedi pei vialetti, attenti al fruscio della ghiaia sotto i passi. E se adesso<br />arrivassero i padroni?<br />Tutto era così bello: volte strette e altissime di foglie ricurve d’eucalipto e ritagli di cielo; restava<br />solo quell’ansia dentro, del giardino che non era loro e da cui forse dovevano esser cacciati tra un<br />momento. Ma nessun rumore si sentiva. Da un cespo di corbezzolo, a una svolta, s’alzò un volo di<br />passeri, con gridi. Poi ritornò silenzio. Era forse un giardino abbandonato?<br />Ma l’ombra dei grandi alberi a un certo punto finiva e si trovarono sotto il cielo aperto, di fronte<br />ad aiole tutte ben ravviate di petunie e convolvoli, e viali e balaustrate e spalliere di bosso. E<br />sull’alto del giardino, una grande villa coi vetri lampeggianti e tende gialle e arancio.<br />E tutto era deserto. I due bambini venivano su guardinghi calpestando ghiaia: forse le vetrate<br />stavano per spalancarsi tutt’a un tratto e signori e signore severissimi per apparire sui terrazzi e<br />grossi cani per essere sguinzagliati per i viali. Trovarono vicino a una cunetta una carriola.<br />Giovannino la prese per le staffe e la spinse innanzi: aveva un cigolo, a ogni giro di ruota, come un<br />fischio. Serenella ci si sedette sopra e avanzavano zitti, Giovannino spingendo la carriola con lei<br />sopra, fiancheggiando le aiole e i giochi d’acqua.<br />- Quello, - diceva Serenella a bassa voce di tanto in tanto, indicando un fiore. Giovannino<br />poggiava e andava a strapparlo e glielo dava. Ne aveva già dei belli in un mazzetto. Ma scavalcando<br />le siepi per scappare, forse li avrebbe dovuti buttar via!<br />Così arrivarono a uno spiazzo e finiva la ghiaia e c’era un fondo di cemento e mattonelle. E in<br />mezzo a questo spiazzo s’apriva un grande rettangolo vuoto: una piscina. Ne raggiunsero i margini:<br />era a piastrelle azzurre, ricolma d’acqua chiara fino all’orlo.<br />- Ci tuffiamo? - chiese Giovannino a Serenella. Certo doveva essere assai pericoloso se lui<br />chiedeva a lei e non diceva soltanto: - Giù! - Ma l’acqua era così limpida e azzurra e Serenella non<br />aveva mai paura. Scese dalla carriola e vi depose il mazzolino. Erano già in costume da bagno:<br />erano stati a cacciar granchi fino allora. Giovannino si tuffò: non dal trampolino perché il tonfo<br />avrebbe fatto troppo rumore, ma dall’orlo. Andò giù giù a occhi aperti e non vedeva che azzurro, e<br />le mani come pesci rosa; non come sotto l’acqua del mare, piena d’ombre informi verdi-nere.<br />Un’ombra rosa sopra di sé: Serenella! Si presero per mano e riaffiorarono all’altro capo, un po’ con<br />apprensione. No, non c’era proprio nessuno ad osservarli. Non era bello come s’immaginavano:<br />rimaneva sempre quel fondo d’amarezza e d’ansia, che tutto questo non spettava loro e potevano<br />esserne di momento in momento, via, scacciati.<br />Uscirono dall’acqua e proprio lì vicino alla piscina trovarono un tavolino col ping-pong.<br />Giovannino diede subito un colpo di racchetta alla palla: Serenella fu svelta dall’altra parte a<br />rimandargliela. Giocavano così, dando bòtte leggere perché da dentro alla villa non sentissero. A un<br />tratto un tiro rimbalzò alto e Giovannino per pararlo fece volare la palla via lontano; batté sopra un<br />gong sospeso tra i sostegni d’una pergola, che vibrò cupo e a lungo. I due bambini si rannicchiarono<br />dietro un’aiola di ranuncoli. Subito arrivarono due servitori in giacca bianca, reggendo grandi<br />vassoi, posarono i vassoi su un tavolo rotondo sotto un ombrellone a righe gialle e arancio e se ne<br />andarono.<br />Giovannino e Serenella s’avvicinarono al tavolo. C’era tè, latte e pan-di-Spagna. Non restava che<br />sedersi e servirsi. Riempirono due tazze e tagliarono due fette. Ma non riuscivano a stare ben seduti,<br />si tenevano sull’orlo delle sedie, muovendo le ginocchia. E non riuscivano a sentire il sapore dei<br />dolci e del tè e latte. Ogni cosa in quel giardino era così: bella e impossibile a gustarsi, con quel<br />disagio dentro e quella paura, che fosse solo per una distrazione del destino, e che presto sarebbero<br />chiamati a darne conto.