martedì 22 luglio 2025

Montmartre Disneyland

 


"Diventiamo personaggi di un parco divertimenti": la "disneylandizzazione" del quartiere di Montmartre raccontata dai suoi residenti

Jessica Gourdon
Le Monde, 22 giugno 2025

 Un numero sempre crescente di turisti e residenti esasperati. La convivenza è problematica e gli effetti del sovraffollamento turistico sono sempre più visibili in questo quartiere parigino. Associazioni di residenti, imprenditori e funzionari eletti sperano di impedire che la loro casa diventi "come Alfama, quel quartiere di Lisbona svuotato della sua vita quotidiana".

Dalla panchina pubblica di Place Dalida, dietro il Sacro Cuore, si può assistere a una scena curiosa a qualsiasi ora del giorno. Decine di spagnoli, indiani, cinesi e americani si mettono in fila per posare accanto alla statua della cantante. E non in un modo qualsiasi: tenendole il seno. Il gesto è incongruo, i volti sono esilaranti: si dice che accarezzare il seno di Dalida porti fortuna in amore.

In Rue de l'Abreuvoir si formano le stesse code di turisti: questa volta cercano di farsi fotografare davanti a La Maison Rose, un caffè apparso nella serie americana Emily in Paris . Più avanti, in Rue des Trois-Frères, un'altra coda riempie uno stretto marciapiede: è il Photomaton Vintage, che sta spopolando sui social media.

Benvenuti nella fotogenica Montmartre, con i suoi giardini nascosti, i mulini a vento, i vigneti, la funicolare, gli artisti di strada... e milioni di visitatori da tutto il mondo. In questo quartiere dove prosperano gelati, crêpes e mini-Torre Eiffel, persino il traffico sembra orchestrato da Disneyland: sidecar, 2CV, Méhari e tuk-tuk attraversano la Butte per poche decine di euro a persona, sorpassando i trenini turistici – ce ne sono cinque.

Ma, da diversi mesi, una breccia ha incrinato questo scenario magico. In questo quartiere dove vivono 27.000 persone, sono apparsi striscioni alle finestre: "Abitanti dimenticati!" , "Lasciate vivere gli abitanti di Montmartre!" , "Dietro queste facciate ci sono delle persone ". Ma anche sugli edifici scolastici: "No alla chiusura delle lezioni!". Cartelli che annunciano la pedonalizzazione di alcune vie sono contrassegnati con la scritta "Stop ". In pochi mesi, il sovraffollamento turistico di Montmartre è diventato una questione politica, sollevata da associazioni di residenti, commercianti e rappresentanti eletti di ogni tipo.

Cos'è successo? Innanzitutto, un po' di contesto: il crescente numero di turisti stranieri a Parigi: +20% tra il 2014 e il 2024, secondo i dati di Choose Paris Region. Un aumento di questo tipo non è cosa da poco, visti i numeri mostruosi: Parigi ha accolto 22,6 milioni di turisti stranieri nel 2024 e il 2025 si preannuncia come un anno record. Per questi visitatori, Montmartre è, più che mai, una tappa obbligata: nel 2024, il Sacro Cuore è stato il monumento più visitato in Francia, superando la Torre Eiffel, con 11 milioni di ingressi.

Tuttavia, con l'aumento del numero di turisti, la convivenza tra visitatori giornalieri e altri utenti della città sta diventando sempre più problematica. "Prima, il sovraffollamento turistico si avvertiva principalmente nei fine settimana estivi. Dalla fine della pandemia [di Covid-19] , e ancor di più dopo le Olimpiadi [dell'estate 2024] , è presente tutta la settimana, tutto l'anno ", afferma Eric Durand, fotografo e residente. "Non ho mai visto così tanti turisti come negli ultimi mesi ", afferma Brice Moyse, proprietario di un'agenzia immobiliare nella zona.

Certamente, l'area intorno al Sacro Cuore e a Place du Tertre è stata per anni quasi esclusivamente dedicata al turismo. Ciò che è cambiato è che, a causa dell'enorme numero di visitatori, la trasformazione dell'area si sta estendendo sempre di più nello spazio e nel tempo. "Montmartre sta diventando una scenografia per i visitatori che arrivano in modalità express con l'obiettivo di scattare una foto particolare", riassume l'architetto Bertrand Monchecourt.

“Gli affitti a lungo termine sono scomparsi”

Una scintilla ha acceso la polveriera: la decisione della Città di Parigi di creare una zona pedonale che si estende su una ventina di strade. Il traffico non sarà vietato, ma la velocità sarà ridotta e i parcheggi saranno in gran parte eliminati. Per molti residenti, questo piano equivale a dare ancora più spazio al turismo, a scapito della vita quotidiana dei residenti. Il Comune risponde che si tratta semplicemente di ridurre il numero di auto, come accade ovunque a Parigi. Ciononostante, una nuova associazione, Vivre à Montmartre, ha avviato una battaglia legale contro il provvedimento. La sua petizione ha raccolto oltre 8.000 firme. Le ultime riunioni del consiglio di quartiere sono state tese, spingendo il Comune a organizzare una consultazione pubblica sul progetto durante l'estate.

Se questo tema elettrizza il quartiere, è perché ha subito una profonda trasformazione in quindici anni, come alcuni dei quartieri più turistici di Parigi. In dieci anni, i prezzi degli immobili sono esplosi (oscillano tra i 12.000 e i 15.000 euro al metro quadro), cacciando via i meno fortunati e portando alla chiusura di diverse classi nelle scuole pubbliche. "Nel quartiere, gli affitti a lungo termine sono scomparsi " , osserva Brice Moyse, dell'agenzia Immopolis.

Montmartre è diventato un paradiso per gli alloggi turistici ammobiliati: piccoli spazi, grandi profitti. I residenti "permanenti" convivono in piccoli edifici con i turisti che passano in massa, con la loro dose di fastidi. Valigie con le rotelle a tutte le ore, la mancata raccolta differenziata dei rifiuti, feste rumorose. E l'indebolimento dei legami sociali tra vicini. Tra maggio 2019 e maggio 2025, il numero di annunci attivi su Airbnb è aumentato del 36%, secondo i dati della società AirDNA. Tra il 20% e il 30% delle case sono Airbnb, temporanee o permanenti. Nel complesso, il 18° arrondissement è il quartiere con il maggior numero di annunci di alloggi turistici ammobiliati, secondo i dati della città. E questo senza contare gli affitti non dichiarati o illegali "che abbondano a Montmartre ", conferma Brice Moyse.

