La vicenda di Masaniello (1620-1647) è ampiamente conosciuta: un umile pescatore, nel 1647 capeggia una rivolta popolare contro il governo spagnolo di Napoli, che ha come motivo scatenante l’imposizione di una tassa sulla frutta. La rivolta ha successo e Masaniello diventa il dittatore popolare, obbedito in tutto dal popolo napoletano e che negozia con il viceré spagnolo, il Duca d’Arcos. Un tentativo di assassinio da parte di banditi al soldo del duca scatena in Masaniello la pazzia, che lo porterà alla rovina. Il popolo che lo aveva idolatrato, assiste indifferente alla sua morte causata da alcuni suoi compagni che lo tradirono, ma in seguito lo trasforma in un martire ed in un simbolo per la rivolta contro il potere. Il racconto di Dumas delle vicende di Masaniello, che troviamo pubblicato a puntate nel 1865, ha una curiosa storia editoriale. Intanto non è un romanzo, ma una rievocazione storica incline alla leggenda. La rivista che lo pubblica ringrazia in una nota l’editore di Da Napoli a Roma, da cui è tratto, pubblicato da “L’Indipendente”, il giornale di Dumas nel 1862 e tradotto da Eugenio Torelli Vollier, il futuro fondatore del “Corriere della sera”. Non sembra esistere un originale francese del libro di viaggi, né un manoscritto, quindi è legittimo sospettare che il vero autore sia Torelli Viollier e non Dumas, che lo firmò e lo pubblicò.
Il personaggio del pescatore napoletano non ebbe certo la consapevolezza e lo spessore tragico che gli vengono attribuiti nel racconto. Tuttavia acquisì molto presto un'aura mitica, come conferma un episodio legato alla vita di Spinoza (1632-1677). Il più celebre biografo del filosofo olandese scrive in una nota: «Ho tra le mani un libro intero di ritratti simili dove si trovano diverse persone distinte e che lui conosceva o che avevano avuto occasione di recargli visita. Tra questi ritratti, trovo al quarto foglio un pescatore disegnato in camicia, con la rete sulla spalla destra, assolutamente somigliante, per l’attitudine al famoso capo di ribelli di Napoli, Masaniello, come viene rappresentato nella storia. A proposito del disegno in questione non devo omettere che il signor Van der Spyck, presso chi alloggiava Spinoza al momento della sua morte, mi ha assicurato che il bozzetto ritratto assomigliava perfettamente a Spinoza, e che l’aveva senza dubbio disegnato prendendo se stesso a modello». Il fatto è richiamato anche in Matthew Stewart, Il cortigiano e l'eretico, dove il cortigiano è Leibniz che invece, in una lettera del 1686, definì Masaniello «l’uomo più empio e pericoloso di questo secolo».
... Masaniello e la sua gente si trovavano per caso o di proposito sulla piazza del Mercato. S'intende che erano tutti armati di mazze. Il cognato di Masaniello, giardiniere a Pozzuoli, aveva portato al Mercato una cesta piena degli ottimi fichi che producono le terre intorno al golfo di Baia.
Un'incredibile negligenza trovavasi nella redazione dell'editto; non vi si specificava se al venditore o al compratore toccava a pagar la tassa. Un diverbio sorse fra un avventore ed il cognato di Masaniello; ognuno voleva far pagare all'altro. Come accade in questi casi, la folla s'aggruppò intorno a' litiganti e la disputa bentosto ebbe a spettatori tutte le persone del Mercato.
In questo momento passò l'Eletto del popolo: era un tale a nome Andrea Nauclerio. Interrogato, diede torto al cognato di Masaniello. I giardinieri a quella sentenza che metteva a loro carico la tassa mormorarono.
– Zitto, o vi mando tutti in galera! dice Andrea Nauclerio.
– Orbene, giacchè la va così, risponde il cognato di Masaniello, sparpagliando le frutta fra la folla, meglio dar i miei fichi per nulla che impinguarne questi demonî di gabellieri che ci succiano perfino il sangue!
Il popolo non se lo fa ripetere, e si getta avidamente sulle frutta, gridando e schiamazzando.
Di botto Masaniello, che fin allora aveva tutto veduto, tutto ascoltato senza dir motto, lanciasi in mezzo a quella turba, gridando:
– Giù le tasse! via le gabelle!
E tutta la schiera, quasi avesse aspettato quel segnale, a ripetere le stesse voci.
Andrea Nauclerio vuol parlare; ma Masaniello, raccolto una mano di fichi, glieli tira nel mezzo del viso; ognuno dà di piglio a quello che può, ed il povero Eletto ed i commessi della gabella, inseguiti dai venditori, assaliti da proiettili di ogni genere, son vergognosamente discacciati dal Mercato e ricorrono al vicerè.
Ma Masaniello non perde tempo ad inseguirli, e salito sulla panca più alta del Mercato, a gran voce:
– Amici, gridò, fate animo e rendete grazie a Dio; l'ora della libertà e sonata finalmente: a malgrado de' cenci di cui sono coperto e che fanno prova della mia miseria, spero, novello Mosè, di liberare il popolo dal servaggio. San Pietro era pescatore come me e salvò, non Roma soltanto, ma il mondo intero dalla schiavitù del demonio: orbene, un altro pescatore salverà Napoli, e le ridonerà tempi più felici. So già che vi lascerò la vita e che il mio capo sarà portato in cima ad una picca; che i quarti del mio corpo saranno trascinati per le strade di Napoli; ma morrò contento, sapendo che mi son sagrificato alla prosperità del mio paese!