<br />Quatti quatti, si avvicinarono alla villa. Di tra le stecche d’una persiana a griglia videro, dentro,<br />una bella stanza ombrosa con collezioni di farfalle alle pareti. E in questa stanza c’era un pallido<br />ragazzo. Doveva essere il padrone della villa e del giardino, lui fortunato. Era seduto su una sedia a<br />sdraio e sfogliava un grosso libro con figure. Aveva mani sottili e bianche e un pigiama accollato<br />benché fosse estate.<br />Ora, ai due bambini, spiandolo tra le stecche, si spegneva a poco a poco il batticuore. Infatti quel<br />ragazzo ricco sembrava sedesse e sfogliasse quelle pagine e si guardasse intorno con più ansia e<br />disagio di loro. E s’alzasse in punta di piedi come se temesse che qualcuno, di momento in<br />momento, potesse venire a scacciarlo, come se sentisse che quel libro, quella sedia a sdraio, quelle<br />farfalle incorniciate ai muri e il giardino coi giochi e le merende e le piscine e i viali, erano concessi<br />a lui solo per un enorme sbaglio, e lui fosse impossibilitato a goderne, ma solo provasse su di sé<br />l’amarezza di quello sbaglio, come una sua colpa.<br />Il ragazzo pallido girava per la sua ombrosa stanza con passi furtivi, accarezzava i margini delle<br />vetrine costellate di farfalle con le bianche dita, e si fermava in ascolto. A Giovannino e Serenella il<br />batticuore spento riprendeva ora più fitto. Era la paura di un incantesimo che gravasse su quella<br />villa e quel giardino, su tutte quelle cose belle e comode, come un’antica ingiustizia commessa.<br />Il sole s’oscurò di nuvole. Zitti zitti Giovannino e Serenella se ne andarono. Rifecero la strada pei<br />vialetti, di passo svelto, ma senza mai correre. E traversarono carponi quella siepe. Tra le agavi<br />trovarono un sentiero che portava alla spiaggia, breve e sassosa, con cumuli d’alghe che seguivano<br />la riva del mare. Allora inventarono un gioco bellissimo: battaglia con le alghe. Se ne tirarono<br />manciate in faccia uno con l’altra fino a sera. C’era di buono che Serenella non piangeva mai. <br /></p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3368007031147491795.post-32008705262258764632023-11-11T18:15:00.010+01:002023-11-11T18:19:17.779+01:00Il bosco degli animali<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjC4bsvyqNe2lpPLK47pcoXjCuq82t5B2ZP7rzDk6p86rYdD4_LX1QpN1PbGzwZM__u0hzgbWOTW9N7nhQlf2H0HdjORVQCh-U5oAp88UrGpJtFZ69xHqkLoEC4tBLsdOMjdiJKfrOI_URgtY33DG8qwPjMQdrrapwLWBb42zQ3AbY1f5m2Qiotc_Vtrs/s2700/poule-coucou-pondeuse-fermiere-poule-vente-elevage.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2160" data-original-width="2700" height="512" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjC4bsvyqNe2lpPLK47pcoXjCuq82t5B2ZP7rzDk6p86rYdD4_LX1QpN1PbGzwZM__u0hzgbWOTW9N7nhQlf2H0HdjORVQCh-U5oAp88UrGpJtFZ69xHqkLoEC4tBLsdOMjdiJKfrOI_URgtY33DG8qwPjMQdrrapwLWBb42zQ3AbY1f5m2Qiotc_Vtrs/w640-h512/poule-coucou-pondeuse-fermiere-poule-vente-elevage.webp" width="640" /></a></div><br /><p></p><br />Il rastrellamento in corso porta gli
animali domestici a invadere il bosco. Allo smarrimento del soldato
tedesco, pure abituato alla vita in campagna, corrisponde il trionfo
del contadino, pessimo cacciatore, Giuà Dei Fichi. <br /><p></p><p></p><p></p><p></p><p><span style="font-size: medium;"></span></p><p><span style="font-size: medium;">I<b>talo Calvino</b>, <i>Il bosco degli animali</i>, l'Unità edizione piemontese 20 aprile 1948</span></p><p><span style="font-size: medium;">I
giorni di rastrellamento, al bosco sembra che ci sia la fiera. Tra i
cespugli e gli alberi fuori dai sentieri è un continuo passare di
famiglie che spingono la mucca od il vitello, e vecchie con la capra
legata a una corda, e bambine con l’oca sotto il braccio. C’è chi
