Viviana Mazza, Il "maestro dell'accordo" alla prova dello zar: adulazione, minacce e il rischio di troppi bluff, Corriere della Sera, 15 marzo 2025
NEW YORK Donald Trump ha descritto la geopolitica come una partita a carte. I russi hanno conquistato il 20% dell’Ucraina, quindi «hanno le carte». Zelensky no. «Non sei in una buona posizione, non hai le carte. Con noi cominci ad avere le carte», gli ha detto nel famoso scontro dello Studio Ovale. L’America, ovviamente, dal punto di vista di Trump ha sempre le carte. Se l’America non vince sempre, secondo Trump è a causa della stupidità dei suoi predecessori e del fatto che il mondo si approfitta di lei. Ora però la sua visione e la sua politica estera affrontano il test di Putin.
Negoziando in Ucraina, in Medio Oriente e con la Cina, Trump — che si considera il «maestro dell’accordo» — vuole ottenere vittorie che mostrino che è uno dei più grandi presidenti della Storia americana e gli permettano di concentrare le risorse militari in Asia. Trump sa che trattare con Putin non è come trattare con i leader di Messico o Canada. Ha già ridimensionato i tempi: in campagna elettorale diceva che avrebbe risolto il conflitto in 24 ore, ma a dicembre, prima dell’insediamento alla Casa Bianca, ha suggerito che «sei mesi» sono più realistici. L’obiettivo potrebbe essere un cessate il fuoco nei primi 100 giorni del suo mandato, come ha detto a un certo punto un suo consigliere. Il problema è che Putin non ha la stessa fretta.
Anche se Trump insiste che Putin vuole la pace, forse non gli è sfuggito che sta prendendo tempo. Giovedì scorso, pur dicendosi desideroso di incontrare il presidente russo, Trump ha detto che il conflitto va risolto rapidamente e ha parlato di situazione «difficile» riferendosi ai dettagli dell’accordo finale.
Trump si presenta come un mediatore nell’interesse «dell’America e del mondo»: «Se mi allineo con l’uno o l’altro — ha detto quando gli hanno chiesto se stia con gli ucraini o con i russi — non avremo mai un accordo. Volete che dica cose terribili su Putin, e poi gli dico “Ciao Vladimir, che ne pensi dell’accordo?” Non funziona così». Trump si è anche detto consapevole dell’ossessione del leader russo per l’Ucraina («Era la pupilla dei suoi occhi. Gli dicevo: non farlo») ma non si stanca di ripetere che, se ci fosse stato lui alla Casa Bianca, Putin non l’avrebbe invasa per il «rispetto» che nutre per nei suoi confronti (a differenza di Obama o di Biden) e per il fatto che «ha passato l’inferno con me, una caccia alle streghe» (il Russiagate, l’indagine per collusione con la Russia nel suo primo mandato).
Non c’è dubbio che Trump ammiri la forza, la furbizia e la spudoratezza di Putin, come di altri leader autoritari, anche se fanno i loro interessi nazionali. Quando tratta con gli alleati «comincia parlando duramente, poi entrano i negoziatori, funziona così» ci spiegava di recente la sua ex portavoce alla Casa Bianca Mercedes Schlapp. Con Putin ha alternato l’adulazione e le concessioni alle minacce di sanzioni «devastanti» (ieri lo ha rappresentato come vincitore a Kursk: sa che il leader russo non accetterà mai la tregua se non mostra di aver riconquistato quella regione).
I sostenitori di Trump come Schlapp dicono che sono tattiche negoziali di «due maschi alfa»: «Putin rispetta e ha paura di Trump, che sa come parlargli». I critici temono che in questa partita Putin abbia scoperto il bluff di Trump e che stia solo cercando di manipolarlo. La storica e scrittrice Anne Applebaum dice che Trump vuole «rapporti con la Russia basati su accordi economici e immagina una cerimonia in cui lui Putin e forse Xi Jinping firmano un accordo e si dividono il mondo. E questo coincide con quello che vuole Putin».
La domanda di cui ancora non conosciamo la risposta è quali concessioni è disposto a fare alla fine Trump, pur di ottenere la tregua che ha promesso ai suoi elettori. Nelle conferenze stampa, qua e là il presidente ha ribadito l’appoggio per la Nato, incluso l’articolo 5, e in particolare per la Polonia, ma ha chiarito che l’ucraina non potrà entrare nella Nato e la Russia potrà tenere buona parte dei territori conquistati. Cosa dirà, se Putin chiede le dimissioni di Zelensky o il ritiro delle truppe Nato dall’Europa dell’est? Alcuni consiglieri gli suggeriscono di non abbandonare Kiev, ma la vera ragione non è la paura della Russia, considerata «una potenza in declino», ci dice Alex Gray, suo ex capo dello staff al consiglio di sicurezza nazionale. La ragione è che non vogliono che la Cina o l’Iran si facciano venire brutte idee e temono che, se sarà Pechino a ricostruire l’Ucraina, la trasformerà in una sua colonia.
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