sabato 8 marzo 2025

8 marzo, un promemoria




Porpora Marcasciano
8 marzo, nuovo vocabolario per connessioni possibili
il manifesto, 8 marzo 2025

... Sempre più spesso mi chiedo dove siamo, che mondo viviamo, quale epoca stiamo attraversando senza riuscire a darmi risposte lucide e chiare. Incertezza e perplessità ci avvolgono mentre osserviamo lo svolgersi delle cose che, apparentemente, precipitano e il nostro senso di impotenza rispetto a ciò aumenta.

Nonostante tutto, credo che riflettere sul qui e ora come pratica personale e collettiva per leggere il mondo non può che farci bene, purché alla riflessione corrispondano azioni e pratiche capaci di intaccare o quantomeno scalfire il monolite patriarcale che ci grava addosso.

Qui e ora punto di arrivo e di partenza, snodo, crocevia e ricamo di un prezioso sistema di relazioni che aldilà di tutto continuiamo a tessere da molto tempo.

Abbiamo incarnato come tante Penelopi le tessitrici che compongono e disfano la tela dei rapporti, delle relazioni, degli schemi imposti ricostruendo un nuovo universo delle possibilità. Dal concetto del partire da sé a quello del personale politico, dalle prime autocoscienze ai gruppi di auto aiuto, ai multiformi seminari come laboratori di conoscenze. Tanta roba che ha riscritto la natura e le forme del nostro quotidiano, tracce profonde e importanti del nostro fare politico per modellare il mondo. Un lasso di tempo di circa settanta anni in cui le nostre pratiche hanno prodotto non quella massimalista, ma tante piccole e grandi rivoluzioni.

Soprattutto sull’agire quotidiano e su quell’assurdo antico sistema di relazioni che per secoli ha incastrato corpi, vite, esperienze. L’autodeterminazione agita e teorizzata è stato l’asse centrale di quella sovversione che ha trasformato l’esistente, soprattutto la qualità delle nostre vite. La messa in discussione del tempo lavoro, il riequilibrio del rapporto lavorativo, salariale, di quello di classe e di genere, una nuova e sana relazione con la natura e l’ecosistema, con la scienza, con la politica.

Imprescindibili le vittorie del divorzio come rottura della gabbia familiare, l’aborto come riappropriazione del corpo delle donne e del loro potere decisionale, il cambiamento di sesso e le transizioni verso il genere percepito. Anche se finita nel dimenticatoio della nostra storia, in tutto questo dovremmo inserire assolutamente la cosiddetta «Rivoluzione sessuale» degli anni Sessanta e Settanta, la Summer Love del «fate l’amore e non la guerra» che ha riportato fuori dalle cupe stanze sessualità, sensualità, sentimenti, desideri e bisogni, liberandoli dalla colpa antica. Come abbiamo parlato, pensato e agito in questo lasso di tempo rappresenta il vero «cambiamento epocale» che oggi sembra neutralizzato nel suo senso e significato da una cultura, prima ancora che da una politica che si è fatta destra, conservatrice e che man mano va delineandosi apparendo più nera di quanto l’avessimo immaginata. La costruzione e la riappropriazione di un nuovo vocabolario di classe, genere e cultura che riportasse la parola come significante delle nostre esperienze umane. Un tesoro inestimabile di elaborazione teorica di liberazione che ci ha fornito e continua a fornire le coordinate di viaggio o meglio di movimento.

Il femminismo che, come un fiume in piena, travolse tutto quel sistema di regole e costrizioni che agivano sui corpi non solo delle donne ma in generale sulla fisicità di genere (mi sia concesso il termine). I movimenti Queer che si riappropriano della storia e di una sessualità/sensualità proibita. I movimenti antirazzisti, ecologisti, libertari. Senza dimenticare il riconoscimento di soggettività o categorie fin qui disconosciute. Tutto quell’insieme di umanità insubordinata che reclamava e determinava la propria liberazione.

Un lavoro di tessitura, di costruzione del mondo avviata, forse, da quel buco nero del ‘900, dalla guerra mondiale con i suoi tragici epiloghi che spinse l’umanità ferita a ricercare nuove modalità esistenziali, a inventare nuove relazioni mai immaginate prima.

È la crisi che funziona come ricerca, possibilità, la cosiddetta «fame che aguzza l’ingegno» che ha funzionato come produttrice di umanesimo, di un universo meno ostile o estraneo che ci somigliasse di più. Questo e tanto altro ancora ha prodotto la magnifica tessitura, il favoloso ricamo di relazioni impensabili prima.

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