addirittura scappa coi conigli.<br />Da ogni parte si vada, più i castagni son fitti, più si incontrano panciuti bovi e scampananti<br />mucche
che non sanno come muoversi per quei dirupati pendii. Meglio ci si
trovano le capre, ma i più contenti sono i muli che una volta tanto
posson muoversi scarichi, brucando cortecce per i viottoli. I maiali
vanno per grufolare in terra e si pungono coi ricci tutto il grugno; le
galline s’appollaiano sugli alberi e fanno paura agli scoiattoli; i
conigli che in secoli di stalla hanno disimparato a scavar tane, non
trovano di meglio che cacciarsi dentro il cavo degli alberi. Alle volte
s’incontrano coi ghiri che li mordono.<br />Quella mattina il contadino
Giuà Dei Fichi, stava facendo legna in un remoto angolo del bosco. Non
sapeva nulla di quel che succedeva al paese, perché n’era partito la
sera del giorno prima con l’intento d’andare per funghi la mattina
presto e aveva dormito in un casolare in mezzo al bosco, che serviva,
d’autunno, a essiccare le castagne. <br />Perciò mentre menava colpi
d’accetta contro un tronco morto, fu sorpreso a sentire, lontano e
vicino per il bosco, un vago rintoccare di campani. S’interruppe e udì
delle voci avvicinarsi. Gridò: Ooo-u!<br />Giuà Dei Fichi era un ometto basso e tondo, con una faccia da luna piena nerastra di pelo e<br />rubizza
di vino, portava un verde cappello a pan di zucchero con una penna di
fagiano, una camicia a grandi pallini gialli sotto il gilecco di
fustagno, e una sciarpa rossa intorno alla pancia a pallone per
sostenergli i pantaloni pieni di toppe turchine.<br />- Ooo-u! - gli
risposero e apparve tra le rocce verdi di licheni un contadino coi baffi
e il cappello di paglia, suo compare, che si portava dietro un caprone
dalla barba bianca.<br />- Cosa fai qui, Giuà, - gli disse il compare, - sono arrivati i tedeschi al paese e girano tutte le<br />stalle!<br />- Ohimè di me! - gridò Giuà Dei Fichi. - Troveranno la mia mucca Coccinella e la porteranno<br />via!<br />-
Corri che forse fai ancora in tempo a nasconderla, - lo consigliò il
compare. - Noi abbiamo visto la colonna che saliva in fondovalle e siamo
subito scappati. Ma può darsi che ancora non siano arrivati a casa tua.<br />Giuà lasciò legna, accetta e cestino dei funghi e corse via.<br />Correndo
per il bosco s’imbatteva in file d’anatre che gli scappavano
starnazzando di tra i piedi, e in greggi di pecore che marciavano
compatte fianco a fianco senza lasciargli il passo, e in ragazzi e in
vecchine che gli gridavano: - Sono arrivati già alla Madonnetta! Stanno
frugando le case sopra il ponte! Li ho visti girare la svolta prima del
paese! - Giuà Dei Fichi s’affrettava con le corte gambe, rotolando come
una palla giù per i pendii, guadagnando le salite a cuore in gola. Corri
e corri, arrivò a un gomito di costone donde s’apriva la vista del
paese. C’era un gran spaziare d’aria mattiniera e tenera, uno sfumato
circondario di montagne, e in mezzo il paese di case ossute e
accatastate tutte pietre e ardesia. E nell’aria tesa veniva dal paese un
gridare tedesco e un battere di pugni contro porte.<br />«Ohimè di me! ci sono già i tedeschi nelle case!» <br />Giuà
Dei Fichi tremava tutto nelle braccia e nelle gambe: un po’ di tremito
ce l’aveva di natura per via del bere, un po’ gli veniva adesso a
pensare alla mucca Coccinella, unico suo bene al mondo, che stava per
venir portata via.<br />Quatto quatto, tagliando per i campi, tenendosi al coperto dietro i filari delle vigne, Giuà Dei<br />Fichi
s’avvicinò al paese. La sua casa era una delle ultime ed esterne, là
dove il paese si perdeva negli orti, in mezzo a un dilagar verde di
zucche: poteva darsi che i tedeschi non fossero arrivati ancora lì. Giuà
facendo capolino dai cantoni cominciò a scivolare nel paese. Vide una
strada vuota coi consueti odori di fieno e di stallino, e questi nuovi
rumori che venivano dal centro del paese: voci disumane e passi ferrati.