L'altro cambiamento degno di nota è la trasformazione delle attività commerciali. Gelaterie e negozi di souvenir stanno gradualmente sostituendo parrucchieri, lavanderie, fruttivendoli, ecc. "Quando questo tipo di attività chiude, un'intera vita di quartiere muore ", riassume Emile Meunier, avvocato ed ecologista eletto deputato del XVIII arrondissement . In Rue Lepic, la galleria d'arte W è diventata un negozio di magliette con la scritta "I Love Paris". "E poi, abbiamo caffè ovunque. Non ha senso averne così tanti", commenta Karine Ringot, che gestisce il sito web Montmartre Addict.

Giocare

Stanno emergendo conflitti d'uso. "Da quando la pasticceria Chez Boris è apparsa nella serie Miraculous , c'è sempre una lunga coda. E quando, davanti a te, ci sono solo turisti che fotografano éclair e fanno mille domande, puoi facilmente pensare di non avere alcun motivo di essere lì ", afferma Anne Renaudie, dell'associazione Vivre à Montmartre.


Qualcuno sta trovando il modo di aggirare il problema: Pain Pain, un panificio in Rue des Martyrs, ha allestito uno sportello prioritario per chi compra solo pane. E mentre alcuni negozi stanno beneficiando notevolmente di questa manna turistica, non è così per tutti, assicura Brice Moyse, che è anche presidente dell'associazione dei commercianti di Lepic-Abbesses. "Molte attività commerciali sono in difficoltà, semplicemente perché ci sono meno residenti e la maggior parte dei turisti a Montmartre spende poco ", continua.

"Sovraffollamento"

L'afflusso di turisti in questo quartiere ripido e con strade strette crea altri tipi di tensione negli spazi pubblici: saturazione dei marciapiedi, difficoltà a camminare... Nei fine settimana, Karine Ringot deve farsi strada tra i gruppi per salire i gradini che portano a casa sua, aspettando che tutti si facciano una foto... "Il grande gioco dei conducenti di 2CV che accompagnano i turisti è percorrere Rue Berthe a tutta velocità, per far urlare i passeggeri in piedi in macchina, con il tetto aperto. Il sovraffollamento, unito a questo tipo di comportamento irresponsabile, sta rendendo tutti tesi. Stiamo raggiungendo il punto di saturazione ", afferma. Gli autobus stanno diventando simboli odiati: il giorno della nostra visita, sette erano in attesa davanti al liceo Jacques-Decour, con i motori accesi per l'aria condizionata. La funicolare è diventata difficile da usare per i residenti del quartiere, a causa delle code, nonostante sia un mezzo di trasporto pubblico.

Béatrice Dunner, una traduttrice che vive nel quartiere dal 1976, cita anche l'ascesa incontrollata dei "food tours ", agenzie che accompagnano piccoli gruppi di turisti nei negozi di alimentari del quartiere di Abbesses. All'inizio non era un problema. È la loro proliferazione a creare irritazione. "Davanti alla formaggieria, una guida tiene una lezione sulla produzione del formaggio. Dal macellaio, un altro passa dieci minuti a parlare del pollo della domenica, commentando anche i vostri acquisti. Come residenti, diventiamo personaggi di un parco divertimenti " , dice la donna che è anche presidente dell'Associazione per la Difesa di Montmartre e del XVIII . " Non riesco a immaginare il numero di foto in cui compaio mentre faccio la spesa", ride Karine Ringot. A tutto questo si aggiungono le solite critiche alla pulizia: niente bagni pubblici, pochissimi cestini traboccanti di involucri di panini e bottiglie di plastica. "Montmartre è diventato il paradiso dei venditori di tacos e bubble tea, che generano un'enorme quantità di rifiuti " , tuona Anne Renaudie.

Certo, queste critiche, provenienti dagli abitanti di un quartiere fortemente gentrificato, dove vivono avvocati, influencer e personaggi dello spettacolo, possono far sorridere. "Gli striscioni alle finestre di splendidi appartamenti ricoperti di rampicanti sono un po' ridicoli, perché in fin dei conti non è una tragedia ", ammette Jean-Manuel Gabert, presidente della società Vieux Montmartre. "Ma quello che sta succedendo lì preoccupa tutti, perché è un intero quartiere, con la sua storia, il suo patrimonio, che è minacciato di deturpazione. E dato il crescente turismo, questo potrebbe estendersi anche ad altre zone di Parigi". Insieme all'architetto Bertrand Monchecourt, stanno guidando un progetto per candidare la Butte Montmartre al Patrimonio Mondiale dell'UNESCO. Sperano di impedire che Montmartre diventi "come Alfama, questo quartiere di Lisbona svuotato della sua vita quotidiana ".

Tutti deplorano una forma di lassismo e mancanza di controllo da parte delle autorità locali, ad esempio vietando l'ingresso a gruppi numerosi o imponendo il divieto di usare l'interfono alle guide. O precludendo la possibilità di affittare altri locali commerciali, in modo che non si trasformino in negozi che vendono berretti fabbricati in Cina. "Dobbiamo ridurre la pressione, altrimenti andiamo verso un collasso ", ammette Frédéric Hocquart, assessore al turismo del Comune di Parigi. "Ma non abbiamo il controllo su tutto. Vorremmo vietare i pullman, ma lo Stato si è rifiutato di farlo". La crescita degli arrivi nei due aeroporti parigini è un altro tassello fondamentale del puzzle, su cui il Comune non ha alcun controllo.

Tra pochi giorni, domenica 27 luglio, Montmartre sarà sotto i riflettori, con il Tour de France che passerà per la prima volta da Rue Lepic. "Sarà senza dubbio fantastico ", prevede Emile Meunier. " Ma essendo uno degli eventi sportivi più seguiti al mondo, non sorprenderà se ci saranno ancora più visitatori".

https://www.lemonde.fr/economie/article/2025/07/22/a-paris-montmartre-face-a-une-pression-touristique-galopante-en-tant-qu-habitants-on-se-sent-comme-les-personnages-d-un-parc-d-attractions_6622885_3234.html



Uno scandalo secondario

Stefano Folli
Milano, una crisi che nessuno vuole

la Repubblica, 22 luglio 2025

Qualcuno nei giorni scorsi ha evocato l’abusata immagine della grande montagna che partorisce un minuscolo topino. In effetti, è quello che sembra, al punto cui siamo giunti. Il discorso del sindaco di Milano in Consiglio comunale è stato corretto, dignitoso, ma prevedibile in ogni capoverso. A cominciare dal primo, in cui ha rivendicato di avere le “mani pulite”.

