Passato il tempo della cosiddetta prima repubblica, la scena politica italiana è stata dominata quasi sempre da personaggi effimeri, capaci di cavalcare l'onda, non di segnare un'epoca. Non Berlusconi, non Grillo, non D'Alema, non Veltroni, non Renzi: nessuno di questi si è davvero imposto con la forza travolgente di una personalità che fosse in grado di imprimere una svolta duratura al corso degli eventi. Tutti hanno avuto il loro momento di gloria, qualcuno è rimasto sulla scena più a lungo di altri, nessuno ha assunto il rilievo della figura esemplare. Maschere destinate a bruciarsi nel tempo dello spettacolo. Non così i presidenti della Repubblica, tra di essi uno o due hanno regnato in tempi difficili e hanno acquisito sul campo una loro tragica grandezza: Scalfaro e ora Mattarella, che Dio lo conservi.
Giovanni Macchia, Luigi Pirandello, Storia della Letteratura Italiana, direttori: Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, volume nono, Il Novecento, Milano, Garzanti 1969, pagina 419
Gli eroi shakespeariani nascono e vivono sul palcoscenico per tutta la durata dello spettacolo, e continuano a vivere quando il sipario è calato. I personaggi di Pirandello non hanno alcuna posterità. Calato il sipario, sono veramente morti. Il teatro è il luogo, insieme, della loro reincarnazione e della loro morte. Nati altrove, fuori del teatro, vi sprofondano per sempre, una volta che la rappresentazione è finita. Hanno bruciato tutto se stessi in una deserta ansia d'eternità, su un palcoscenico ove non hanno mimato, né "ripetuta" la vita. Ed un senso di vuoto, di esistenziale tristezza prende lo spettatore che abbandona il teatro.
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