La sua casa era lì: ancora chiusa. Era chiusa sia la porta della stalla
a pianterreno sia quella delle stanze, in cima alla consunta scala
esterna, tra cespi di basilico piantati dentro pentole di terra. Una
voce dall’interno della stalla disse: - Muuuuuu.. - Era la mucca
Coccinella che riconosceva l’avvicinarsi del padrone. Giuà si rimescolò
di contentezza.<br />Ma ecco che sotto un archivolto si sentì rimbombare
un passo umano: Giuà si nascose nel vano di una porta tirando indietro
la pancia rotonda. Era un tedesco dall’aria contadina, coi polsi e il
collo allampanati che sporgevano dalla corta giubba, le gambe lunghe
lunghe e un fucilaccio lungo quanto lui. S’era allontanato dai compagni
per veder di cacciare qualcosa per suo conto; e anche perché le cose e
gli odori del paese gli ricordavano cose e odori noti. Così andava
fiutando l’aria e guardando intorno con una gialla faccia porcina sotto
la visiera dello schiacciato cheppì. In quella Coccinella disse: -
Muuuu... - Non capiva come mai il padrone non arrivasse ancora. Il
tedesco ebbe un guizzo in quei suoi panni striminziti e si diresse
subito alla stalla; Giuà Dei Fichi non respirava più.<br />Vide il tedesco che s’accaniva a dar calci alla porta: presto l’avrebbe sfondata, di sicuro. Giuà<br />allora
scantonò e passò dietro la casa, andò al fienile e prese a rovistare
sotto il fieno. C’era nascosta la sua vecchia doppietta da caccia, con
una fornita cartuccera. Giuà caricò il fucile con due pallottole da
cinghiale, si cinse la pancia con la cartuccera e quatto quatto, a
fucile spianato, andò a appostarsi all’uscita della stalla. Già il
tedesco stava uscendo tirandosi dietro Coccinella legata ad una fune.
Era una bella mucca rossa a macchie nere e perciò si chiamava
Coccinella. Era una mucca giovane, affettuosa e puntigliosa: ora non
voleva lasciarsi portar via da quest’uomo sconosciuto, e s’impuntava; il
tedesco la doveva spinger via per il garrese.<br />Nascosto dietro un
muro Giuà Dei Fichi mirò. Ora bisogna sapere che Giuà era il cacciatore
più schiappino del paese. Non era mai riuscito a centrare, manco per
sbaglio, non dico una lepre ma nemmeno uno scoiattolo. Quando sparava ai
tordi al fermo, quelli manco si muovevano dal ramo. Nessuno voleva
andare a caccia con lui perché impallinava il sedere dei compagni. Non
aveva mira e gli tremavano le mani. Figuriamoci adesso, tutto emozionato
com’era! <br />Puntava, ma le mani gli tremavano e la bocca della
doppietta continuava a girare in aria. Faceva per mirare al cuore del
tedesco e subito gli appariva il sedere della mucca sul mirino. «Ohimè
di me! - pensava Giuà, - e se sparo al tedesco e uccido Coccinella?» E
non s’azzardava a tirare.<br />Il tedesco s’avanzava a stento con questa mucca che sentiva la vicinanza del padrone e non si<br />lasciava trascinare. S’accorse a un tratto che i suoi commilitoni avevano già sgombrato il paese e scendevano per lo stradone. <br />Il
tedesco s’accinse a raggiungerli con quella testarda mucca dietro.