Sì, pulite come il nome dell’inchiesta che oltre trent’anni fa diede il via allo sconquasso giudiziario. Ma oggi questa nuova iniziativa giudiziaria non sembra avere molto in comune con la lontana Tangentopoli. Tutto è possibile, s’intende, ma anche le sorprese hanno bisogno di uno stato d’animo, di un’atmosfera drammatica in cui ogni giorno ci si aspetta qualche novità inquietante. Se si ricorda la Milano di allora, non si può negare che adesso il clima politico sia diverso in modo radicale.

Chi ha provato a dare una spallata alla giunta, lo ha fatto in queste ore senza troppa convinzione: quasi per onore di firma. Così i Cinque Stelle, che sono nati nel furore “giustizialista” e non possono rinnegare se stessi. Così la Lega, che nei momenti topici ritrova sempre il filo misterioso che li riavvicina al vecchio partner del governo gialloverde.

Tuttavia sembrano anche loro consapevoli che il sacrificio dell’assessore Tancredi è il massimo che possono ottenere per come si sono messe le cose. Poi sono sempre possibili i colpi di scena, non prevedibili per definizione. Però la cronaca al momento dice altro. Del resto anche la sorte di Tancredi non nasce da un’ammissione di colpa, come è logico, bensì da un gesto dettato dall’opportunità politica. E da un rapporto non così positivo con una parte della maggioranza su cui si regge Sala.

Ciò significa che per un attimo si è sollevato il velo che nasconde la realtà. Vale a dire che il sindaco sembra salvo non tanto per l’entusiasmo del Pd nei suoi confronti, quanto per la necessità di evitare il peggio. La debolezza, almeno così pare, delle accuse rischiava di trascinare la città di Milano in un gorgo di cui nessuno era in grado di intravedere la fine. E come si è visto, la stessa destra ha evitato di farsi travolgere prima del tempo.

Il “garantismo” imposto da Giorgia Meloni, nonostante eccezioni anche significative, è dettato da un calcolo politico abbastanza ovvio. Non è interesse di nessuno accelerare le scadenze della crisi milanese. Forse perché la stessa destra non è pronta per l’anticipo elettorale. Maurizio Lupi, cioè il candidato in pectore di La Russa e altri, deve attendere. A palazzo Chigi non si ha voglia di affrontare un’altra grana che si può quantomeno rinviare.

È vero, la Lega recita la sua parte, ma come abbiamo visto la sua protesta non supera il livello di guardia. E chi ha scelto la strada del “giustizialismo” vecchio stampo di pessimo gusto, come il consigliere Marcora che ha raffigurato il sindaco vestito da ergastolano, è rimasto isolato. Ricordate il giorno in cui qualcuno agitò il cappio in Parlamento? Altri tempi, altri stati d’animo collettivi. Ora tutto si ripete in sedicesimo.

Tanto più che siamo esattamente alla vigilia del voto in Senato sulla riforma della giustizia: con la separazione delle carriere. Provvedimento controverso, come è noto, è tuttavia passaggio significativo della legislatura. Serviranno altre due letture per il testo di revisione costituzionale, ma si capisce che il ministro Nordio e la premier sono convinti di aver segnato un punto importante nel confronto con la sinistra. È qui che si concentra la loro attenzione. Milano stavolta è uno scandalo secondario.

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Mario VianaLa difesa di Sala: «Ho le mani pulite». Il sindaco resta, l'assessore no, Avvenire, 22 luglio 2025

«Ma allora mi chiedo: essendo la magistratura l’unico organo preposto alla comunicazione di questi atti, perché questa informazione è stata divulgata ai media? E chiedo a voi, colleghi politici, se ciò continui a starvi bene. Sta bene a chi governa o ambisce a governare una città o un Paese che indagini riservate diventino pubbliche? Ricordo a chi approfitta, politicamente, di situazioni come quella che la mia amministrazione sta vivendo: oggi a me, domani a te». Così Giuseppe Sala, in Consiglio comunale, a Milano. Il sindaco rispondeva più ai pm dell’inchiesta urbanistica che ai consiglieri comunali, dopo la fuga di notizie sul suo ruolo nell’inchiesta esplosa intorno a un presunto “patto corruttivo” che avrebbe coinvolto amministratori e costruttori sul futuro urbanistico della metropoli. Inchiesta che si è già allargata a macchia d’olio su tutti i nuovi cantieri: dal Pirellino al Villaggio Olimpico, dalle Park Towers di Lambrate e via costruendo. Un’indagine capace di fermare lo sviluppo della metropoli moderna che Sala sta governando da otto anni e colpire trasversalmente la politica. Non è un caso che quasi tutti i partiti abbiano usato i guanti di velluto, in questi giorni, nel commentare il presunto scandalo e che la richiesta più ferma per un cambio di passo dell’amministrazione milanese sia venuta dal partito del sindaco. Il Pd ha chiesto (e ottenuto) la testa dell’assessore indipendente all’Urbanistica Giancarlo Tancredi, che si è dimesso tra le lacrime sue e di altri assessori, e una revisione del progetto di vendere lo stadio Meazza.

È proprio sul garantismo che Sala ha fatto leva per compattare sinistra e destra di governo, che, almeno dall’Expo a oggi, hanno avuto un ruolo decisivo nella trasformazione della capitale economica del Paese. Ma le parole del primo cittadino non sono parse un banale richiamo al diritto, forse perché ricordano altre parole. Queste: «Sono all’ordine del giorno del resto le sistematiche violazioni del segreto istruttorio, ormai praticamente vanificato e inesistente o esistente solo in ragione di criteri discriminatori o criteri arbitrari dettati da interessi ed opportunità di varia natura, ivi comprese quelle politiche». Fu l’ultimo discorso di Bettino Craxi alla Camera dei Deputati, il 29 aprile 1993. Allora, i partiti, compreso quello socialista, reagirono malissimo alla chiamata di correo che lo stesso Craxi aveva pronunciato il 3 luglio. A Milano, salvo rimproverare le piste ciclabili e la politica green che fermerà presto 75mila motocicli, i gruppi consigliari di minoranza hanno chiesto le dimissioni del primo cittadino unicamente «perché non vogliamo che si fermi la città» come ha dichiarato la leghista (ma con un importante passato in Forza Italia) Silvia Sardone. Idem Marco Cagnolati (Fratelli d’Italia): «I dirigenti del Comune hanno paura a firmare qualsiasi documento e sarà così per i prossimi due anni». Ma anche chi ha difeso Sala segue il faro della crescita edilizia: «Milano vuole che le cose si portino a termine» ha detto il pidino Bruno Ceccarelli (con deleghe sull’urbanistica). Evocando il “crollo della bolla immobiliare” che a Milano è come evocare l’uomo nero.

