sabato 1 marzo 2025

Trump il gradasso



Marco Travaglio canta vittoria. Zelensky intanto ha marcato un punto. Gli Stati Uniti avevano fretta, Trump aveva promesso la pace nell'arco di 24 ore dopo la sua investitura. Invece i tempi della trattativa si allungano. Prima o poi, ma a questo punto più poi che prima, Putin troverà il modo per siglare un accordo sull'Ucraina con gli Stati Uniti. A Washington nello studio ovale della Casa bianca il presidente americano ha messo in mostra tutto il suo cinismo e la sua arroganza imperiale. Si può dire che in tal modo ha spianato la strada alla pace? No, non si può dire. In una ottica di lungo periodo, certo, l'Ucraina dovrà venire a più miti consigli, Sul momento, tuttavia, è stato opportuno far sapere agli Stati Uniti e al mondo che la semplice esibizione della forza non basta, quando si tratta di regolare una controversia difficile e complessa. Non ci sono solo gli Stati Uniti e la Federazione russa in campo, con l'Ucraina buttata fuori della porta e l'Europa bellamente ignorata. Ci sarebbe anche la Cina.  Li Haidong, professore alla China Foreign Affairs University, ha per parte sua dichiarato: "c'è ancora molta strada da fare prima di portare sia la Russia che l'Ucraina al tavolo delle trattative. Solo gli Stati Uniti sono ansiosi di raggiungere un accordo di pace e porre fine alla crisi in modo rapido. Si ritiene che questo incidente dimostrerà di fatto all'amministrazione Trump che porre fine alla crisi è più difficile di quanto avesse previsto". Anche l'Europa, contrariamente alle aspettative di Trump, non ha detto l'ultima parola. L'orso ha perso la testa nell'attacco all'alveare e sta scuotendo il rifugio delle api con inusitata violenza. Non sa, o non vuol sapere, che le api mortalmente minacciate raccoglieranno la sfida e gli renderanno la vita difficile. 

Parola di Trump 
Paola Peduzzi, Orgoglio Zelensky, Il Foglio, 1 marzo 2025

... “Non riguarda me questo odio – ha detto Zelensky – lui (Putin) odia gli ucraini, pensa che non siamo una nazione, ha detto a molti europei, forse anche a voi, non lo so, che l’ucraina non è una nazione, che non esiste il nostro paese: non rispetta gli ucraini, ci vuole distruggere tutti”. Poi, dopo uno scambio sulla Nato e gli europei, altri ingrati – lo ha ribadito pure Marco Rubio, il segretario di stato, anche lui seduto in prima fila – è intervenuto Vance, ed è precipitato tutto.
Il vicepresidente americano ha detto che soltanto la diplomazia può salvare l’Ucraina, che l’amministrazione precedente, di Joe Biden, ha voluto trascinare tutti quanti in un conflitto lungo perché si è rifiutato di parlare con Putin, e che ora invece che puntualizzare e insistere, Zelensky avrebbe dovuto ringraziare che c’è Trump. Il presidente ucraino ha insistito di nuovo, ricominciando dall’inizio, dal 2014, dalla prima invasione e dal fatto che per otto anni ogni accordo fatto con la Russia è stato violato. Di fronte ai fatti, detti con semplicità e coerenza, Vance ha detto: “Presidente, credo che sia irrispettoso da parte sua venire qui nello studio ovale e cercare di contestarci davanti ai giornalisti. Dovrebbe al contrario ringraziare il presidente che cerca di far finire questa guerra”. Vieni in Ucraina a vedere cosa è successo, ha risposto Zelensky, “ci sei mai venuto, sei mai stato in Ucraina?” (la risposta è no). Porti le persone al fronte in “tour di propaganda”, ha detto Vance, trasformando in un’unica frase la testimonianza degli orrori russi in propaganda, e discutendo dei tanti problemi che ha l’esercito ucraino, primariamente quello del capitale umano, torcendo ancora una volta la realtà: sono soltanto gli ucraini che muoiono per difenderci tutti.
Zelensky, per nulla sventurato, ha risposto di nuovo: “Durante una guerra, tutti hanno problemi, anche voi, ma siccome avete un bel mare di mezzo non li sentite, ma li sentirete in futuro”. A quel punto è intervenuto Trump: “Tu non lo sai cosa sentiamo, non venirci a dire cosa sentiamo, non sei nella posizione di dettare le regole”. La voce era già più alta, sempre di più: “Non sei in una buona posizione, ti sei messo in una posizione molto brutta, non hai le carte giuste in questo momento. Se ci siamo noi, inizierai ad averle, le carte”. Zelensky ha detto che non si tratta di giocare a carte, “sono molto serio, molto serio”. E di nuovo, l’invettiva di Trump: “Stai giocando con le vite di milioni di persone, stai giocando con la terza guerra mondiale, e quello che stai facendo è molto irrispettoso per questo paese, che ti ha sostenuto” – il presidente americano ha alzato ancora di più la voce.
Poteva finire qui, ma Vance non si è lasciato sfuggire l’occasione di un’imboscata umiliante, e ha chiesto a Zelensky: “Hai detto grazie una volta, una volta, in questa conversazione?”. Ci saranno migliaia di video e comunicati del presidente ucraino che ringrazia l’America, l’ha fatto appena prima di entrare ieri alla Casa Bianca, lo ha fatto anche quando le armi arrivavano con ritardi di mesi che lui misurava, e misura, in numero di morti. “Il tuo paese è in grande difficoltà – ha detto Trump – il tuo paese è in grande difficoltà, non state vincendo”, e ha rinfacciato i soldi dati dall’America, il fatto che senza l’aiuto americano la guerra sarebbe stata perduta dall’Ucraina in “quindici giorni”, “tre giorni come dice Putin”, ha ribattuto Zelensky, “anche meno”, ha risposto Trump. Da quel momento in poi è stato tutto irreparabile, Trump e Vance hanno accusato il presidente ucraino di essere ingrato, non gli hanno più permesso di parlare, e il presidente americano ha iniziato a ciarlare dell’inettitudine dei suoi predecessori democratici (e di Hillary Clinton), “Obama non ti ha dato un cazzo e io ti ho dato i javelin”, e poi tutti gli argomenti della propaganda trumpiana, il figlio di Biden Hunter, il suo laptop, i russi accusati ingiustamente di ingerenze. E poi ancora rivolto a Zelensky: “Ti ho rafforzato, ho fatto in modo che tu fossi un duro, ma senza gli Stati Uniti non saresti un duro”, e l’ultimatum: “O firmi o sei fuori”.
L’incontro è finito, Trump offeso ha rilasciato un comunicato sull’ingratitudine di Zelensky, sull’aver compreso la sua vera natura, sul fatto che non vuole la pace. Zelensky ha lasciato la Casa Bianca, nello choc generale: tutto l’Occidente, senza Trump, ha dato la sua solidarietà a questo leader coraggioso e fiero, che soltanto gli amici di Putin possono considerare umiliato.