S'intende l'effetto che produsse questo discorso sulla folla. Il capo de' Turchi, che doveva difender la rocca contro Masaniello, gli si gettò nelle braccia e da quel punto il giovane lazzarone si trovò a capo non più di trecento ma di seicento uomini.
Incominciarono tosto a metter fuoco all'officina del dazio ed ai registri, e più drappelli si formarono per far lo stesso negli altri mercati della città. Ma nel mandar per la città i lazzaroni, Masaniello aveva serbato intorno a sè i suoi seicento armati di randelli, e mettendo in punta ad una pertica, per insegna, un tozzo di pane, s'avvio verso il palazzo del vicerè gridando:
– Viva il re! muoia il mal governo! Senza dubbio, se il vicerè avesse in quel momento, contro quei seicento uomini armati di mazze, spedito i suoi vecchi soldati tedeschi, i suoi vecchi lanzi spagnuoli, gente usa insomma alle battaglie; se avesse loro comandato di far fuoco sui sediziosi, l'inferiorità delle armi, la vista dei morti, il sentimento della loro impotenza li avrebbe fatti cader ginocchioni e chieder grazia; ma un raggio doveva brillar su Napoli in quella buia notte del dispotismo che la gravava; quel raggio ebbe la durata, ma anche il bagliore folgorante del baleno.
Il vicerè, al contrario impauritosi, ordinò alla moglie di salvarsi nel castel Nuovo, e temendo di esser riconosciuto ed arrestato per via, egli si appiattò in un nascondiglio del palazzo. Quando il capo del governo si nasconde innanzi al popolo, in luogo di andargli contro deliberatamente, la rivoluzione è fatta, o quasi.
***
Due uomini avevano avuto gran parte in questo avvenimento, il bandito Perrone ed un vecchio prete a nome Giulio Genuino, che già una volta, in una sedizione precedente, era stato il capo della parte popolare.
Primo decreto del nuovo tribunale fu l'abolizione delle imposte; poi, volendo, vendicatosi del governo, vendicarsi de' nobili, deliberò che, per dar soddisfazione al popolo, da tanto tempo angariato da essi, si arderebbero sessanta palazzi magnatizi.
Videsi allora un fatto incredibile; una turba di lazzaroni scalzi, cenciosi, pallidi ancora della fame di ieri, mal satolli del pasto di oggi, distruggere palagi magnifici, annientare tesori sterminati, gettare al fuoco suppellettili, tappezzerie, scrigni pieni di gioie, sacchi pieni di oro, fasci di carte, senza che un sol oggetto fosse tolto alla distruzione cui era destinato.
Secondo il vecchio costume de' tempi barbari, secondo la tradizione perpetuatasi da Sardanapalo ad Alarico e da Alarico al principe di Caramanico, furono strangolati e pugnalati i cavalli sul rogo, e quando tutte le robe, tutt'i capilavori, tutte le ricchezze d'un palazzo erano incenerite, si dava alle fiamme il palazzo stesso.
Napoli per tali eccessi avrebbe dovuto divenire tutta un incendio; ma, a furia di cautele, il fuoco pareva divenuto complice intelligente della sommossa e non divorava che la preda assegnatagli.
Chi avesse guardato Napoli dal castello S. Elmo, avrebbe contato venti o venticinque vulcani di pietra che lanciavano fiamme per ogni bocca e ruinavano sulle basi, dopo divorate le visceri. Ma a veder l'ordine che regnava fino nella distruzione, non avreste creduto esser quello un popolo sfrenato che sfogava una vendetta, sibbene un giudice tremendo ch'eseguiva una sentenza. Un affamato che aveva rubato un formaggio ebbe cinquanta bastonate; un altro che non aveva letto ed aveva involato una materassa fu trucidato; due altri che s'erano appropriati un vaso d'argento furono appiccati!
Gl'incendi durarono tre giorni: ventiquattro palagi furon arsi; i trentasei altri, – sessanta erano condannati, – furon salvati a preghiera del Cardinal Filomarino.
Volendo sapere fin a qual punto estendevasi la sua autorità sulla plebe, Masaniello fe' varie pruove: a suono di trombe comandò al popolo di restar sotto le armi e dispose sentinelle in ogni luogo; poscia, nel mezzo della notte, fe' dar il segno dell'armi, per vedere se tutti erano all'erta. Erano tutti a' posti assegnati, cioè meglio di centomila persone; perchè a' lazzaroni ed a' popolani s'erano aggiunti i campagnoli de' contorni, armati di scuri, di vanghe e di falci, strumenti attissimi a tagliar le teste
Poi, fra tutta quella moltitudine, si notava una compagnia che, sebbene mista alle altre, era indipendente ed operava per proprio conto. Fioriva allora in Napoli quella famosa scuola di pittura, immaginosa quant'altra mai, che tanta luce diffuse nel XVII secolo ed aveva per maestri Aniello Falcone, Micco Spadaro e Salvator Rosa.
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