Allora si capisce anche perché Sala non abbia neanche tentato una difesa d’ufficio di Tancredi, il quale ha annunciato le dimissioni pochi minuti dopo qualificandosi come «il capro espiatorio» di questa vicenda e lasciando in eredità un sibillino «sarà interessante vedere tolto di mezzo l’assessore e in assenza di una legge nazionale come cambierà l’urbanistica di Milano…». Sull’ex assessore penderebbe una richiesta d’arresto per aver esercitato pressioni sulla commissione paesaggio, che valuta tecnicamente i progetti, per favorire le imprese di costruzione. Con le dimissioni sparisce il rischio di inquinamento delle prove e potrebbe evitare le manette.

Alle pressioni cresciute intorno a quest’inchiesta che, al momento, non ha le certo dimensioni di Tangentopoli (ma terrorizza le migliaia di famiglie che hanno acquistato casa in uno dei cantieri bloccati e che il decreto Salva Milano avrebbe dovuto “salvare”), il sindaco ha replicato ieri in modo apotropaico: «Ho le mani pulite». Del resto, per il primo cittadino sono giorni di tensione paragonabili a quelli degli anni Novanta: «Sono giorni confusi in cui tutto sembra diventare oscuro, dove le certezze sembrano vacillare e spesso pare che anche le fisionomie più note sembrano confondersi» ha detto ieri, confermando di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia ma di esser già stato “tritato” dalle accuse a mezzo stampa. Tanto dall’aver pensato lui stesso alle dimissioni. Nel merito, ha ribattuto solo su un progetto, quello del Pirellino, dimostrando, numeri alla mano, che il Pgt sotto accusa e quindi la sua giunta, avrebbero imposto all’acquirente di destinare almeno il 40% della superficie abitabile a edilizia residenziale sociale, mentre le scelte della giunta Pisapia avevano impostato la delibera senza pensare ai meno abbienti. Una lungimiranza vanificata però dal Consiglio di Stato, che ha annullato la modifica urbanistica deliberata dalla giunta. Rileggendo questi anni di amministrazione, il sindaco ha rivendicato con forza l’impronta sociale del suo governo. Con un avvertimento per la sinistra che vorrebbe rinviare sine die al vendita dello stadio e bloccare tutti i cantieri: «In questi anni i bilanci li abbiamo fatti assieme. E li abbiamo approvati assieme. Le scelte che abbiamo compiuto sono nel segno di tutte le grandi città nazionali e internazionali governate dai progressisti». E un commento che sembra una sfida: «Non possiamo non essere d’accordo sul fatto che la giustizia e la politica debbano occuparsi di ambiti separati. E per far sì che questa società funzioni bisogna che questa distinzione regga in tutto e per tutto. Nel reciproco rispetto».




Pure se non fosse genocidio

Omer Bartov

Mattia Feltri 
Buongiorno
La colpa indicibile 
La Stampa, 22 luglio 2025

I giornali italiani hanno ampiamente ripreso e commentato un intervento firmato la scorsa settimana sul New York Times da Omer Bartov. È tutta la vita che studio i genocidi e, quando li vedo, li riconosco, ha scritto. Fino a qualche tempo fa, ha scritto, l’ipotesi di genocidio a Gaza non mi convinceva, adesso invece sì. Al contrario, io sono di quelli ancora persuasi che genocidio sia una parola da usare con cura e per Gaza se ne fa un uso grossolano, lo dico per mille motivi qui irrilevanti, e il lungo articolo di Bartov non mi pareva aggiungesse qualcosa di decisivo; ma nessuno può trascurare i titoli accademici che fanno di lui uno dei massimi storici israeliani della Shoah.

Poi, non saremo noi sui giornali a dare una risposta, e nemmeno i tribunali internazionali, da sempre così dipendenti da umori ed equilibri politici, bensì il tempo, quando si guarderà alle cose di oggi senza le squassanti passioni. Sarà una risposta importante ma, per paradosso, oggi lo è molto meno. Cominciano a essere tanti gli israeliani o i membri delle comunità ebraiche che con dolore non escludono una colpa così grave, e in particolare per la storia degli ebrei: dalla nostra Anna Foa a un grande come Benny Morris fino a Jean Hatzfeld. O che dicono genocidio apertamente: da Amos Goldberg a Judith Butler a Avi Shlaim, tutti accademici di rilievo. Davanti all’orrenda carneficina di Gaza, anche al netto della propaganda, l’ultima barriera a difesa della reputazione di Israele sta per essere abbattuta, e da parte di Netanyahu è folle non comprendere che per il suo Paese il genocidio diventa un guaio serio, pure se non fosse genocidio.

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lunedì 21 luglio 2025

L'Italia del Novecento

La Civiltà Cattolica, 4 luglio 2021
Enrico Paventi 

Dopo aver preso in esame con acutezza e meticolosità sia le lettere inviate da Aldo Moro durante i giorni della prigionia sia alcuni scritti di Enrico Berlinguer, lo storico Miguel Gotor ricostruisce e analizza in questo saggio il periodo che va dal 1896 al 2018. Oltre un secolo, dunque, nel corso del quale l’Italia ha subìto radicali trasformazioni, visto migliorare enormemente il tenore di vita dei propri cittadini, percorso la strada di una risoluta e problematica modernizzazione, e scelto di collocarsi tra i più attivi sostenitori del processo di integrazione europea.

Durante il Novecento, il nostro Paese non è però riuscito a sciogliere alcuni «nodi»: questioni rimaste sostanzialmente irrisolte, che – soprattutto durante le fasi contraddistinte dall’insorgere delle crisi globali – contribuiscono tuttora ad aggravarne gli squilibri e le disuguaglianze. Lo studioso fa il punto sul dibattito storiografico degli ultimi decenni, dimostrandosi capace di depurarlo da ogni aspetto legato all’ideologia e alla militanza politica: ci fornisce così una sintesi vivace e stimolante, in grado di indurre il lettore a riflettere sui non pochi problemi aperti che continuano ad affliggere il presente dell’Italia.