Adesso riusciva più facile a Giuà tenergli dietro nascondendosi tra i
tronchi. E forse ora il tedesco avrebbe proceduto più discosto dalla
nucca, in modo che fosse possibile tirargli. <br />Una volta nel bosco
Coccinella parve perdere la riluttanza a muoversi, anzi, poiché il
tedesco tra quei viottoli si raccapezzava poco, era lei a guidarlo e a
decidere nei bivi. Non passò molto e il tedesco s’accorse che non era
sulla scorciatoia dello stradone ma in mezzo al bosco fitto: in una
parola s’era smarrito insieme a quella mucca.<br />Graffiandosi il naso nei roveti e finendo a piè pari nei ruscelli Giuà Dei Fichi gli teneva dietro,<br />tra
frulli di scriccioli che prendevano il volo e sgusciar di ranocchi dei
pantani. Prendere la mira in mezzo agli alberi era ancor più difficile, a
farla passare attraverso tanti ostacoli e con quella groppa rossa e
nera tanto estesa che gli si parava sempre sotto gli occhi.<br />Il tedesco già guardava con paura il bosco fitto, e studiava come poteva fare a uscirne, quando<br />udì
un fruscio in un cespuglio di corbezzoli e sbucò fuori un bel maiale
rosa. Mollò la corda della mucca e si mise dietro al maiale. Coccinella
appena si vide libera s’inoltrò trotterellando per il bosco, che sentiva
pullulare di presenze amiche.<br />Per Giuà era venuto il momento di sparare. Il tedesco s’affaccendava intorno al porco,<br />l’abbracciava per tenerlo fermo, ma quello gli sgusciava via.<br />Il tedesco rotolava contro pietre e cespugli con quel maiale tra le braccia che si dibatteva e<br />gridava:
- Ghiii... ghiii... ghiii... - A un tratto ai gridi del maiale rispose
un - Bee‚... - e da una grottauscì un agnellino. Il tedesco lasciò
scappare il porco e si mise dietro all’agnellino. Strano bosco, pensava,
con maiali nei cespugli e agnelli nelle tane. E acchiappato per una
zampa l’agnellino che belava a perdifiato se lo issò in spalla come il
Buon Pastore, ed andò via. Giuà Dei Fichi lo seguiva quatto quatto.
“Stavolta non scappa. Stavolta c’è”, diceva. <br />Il tedesco andando per
il bosco faceva scoperte da restar a bocca aperta: pulcini sopra gli
alberi, porcellini d’India che facevano capolino dal cavo dei tronchi.
C’era tutta l’arca di Noè. Ecco che su un ramo di pino vide posato un
tacchino che faceva la ruota. Subito, alzò la mano per pigliarlo, ma il
tacchino, con un piccolo salto, andò ad appollaiarsi su un ramo del
palco più alto, sempre continuando a far la ruota. Il tedesco, lasciando
l’agnello, cominciò ad arrampicarsi su quel pino. Ma ogni palco di rami
che lui saliva, il tacchino andava su d’un altro palco, senza
scomporsi, impettito e coi penduli bargigli fiammeggianti. Giuà avanzava
sotto l’albero con un ramo frondoso sulla testa, altri due sulle spalle
e uno legato alla canna del fucile. <br />Il tedesco salendo era arrivato ai rami più sottili, finché uno non gli si spezzò sotto i piedi e lui<br />cascò.