Parola di Travaglio 
Voleva essere un duro, Il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2025

A Zelensky era già accaduto di beccarsi le lavate di capo di un presidente Usa: era Biden che lo cazziava ora per la pretesa di miliardi e armi a getto continuo senza mai ringraziare, anzi rimproverando l’alleato di fare sempre troppo poco; ora per le bugie sul missile ucraino caduto in Polonia e spacciato per russo per trascinare gli Usa e il mondo nella terza guerra mondiale. Ma una scena come il match Trump-zelensky nello studio ovale a favore di telecamere è un unicum nella storia, figlio dell’èra Donald che sconvolge non solo la sostanza, ma anche le forme della diplomazia mondiale. Zelensky era stato avvertito: o vieni e firmi l’accordo sulle terre rare, prologo della tregua, o stai a casa. Lui è andato senza firmare nulla. Ha anteposto la sua immagine agli interessi del suo Paese, sfidando Trump perché gli ucraini intendessero. Voleva essere un duro, o almeno sembrarlo agli occhi del popolo che lo ama sempre meno, ricordando di essere il leader coraggioso che tre anni fa rifiutò un comodo esilio e restò a Kiev (anche perché Putin gli aveva garantito l’incolumità via Bennett). Forse s’è rafforzato con i nazionalisti che non vogliono sentir parlare di pace e compromessi. Ma non certo con la maggioranza non ideologizzata degli ucraini che non vede l’ora di chiudere la guerra e ci penserà bene prima di rivotare un nemico degli Usa chiamato “stupido” da Trump e cacciato dalla Casa Bianca.

Così Zelensky ha, se possibile, ancor più indebolito il suo Paese, sconfitto in guerra, spopolato da morti, profughi, disertori e renitenti alla leva, economicamente fallito e ora anche platealmente scaricato dal primo alleato. Che, se non è diventato nemico, poco ci manca. Trump gli ha sbattuto in faccia le verità scomode che tutti conoscono benissimo, ma che lui si era illuso (perché era stato illuso da Biden e continua a essere illuso dall’Ue) di poter continuare a ignorare all’infinito: Ucraina e Nato hanno perso la guerra; Kiev senza gli Usa non si regge in piedi e ora che dice di no agli Usa non ha più carte in mano; Trump non si pone nel negoziato come alleato di Kiev, ma come “arbitro” fra Ucraina e Russia, neppur troppo equidistante visti i rapporti di forza. E ora, giocandosi il rapporto con gli Usa, Zelensky si è conficcato in un vicolo cieco: o torna alla Casa Bianca, anzi a Canossa, col capo cosparso di cenere, sottoponendosi a forche caudine ancor più umilianti di quelle subìte finora e firmando qualsiasi cosa Trump gli metta sotto il naso; oppure resta solo, in balia delle truppe russe che avanzano e senza più aiuti dagli Usa, mentre Trump si accorderà con Putin. La classica alternativa del diavolo: o un disastro o un disastro. Dopo aver perso la guerra, Zelensky rischia di aver perso anche la pace.

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