Gotor ripercorre le diverse epoche che hanno caratterizzato la storia degli ultimi decenni del nostro Paese, dalla crisi di fine Novecento ai difficili anni del nuovo millennio, durante i quali l’Italia ha fatto registrare una crescita più bassa rispetto ai suoi concorrenti europei, mentre il fattore di instabilità, costituito per un verso dal gigantesco debito pubblico e per l’altro dall’enorme evasione fiscale, è diventato un pericolo sempre più grave. Una situazione in cui il cosiddetto «modello Amazon», fondato sulla frantumazione e precarizzazione del lavoro, sembra celebrare il suo trionfo.

Considerato invece nell’insieme il secolo che abbiamo alle spalle e di fronte a «nodi», quali la marcata arretratezza della struttura produttiva, il persistente squilibrio del differenziale tra Nord e Sud, nonché l’urgente necessità di ampliare la base democratica dello Stato, l’autore osserva come talvolta sia stata accettata la sfida imposta dalla modernizzazione e siano stati quindi affrontati i relativi conflitti nell’ambito di una società aperta, mentre altre volte si sia optato per una svolta autoritaria di carattere autarchico e nazionalista. Per poi concludere che lo scontro potenziale ma sempre incombente tra queste due eventualità – sorrette dagli interessi economici di classi sociali e blocchi di potere ben riconoscibili – ha costituito una delle costanti della vita pubblica nazionale nell’arco dell’intero Novecento.

Va anche sottolineato come l’autore sia riuscito ad analizzare con lodevole distacco e originalità una serie di fenomeni – dalla strategia della tensione alla violenza politica, dallo stragismo al terrorismo interno e internazionale – che si sono manifestati in particolare tra gli anni Sessanta e Ottanta. Egli scrive al riguardo: «La storia della lotta armata in Italia costituisce una ferita ancora aperta con cui la comunità nazionale non ha saputo finora fare i conti, essendo diffusa la consapevolezza che essa abbia inciso e modificato in profondità la nostra democrazia» (p. 391). Difficile non condividere un simile punto di vista.

In conclusione, Gotor ha elaborato una ricostruzione arricchita sia da una prosa limpida e incisiva sia da continui riferimenti a romanzi, liriche, film, testi teatrali, canzoni, dipinti e sculture. Il risultato è costituito da un’opera pregevole che speriamo susciti l’interesse dei lettori e li spinga a confrontare questa sintesi con le altre numerose interpretazioni dello stesso periodo ormai disponibili.

MIGUEL GOTOR
L’Italia nel Novecento. Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon
Torino, Einaudi, 2019, XVIII-572, € 22,00.

Giorgio Napolitano comunista


Giovanni Belardelli, Napolitano, il Pci e il rischio della banalizzazione buonista
Il Foglio, 21 luglio 2025

Preceduto e seguito da vari articoli sulla stampa, a fine giugno un convegno al Senato ha ricordato la figura di Giorgio Napolitano nel centenario della nascita. Si è trattato di un’iniziativa, come è ovvio, quasi obbligata vista l’importanza della sua figura sotto almeno due punti di vista. Fu Napolitano a indicare per primo al suo partito la strada per diventare a tutti gli effetti parte della sinistra europea; quella sinistra europea che Berlinguer non sapeva (ma per la verità neanche voleva) percorrere e che bisognò attendere la caduta dei regimi dell’est perché fosse effettivamente percorsa, abbandonando il termine stesso di “comunista”. Fosse diventato lui segretario del partito, ha osservato Umberto Ranieri sul Riformista, la storia della sinistra italiana sarebbe stata diversa: un’ipotesi indubbiamente suggestiva anche se forse un po’ semplicistica. Ma l’importanza del ruolo svolto da Napolitano nella nostra storia più recente risiede soprattutto nel fatto che con lui, per tutta una serie di ragioni che ha ricordato Sabino Cassese sul Corriere, si precisa e accentua la centralità della Presidenza della Repubblica come architrave del nostro sistema politico-istituzionale. Una centralità che, come è noto, riposa sulla stessa indeterminatezza delle indicazioni che la Costituzione riserva ai poteri presidenziali.
L’occasione del centenario ha visto anche la pubblicazione di una biografia da parte di Gregorio Sorgonà, storico che ha già all’attivo vari lavori su altri esponenti comunisti: Giorgio Napolitano, Salerno editrice. Il libro, che contiene anche cose interessanti, suscita nel lettore più di una perplessità. Mettiamo da parte quella, che pure un fondamento lo avrebbe, di essersi basato per troppe vicende importanti quasi esclusivamente sulla successiva autobiografia di Napolitano ( Dal Pci al socialismo europeo, Laterza 2005) piuttosto che su documenti di prima mano. Assai più discutibile è il fatto che l’autore ometta di citare almeno un paio di testi di rilievo nella biografia del futuro presidente.
Il primo di questi testi riguarda il 1956, l’anno del XX congresso del Pcus ma anche dell’invasione sovietica dell’Ungheria. Si svolse allora, in dicembre, anche L’VIII congresso del Pci. Sorgonà accenna a cosa Napolitano ne avrebbe scritto nel 1986 o, cinquant’anni dopo, nelle memorie e per il resto fa un generico riferimento all’orientamento di tutta quella generazione di giovani dirigenti comunisti, togliattiani e filosovietici. Scrive naturalmente che “lui per primo difende l’Urss senza tentennamenti pubblici”. Ma citare qualche passaggio dell’intervento, che è riprodotto nel volume degli atti del congresso, avrebbe dato un’immagine più efficace di ciò che è stata in quegli anni, anche per Giorgio Napolitano, la fede comunista nell’Urss. Per esempio, laddove affermava che l’intervento sovietico in Ungheria aveva evitato “che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni” e impedito che il paese “cadesse nel caos e nella controrivoluzione”. E fa una certa impressione, quando Napolitano passava a trattare della politica meridionale del partito, il settore del quale si occupava all’epoca, leggere il suo duro attacco al riformismo (i “risorgenti pericoli del settarismo e del riformismo”, “un nuovo pericolo riformista” ecc.), con l’utilizzo polemico di un termine che non a caso ancora molti anni dopo la sua corrente, pur riformista nei fatti, non potrà usare (ripiegando sul termine “migliorista”).
Ma c’è un altro testo che l’autore omette di citare, e si tratta in questo caso di un’omissione più grave perché riguarda colui che per primo offrì un ampio quadro dei perseguitati e dei morti nel Gulag sovietico, Aleksandr Solgenitsyn. Quando lo scrittore russo venne arrestato ed espulso dall’unione Sovietica, fu Napolitano – allora responsabile della Commissione cultura del partito – a scrivere un articolo su di lui, pubblicato sull’Unità del 20 febbraio 1974 e contemporaneamente sul settimanale del Pci Rinascita. Dopo aver polemizzato contro chi aveva sfruttato l’episodio per un “cieco rilancio delle immagini più fosche della propaganda antisovietica”, Napolitano riconosceva che la vicenda era “indubbiamente significativa e preoccupante”. Ma ribadiva anche “l’immensa portata liberatrice della Rivoluzione d’ottobre, lo straordinario bilancio di trasformazioni e di successi del regime socialista”. Proprio l’aver negato questo in modo via via più cieco, proseguiva, aveva “segnato la condanna di un’opera come quella di Solgenitsyn, che pure aveva preso le mosse da una giusta battaglia di rottura col passato staliniano”. Un giudizio che di fatto giustificava l’espulsione dello scrittore.
Non sta a me dire perché l’autore abbia omesso di riprodurre almeno qualche passo dell’intervento di Napolitano al congresso del 1956 e perfino di menzionare il suo articolo del 1974. Posso solo osservare che questo genere di omissioni rischiano di confermare una tendenza alla banalizzazione buonista della storia del comunismo italiano, secondo una lettura che tende a smussarne gli angoli, a anticiparne distinzioni e rotture rispetto al modello sovietico. E’ precisamente quello che è avvenuto negli ultimi anni – attraverso libri, film, mostre – con Enrico Berlinguer ed è auspicabile che non venga replicato con Giorgio Napolitano.