Per poco non finì addosso a Giuà Dei Fichi, che questa volta ebbe
occhio e scappò via. Ma lasciò per terra tutti i rami che lo
nascondevano, così il tedesco cadde sul morbido e non si fece niente.<br />Il
bosco era tutto muggiti e belati e coccodè.: a ogni passo si facevano
nuove scoperte d'animali: un pappagallo su un ramo d'agrifoglio, tre
pesci rossi sguazzanti in una polla. <br />Alla fine il tedesco era
arrivato in un posto tutte pietre grigie, rose da licheni azzurri e
verdi. Cadde e vide una lepre sul sentiero. Ma non era una lepre: era
panciuta e ovale e sentendo<br />rumore non scappò, ma s’appiattì per terra. Era un coniglio e il tedesco lo prese per gli orecchi.<br />Avanzava
così col coniglio che squittiva e si contorceva in tutti i sensi e lui
era costretto per non farselo scappare a saltare in qua e in là col
braccio alzato. Il bosco era tutto muggiti e belati e coccodé: a ogni
passo si facevano nuove scoperte d’animali: un pappagallo su un ramo
d’agrifoglio, tre pesci rossi sguazzanti in una polla.<br />Alla fine il
tedesco era arrivato a un posto tutte pietre grige, ròse da licheni
azzurri e verdi. Solo pochi pini scheletriti crescevano intorno, e
vicino s’apriva un precipizio. Nel tappeto d’aghi di pino che giaceva in
terra, stava razzolando una gallina. Il tedesco fece per rincorrere la
gallina e il coniglio gli scappò.<br />Era la gallina più magra, vecchia e
spennacchiata che mai si fosse vista. Apparteneva a Girumina, la
vecchia più povera del paese. Il tedesco l’ebbe presto tra le mani.<br />Giuà s’era appostato in cima a quelle roccie e aveva costruito un piedestallo di pietre per il suo<br />fucile.
Anzi aveva messo su proprio la facciata d’un fortino, con solo una
stretta feritoia per far passare la canna del fucile. Adesso poteva
sparare senza scrupoli, ché se anche ammazzava quella gallina
spennacchiata era mal di poco. <br />Ma ecco che la vecchia Girumina,
raggomitolata in scialli neri e cenciosi, lo raggiunse e gli fece questo
ragionamento: "Giuà, che i tedeschi mi portino via la gallina, unica
cosa che mi resti al mondo, è già triste. Ma che sia tu che me l’ammazzi
a fucilate è più triste ancora".<br />Giuà riprese a tremare più di prima, per la gran responsabilità che gli toccava. Pure si fece forza e schiacciò il grilletto.<br />Il
tedesco sentì lo sparo e vide la gallina che gli starnazzava in mano
restare senza coda. Poi un altro colpo, e la gallina restare senza
un’ala. Era una gallina stregata, che esplodeva ogni tanto e gli si
consumava in mano? Un altro scoppio e la gallina fu completamente
spennata, pronta per andare arrosto, e pure continuava a starnazzare. Il
tedesco che cominciava a esser preso dal terrore la teneva per il collo
discosta da sé. Una quarta cartuccia di Giuà le troncò il collo proprio
sotto la sua mano e lui rimase con la testa in mano che si muoveva
ancora. Buttò via tutto e scappò via. Ma non trovava più sentieri.
Vicino a lui s’apriva quel roccioso precipizio. Ultimo albero prima del
precipizio era un carrubo e sui rami del carrubo il tedesco vide rampare
un grosso gatto.<br />Ormai non si stupiva più di vedere animali domestici sparsi per il bosco e avanzò la mano per<br />accarezzare il gatto. Lo prese per la collottola e sperava di consolarsi a sentirlo far le fusa.<br />Ora bisogna sapere che quel bosco era da tempo infestato da un feroce gatto selvatico che<br />uccideva
i volatili e talvolta si spingeva fino al paese nei pollai. Così il
tedesco che credeva di sentir fare ronron, si vide precipitare il felino
contro a pelo dritto e arruffato e sentì le sue unghie farlo a brani.
Nella zuffa che seguì l’uomo e la belva rotolarono ambedue nel
precipizio.<br />Fu così che Giuà, tiratore schiappino, fu festeggiato come il più grande partigiano e cacciatore<br />del paese. Alla povera Girumina fu comprata una covata di pulcini a spese della comunità.</span></p><p> </p><p> </p>Giovanni Carpinellihttp://www.blogger.com/profile/08745637583483448470noreply@blogger.com0