lunedì 3 marzo 2025

Io speriamo che me la cavo

In questa foto che riprende le figure situate al centro Giorgia Meloni non si vede neppure


Nella foto sulla scalinata di Lancaster House, a Londra, Giorgia Meloni è in terza fila. Nella riunione plenaria il suo posto è quasi all’estremità del lato sinistro del ferro di cavallo al cui centro siede Keir Starmer, fra Emmanuel Macron e Volodymir Zelensky  Le foto hanno un loro implacabile messaggio, e l’incontro convocato a Londra, per il quale pure la premier italiana ha ringraziato il primo ministro della Gran Bretagna, aveva un suo cerimoniale che già da solo raccontava i rapporti fra i convocati.

Basterebbe questo per spiegare le richieste, da parte di Meloni, di un prevertice bilaterale con Starmer, e subito prima, di un incontro con il leader ucraino bullizzato da Trump e Vance nello Studio Ovale della West Wing della Casa Bianca. Intendiamoci: è encomiabile che la premier italiana si sia fatta fotografare al fianco dell’ucraino.

Ma poi, sul maltrattamento di Washington, in serata ha dichiarato che sì, era dispiaciuta, ma che «non è utile in questa fase lasciarsi andare alle tifoserie»: un concetto che va in direzione opposta della solidarietà che veniva ispirata dalla photo-opportunity precedente.

In mezzo all’oceano

In queste ore Meloni è protagonista di un iperattivismo inconcludente, frutto di una evidente preoccupazione. Come si colloca la sua Italia nei negoziati fra Usa e Russia per lo stop alla guerra di aggressione contro l’Ucraina, per non dire nella guerra di aggressione degli Usa contro la Ue?

Al momento l’Italia quasi non si colloca: non ha un ruolo. Che la premier taccia, come ha fatto per giorni, o si sbracci, come ha fatto ieri, nella realtà resta alla deriva fra le due sponde dell’Atlantico, mentre da una parte e dall’altra c’è chi rema in direzioni opposte, per il futuro dell’Europa, il vero obiettivo trumpiano.
Domenica ha continuato a remare in mezzo, spiegando quale sarebbe il ruolo dell’Italia in questa fase: «L’Italia può giocare le sue carte, non nel suo interesse, ma nell’interesse di tutti», bene, «quello che posso fare per mantenere l’Occidente unito e rafforzarlo lo farò e gli scenari alternativi non voglio prenderli neanche in considerazione». Quindi non prende in considerazione «il disimpegno Usa» nella Nato e in Ucraina perché nominare «uno scenario che non si auspica non è una cosa intelligentissima». Dunque non parlare delle minacce concrete di Trump, le allontana: questo è il curioso pragmatismo magico della premier.

Nazionalismo al pettine


Per la premier italiana il nodo del nazionalismo ideologico è arrivato al pettine. A dispetto di quello che Fratelli d’Italia dichiara in pubblico, nel partito ormai l’aggressione di Zelensky ha colpito anche i più entusiasti trumpisti. La sbandierata amicizia speciale fra Meloni e Trump si è rivelata un’arma giocattolo. Il presidente Usa le fa i complimenti, tanto per solleticarne la vanità e approfondire la stizza contro i colleghi europei che non la calcolano. Ma in concreto ormai si è capito che l’Italia non può portare a casa nessuna condizione di favore sul trattamento d’urto degli annunciati dazi americani contro il mercato europeo.

Così la premier si muove come una falena tra tanti fuochi, che tutti rischiano di scottarla: fra Usa e Europa, in primis. Ma anche fra Trump e Musk: l’amico geniale è diventato il protettore dei nazionalisti europei, e in questo momento dà una mano Salvini. Da giorni il suo spicciafaccende italiano manda irritanti (per palazzo Chigi) messaggi ai ministri Piantedosi (per scalzarlo dal Viminale) e Urso (perché cauto sul contratto italiano con Starlink): sono post su X, ma suonano come avvertimenti.

Ancora: Meloni è fra i due fuochi dei suoi due vice Matteo Salvini e Antonio Tajani. Da una parte c’è il leghista ormai filotrumpiano e filoputinano senza freni inibitori, dall’altra il forzista in bilico fra le nostalgie di atlantismo e i diktat moderati di casa Berlusconi.

Morale: la strategia del ponte fra Usa e Ue si è rivelata un fallimento. Si è trasformata in un piano B, ovvero fare il pesce in barile. Con il rischio di finire da ultima ruota del carro sia degli Usa che della Ue. Ieri ha provato a darsi un ruolo con una proposta di cui lei non può essere protagonista: è «molto importante che evitiamo il rischio che l’Occidente si divida», ha detto, serve «una riunione tra gli Stati Uniti, stati europei e alleati», «Lavorando con freddezza, non lasciandosi trascinare dalle emotività e ragionando in modo strategico» questo incontro è «a portata di mano, è sicuramente quello per cui l’Italia lavora».

L'Europa in Piazza


Domenica in Italia ci sono state le prime manifestazioni per l’Ucraina e per la Ue. Ed è in preparazione una manifestazione europeista per il prossimo 15 marzo. In sé, nulla di preoccupante per la presidente italiana. Anzi, già il fatto che le opposizioni non sono unite, e che per andare in piazza i leader politici abbiano dovuto utilizzare l'appello di un commentatore di Repubblica, Michele Serra, già la dice lunga sullo stato del centrosinistra italiano.

Ma se queste iniziative dovessero davvero risultare manifestazioni di popolo, di popolo europeista, la premier potrebbe cominciare a soffrire il fatto che il suo pesceinbarilismo non interpreta il sentimento della «nazione» che lei guida, sì, ma senza rotta. O peggio con una rotta atlantica che spaccherebbe l’Europa, come vuole Trump. E ridurrebbe davvero il paese a colonia americana, dopo averlo contestato per cinquant’anni a tutti i governi a cui la destra radicale italiana, da Giorgio Almirante a lei, si è opposta.

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