Prigionieri del passato

Donald Trump (79) e Benjamin Netanyahu (75)

Mauro MagattiIl mondo nelle mani dei potenti (ultrasettantenni) prigionieri del passato, Avvenire, 20 luglio 2025

Oggi il potere globale è saldamente nelle mani di ultrasettantenni (maschi) cresciuti all’epoca della Guerra Fredda e del mondo diviso in blocchi: Donald Trump classe 1947, Narendra Modi 1950, Vladimir Putin, 1952, Xi Jinping 1953. E potremmo aggiungere il brasiliano Lula del 1945 e il turco Erdogan, il più “giovane” del gruppo, del 1954. Evaporata l’idea della globalizzazione e della crescita economica lineare – attorno a cui per un trentennio si erano conformate il pensiero e le pratiche delle élites planetarie – ora il pendolo oscilla pericolosamente verso la polarità opposta, con un allineamento all’idea di un mondo diviso e destinato fatalmente al conflitto economico se non alla guerra armata. Sembra così avverarsi la previsione di Zygmunt Bauman che, in una delle sue ultime opere, aveva parlato di “retrotopia”, della tendenza cioè a rifugiarsi in visioni idilliache del passato per sfuggire alle incertezze del presente.

Così, Xi sogna la “grande rinascita della nazione cinese” guardando alle glorie imperiali. Putin vuole “rimettere insieme” i pezzi dell’Unione Sovietica e della Russia zarista, rivendicando territori e identità con la forza. Trump, col suo “make America great again”, scuote il mondo intero con decisioni di cui l’unica razionalità è l’interesse nazionalistico. E Modi persegue una politica identitaria immaginando l’India come potenza regionale. Tutti progetti politici che pescano nel mito del passato, non nel futuro.

Che si tratti di scelte commerciali, politiche ambientali, migrazioni o conflitti armati, la retorica è sempre la stessa: noi contro loro. L’America di Trump contro la Cina, la Russia contro l’Occidente, la Cina contro il “contenimento” statunitense. Non c’è più spazio per la costruzione di beni comuni globali. La politica mondiale è oggi caratterizzata da una potente vena nostalgica. Non ci sono idee nuove, solo varianti dello stesso tema: recuperare, restaurare, ripristinare. Non c’è una visione di come potrebbe essere il mondo domani, solo il desiderio di ritornare a quello di ieri. Le grandi trasformazioni tecnologiche, i cambiamenti climatici, la mutazione delle forme di lavoro e di vita sembrano sfuggire all’agenda dei governi. È come se questi leader – e le élite che li sostengono – non riuscissero a immaginare un mondo che non sia già esistito.

Colpisce altresì, come a questi protagonisti del nostro tempo sfugga la consapevolezza della fine. Essere nell’ultima parte della loro vita non li spinge a moderare la volontà di potenza. A usare la saggezza accumulata nel corso di una vita intera. Al contrario, per non lasciare spazio a ciò che verrà dopo di loro, essi trascinano interi popoli – e generazioni più giovani – nel vortice dell’odio e della guerra. Il loro sguardo fisso al passato alimenta conflitti che nessuno vorrebbe più combattere: guerre territoriali nell’era della crisi climatica, muri nell’epoca della mobilità, armi nucleari nell’era delle emergenze sanitarie globali.

Il problema, allora, non è anagrafico. È generazionale. Fatica a realizzarsi quel ricambio che è necessario per aprire pagine nuove della storia. Invece di accogliere l’idea che ogni generazione ha diritto di reinventare il mondo a modo suo, i leader attuali vogliono imporre la loro idea di mondo fino all’ultimo respiro. Di conseguenza, il cambiamento è lento e doloroso. Con un conflitto intergenerazionale che cova sotto la cenere: molti giovani vedono il loro futuro sequestrato da chi guarda solo indietro.
Non basta la tecnologia a rendere il mondo moderno, se la politica resta prigioniera del passato. Servono idee nuove, all’altezza delle sfide del tempo. Che possono venire solo da chi non è cresciuto dentro le paure della Guerra Fredda o il sogno infranto della globalizzazione.

La retrotopia è una trappola che rischia di costare carissima. Perché la nostalgia è comprensibile, ma non è in grado di disegnare un programma politico in positivo. Per uscire dalle spire di un potere che non sa morire e permettere finalmente alla svolta generazionale di fare il suo corso, occorre prestare ascolto e dare spazio alle sensibilità che affiorano, al di là delle tante contraddizioni, nelle teste e nei cuori delle nuove generazioni. Come avverrà tra qualche giorno a Roma, col Giubileo dei giovani. Non per rottamare, ma per rigenerare. Non per dimenticare il passato, ma per dare vita a una nuova stagione di creatività. Di fronte alla complessità del mondo che abbiamo costruito, non serve camminare con la testa rivolta al passato. Serve camminare in avanti con gli occhi fissi verso l’orizzonte e i piedi ben piantati sulla terra.

domenica 20 luglio 2025

Rousseau e Zulieta a Venezia


Les Confessions, Livre VII

Chiunque siate, voi che volete conoscere un uomo, osate leggere le due o tre pagine che seguono: vi conoscerete a fondo J.-J. Rousseau.
Entrai nella camera di una cortigiana come nel santuario dell'amore e della bellezza; credetti di scorgere la divinità nella sua persona. Non avrei mai creduto che, senza rispetto e senza stima, si potesse provare nulla di simile a quanto ella mi fece sentire. Appena ebbi conosciuto, nelle prime confidenze, il pregio dei suoi incanti e delle sue carezze, per paura di perderne in anticipo il frutto, volli affrettarmi a coglierlo. Di colpo, anziché fiamme che mi divorassero, avvertii un gelo mortale serpeggiare nelle mie vene, le gambe mi tremano, e sul punto di sentirmi male, mi siedo e piango come un bambino.
Chi potrebbe indovinare il motivo delle mie lagrime, e quanto mi passava per la testa in quel momento? Mi dicevo: «Questo oggetto di cui dispongo è il capolavoro della natura e dell'amore; lo spirito, il corpo, tutto vi è perfetto; ella è buona e generosa quanto è amabile e bella. I grandi, i principi, dovrebbero essere suoi schiavi; gli scettri dovrebbero essere ai suoi piedi. Eppure eccola qui, miserabile meretrice, alla mercé di chiunque; il capitano di una nave mercantile ne dispone a suo capriccio; lei corre a gettarsi nelle mie braccia, da me che sa privo di tutto, da me il cui solo merito, che lei non può conoscere, deve essere zero ai suoi occhi. Vi è qualcosa d'inconcepibile. O il mio cuore m'inganna, affascina i miei sensi e mi rende lo zimbello di un'indegna sgualdrina, oppure bisogna che qualche segreta mancanza a me ignota distrugga l'effetto dei suoi incanti e la renda odiosa a chi dovrebbe contendersela.» Mi misi a cercare il difetto con un singolare accanimento, e non mi passò neppure per la mente che un male venereo potesse averne parte. La freschezza delle sue carni, lo splendore dell'incarnato, il candore dei suoi denti, la dolcezza del suo alito, l'aria di nitore soffusa in tutta la sua persona, allontanava così perfettamente da me quel sospetto, che in dubbio ancora sul mio stato dopo la Padoana, mi facevo piuttosto scrupolo di non essere sano abbastanza per lei, e sono convintissimo che in questo la mia fiducia non mi ingannava.
Queste riflessioni, così appropriate, mi agitarono al punto da piangerne. Zulieta, per la quale tutto ciò rappresentava certamente uno spettacolo del tutto nuovo, rimase un momento interdetta. Ma compiuto un giro della stanza e passata dinanzi al suo specchio, ella capì, e i miei occhi le confermarono, che il disgusto non aveva parte in quella crisi. Non le fu difficile guarirmi e cancellare quella piccola vergogna. Ma, nell'istante in cui ero alla soglia dell'estasi su di un seno che sembrava subire per la prima volta la bocca e la mano di un uomo, mi avvedo che una sua mammella è cieca del capezzolo. Mi turbo, guardo meglio, credo di vedere che quella mammella non è uguale all'altra. Eccomi almanaccare nella mia testa come si possa avere una mammella cieca; e persuaso che la cosa si dovesse a qualche rilevante vizio di natura, a forza di girare e rigirare quell'idea, vidi chiaro come il giorno che nella più incantevole persona di cui potessi sognare l'immagine, non tenevo tra le mie braccia che una specie di mostro, il rifiuto della natura, degli uomini e dell'amore. Spinsi la stupidità fino a parlarle di quella mammella monca. Sulle prime prese la cosa sullo scherzo, e nel suo umore pazzerello, disse e fece cose da farmi morire d'amore. Ma serbando un fondo d'inquietudine che non riuscii a nasconderle, la vidi infine arrossire, ricomporsi, alzarsi, e senza una parola rifugiarsi alla finestra. Volli mettermi al suo fianco; lei mi evitò, andò a sedersi su un divano, un momento dopo si alzò, e passeggiando per la stanza e sventagliandosi, con tono freddo e sdegnoso mi disse: «Zanetto, lascia le donne, e studia la matematica.»
Prima di lasciarla, le chiesi un nuovo appuntamento per l'indomani, che lei rimandò al terzo giorno, aggiungendo, con un sorriso ironico, che dovevo aver bisogno di riposo. Trascorsi quel tempo con malessere, il cuore colmo dei suoi incanti e delle sue grazie, avvertendo la mia stravaganza, rimproverandomela, rimpiangendo i momenti così mal vissuti, che sarebbe dipeso solo da me rendere i più dolci della mia vita, attendendo con la più viva impazienza quello di ripararne la perdita, e nondimeno ancora inquieto, malgrado tutto, di conciliare le perfezioni di quell'adorabile fanciulla con l'indegnità del suo stato. Corsi, volai da lei all'ora fissata. Non so se il suo temperamento ardente sarebbe stato più contento di quella visita. Il suo orgoglio almeno sì, e già pregustavo la gioia deliziosa di mostrarle in ogni maniera come sapevo riparare i miei torti. Mi risparmiò tale prova. Il gondoliere che sbarcando inviai da lei mi riferì che era partita il giorno prima per Firenze. Se non avevo sentito tutto il mio amore nel possederla, lo sentii nella sua piena crudeltà perdendola. Il mio insensato rimpianto non mi ha più abbandonato. Per quanto amabile, per quanto incantevole fosse stata ai miei occhi, potevo consolarmi di perderla; ma la cosa di cui, lo confesso, non riuscii mai più a consolarmi è che essa non abbia serbato di me null'altro che un ricordo sprezzante.

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Qui que vous soyez, qui voulez connaître un homme, osez lire les deux ou trois pages suivantes : vous allez connaître à plein Jean-Jacques Rousseau.
J’entrai dans la chambre d’une courtisane comme dans le sanctuaire de l’amour et de la beauté ; j’en crus voir la divinité dans sa personne. Je n’aurais jamais cru que, sans respect et sans estime, on pût rien sentir de pareil à ce qu’elle me fit éprouver. A peine eus-je connu, dans les premières familiarités, le prix de ses charmes et de ses caresses, que, de peur d’en perdre le fruit d’avance, je voulus me hâter de le cueillir. Tout à coup, au lieu des flammes qui me dévoraient, je sens un froid mortel couler dans mes veines ; les jambes me flageolent, et, prêt à me trouver mal, je m’assieds, et je pleure comme un enfant.
Qui pourrait deviner la cause de mes larmes, et ce qui me passait par la tête en ce moment ? Je me disais : Cet objet dont je dispose est le chef-d’œuvre de la nature et de l’amour ; l’esprit, le corps, tout en est parfait ; elle est aussi bonne et généreuse qu’elle est aimable et belle ; les grands, les princes devraient être ses esclaves ; les sceptres devraient être à ses pieds. Cependant la voilà, misérable coureuse, livrée au public ; un capitaine de vaisseau marchand dispose d’elle ; elle vient se jeter à ma tête, à moi qu’elle sait qui n’ai rien, à moi dont le mérite, qu’elle ne peut connaître, est nul à ses yeux. Il y a là quelque chose d’inconcevable. Ou mon cœur me trompe, fascine mes sens et me rend la dupe d’une indigne salope, ou il faut que quelque défaut secret que j’ignore détruise l’effet de ses charmes, et la rende odieuse à ceux qui devraient se la disputer. Je me mis à chercher ce défaut avec une contention d’esprit singulière, et il ne me vint pas même à l’esprit que la v… pût y avoir part. La fraîcheur de ses chairs, l’éclat de son coloris, la blancheur de ses dents, la douceur de son haleine, l’air de propreté répandu sur toute sa personne éloignaient de moi si parfaitement cette idée, qu’en doute encore sur mon état depuis la Padoana, je me faisais plutôt un scrupule de n’être pas assez sain pour elle ; et je suis très persuadé qu’en cela ma confiance ne me trompait pas.
Ces réflexions, si bien placées, m’agitèrent au point d’en pleurer. Zulietta, pour qui cela faisait sûrement un spectacle tout nouveau dans la circonstance, fut un moment interdite ; mais, ayant fait un tour de chambre et passé devant son miroir, elle comprit et mes yeux lui confirmèrent que le dégoût n’avait pas de part à ce rat. Il ne lui fut pas difficile de m’en guérir et d’effacer cette petite honte ; mais au moment que j’étais prêt à me pâmer sur une gorge qui semblait pour la première fois souffrir la bouche et la main d’un homme, je m’aperçus qu’elle avait un téton borgne. Je me frappe, j’examine, je crois voir que ce téton n’est pas conformé comme l’autre. Me voilà cherchant dans ma tête comment on peut avoir un téton borgne ; et, persuadé que cela tenait à quelque notable vice naturel, à force de tourner et retourner cette idée, je vis clair comme le jour que dans la plus charmante personne dont je pusse me former l’image, je ne tenais dans mes bras qu’une espèce de monstre, le rebut de la nature, des hommes et de l’amour. Je poussai la stupidité jusqu’à lui parler de ce téton borgne. Elle prit d’abord la chose en plaisantant, et, dans son humeur folâtre, dit et fit des choses à me faire mourir d’amour ; mais, gardant un fonds d’inquiétude que je ne pus lui cacher, je la vis enfin rougir, se rajuster, se redresser, et, sans dire un seul mot, s’aller mettre à sa fenêtre. Je voulus m’y mettre à côté d’elle ; elle s’en ôta, fut s’asseoir sur un lit de repos, se leva le moment d’après ; et, se promenant par la chambre en s’éventant, me dit d’un ton froid et dédaigneux : Zanetto, lascia le donne, e studia la matematica.
Avant de la quitter, je lui demandai pour le lendemain un autre rendez-vous, qu’elle remit au troisième jour, en ajoutant, avec un sourire ironique, que je devais avoir besoin de repos. Je passai ce temps mal à mon aise, le cœur plein de ses charmes et de ses grâces, sentant mon extravagance, me la reprochant, regrettant les moments si mal employés, qu’il n’avait tenu qu’à moi de rendre les plus doux de ma vie, attendant avec la plus vive impatience celui d’en réparer la perte, et néanmoins inquiet encore, malgré que j’en eusse, de concilier les perfections de cette adorable fille avec l’indignité de son état. Je courus, je volai chez elle à l’heure dite. Je ne sais si son tempérament ardent eût été plus content de cette visite ; son orgueil l’eût été du moins, et je me faisais d’avance une jouissance délicieuse de lui montrer de toutes manières comment je savais réparer mes torts. Elle m’épargna cette épreuve. Le gondolier, qu’en abordant j’envoyai chez elle, me rapporta qu’elle était partie la veille pour Florence. Si je n’avais pas senti tout mon amour en la possédant, je le sentis bien cruellement en la perdant. Mon regret insensé ne m’a point quitté. Tout aimable, toute charmante qu’elle était à mes yeux, je pouvais me consoler de la perdre ; mais de quoi je n’ai pu me consoler, je l’avoue, c’est qu’elle n’ait emporté de moi qu’un souvenir méprisant.

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Palazzo Surian Bellotto 

Rousseau a Venezia

Maria Luisa Colledani, Sesso e spudoratezza attraverso l'Europa
Il Sole 24 ore, 20 luglio 2025

Quanto poco sappiamo del Grand Tour, che non era solo meraviglia e sublime. Lo scopre anche Jean-Jacques Rousseau, che nel 1743 è a Venezia per sostituire (*) l’ambasciatore. Durante un pranzo si avvicina un’imbarcazione e sale sul naviglio una fanciulla deliziosa: «Incolla le sue labbra alle mie e mi stringe fino a soffocarmi, mentre i suoi grandi occhi neri, orientaleggianti, mi trafiggono il cuore con dardi di fuoco». La giovane confessa di averlo scambiato per un ex spasimante e «prese possesso di me come se fossi stato il suo uomo, mi affidava i guanti, il ventaglio, la cintura, la cuffietta e mi ordinava di andare di qua o di là e di fare questo o quello, e io non potevo far altro che obbedire». Donne belle, donne di ventura, donne maliarde da svenire. Rousseau si innamora anche dell’incantevole Zulietta ma il desiderio lo paralizza: «la natura non mi ha fatto per godere. Ha messo nella mia testa balzana il veleno di quella felicità ineffabile di cui ha messo la brama nel mio cuore». Forse troppa sensibilità o forse anche la severa mentalità ginevrina e Zulietta, abituata ad altri incontri focosi, lo congeda con disprezzo: «Zanetto, lascia stare le donne e studia la matematica».

Attilio Brilli, Storie segrete del viaggio in Italia, il Mulino (*) affiancare, in realtà, assumendo la funzione di segretario: si doveva occupare di cifrature, dispacci e attività diplomatiche che l'ambasciatore non gestiva direttamente.