lunedì 18 febbraio 2019

Pensieri impertinenti di un sociologo



Dario Rei




















non ho una soluzione per nulla ma un capro espiatorio per tutto
Un vero peccato che non ci siano più i tempi a cui ti piace riferirti. Con i toni che manifesti saresti incorso in un sacco di meritate nerbate
Non è un giornalista al massimo uno scrittore
elemosinare per strada e portare a casa 100 euro al giorno rientra tra i lavori che gli italiani non vogliono fare più
Bambini. A Mosca li mangiavano a Lodi non li fanno mangiare
mai degradarsi a lottare con un maiale. Vi sporcate tutti e due, ma lui ci prende gusto
cambiamento: al posto del capro espiatorio mettere il capo espiatorio
sono seduti in posti più importanti di loro
preferisco i mascalzoni agli imbecilli I primi ogni tanto si prendono una pausa
quattro tipi di italiani. Quelli che pagano le tasse quelli che non le pagano aspettando il condono quelli che aspettano i soldi col reddito pagato da quelli che pagano le tasse, quelli che, mentre tengono i soldi a Londra, fanno le leggi fiscali per gli altri tre
credevamo di aver toccato il fondo ma adesso cominciamo a scavare
Adesso fai finta di non capire, ma in genere non ne hai alcun bisogno
chi semina vento raccoglie consenso
il populismo abbatterà ogni differenza, tranne quella fra chi ha il potere e chi no
sì, però i campi di sterminio erano tutti a norma di legge
Auspico ogni cambiamento : sociale, penale, nazionale, tribale, digitale, criminale; proverei persino, una volta almeno, con quello razionale a dire che non ci sono alternative spesso sono quelli che si presentavano come l’alternativa in certe valli remote
il soggiorno campestre è sadomaso
vola talmente alto che è sparito dalla vista
la verità non esiste più. Da quanto tempo?
Sarebbe il tempo dei giusti, temo sia solo l’ora dei giustizieri
Non mi interessa sentirmi una persona intelligente, sentendo parlare degli stupidi. Preferirei sentirmi stupido sentendo parlare una persona eccelsa
La volgarità non si può improvvisare. Volgari si nasce
l’unica speranza è che una nazione civile ci invada
non ho mai confuso ruolo politico e affari, per me erano la stessa cosa
Mentre si apre la caccia ai gufi diamo corso al ripopolamento dei pappagalli.
Morì battendosi eroicamente per una causa che non era la sua.
a me non mi influenza nessuno, neanche me stesso
più nani ci sono in giro più chi non si crede nano giganteggia
Siamo pronti a discutere con tutti, ma non accettiamo voti, pardon veti
Narciso che dà del narcisista alla sua immagine riflessa.Da quale specchio…
cambiava le opinioni più spesso che la camicia, ma solo per motivi igienici
quell'individuo piacerebbe a Heisenberg: se non lo guardi non succede nulla
sì al voto di coscienza, purché la si possa nascondere
Sono arrivato qui per caso. Un buontempone ha cambiato il verso della segnaletica del senso unico. E’ un accordo di do, musica politica : do ut des
il sud sta così male che emigrano persino le mafie
bisogna sempre leggere le carte almeno due volte, una volta al dritto e l’altra al rovescio.
è un uomo che vive a sua insaputa
virilità della cultura del ventennio: il giurista rettore d’Università Azzo Azzi
L’anticonformismo serve agli Apoti soprattutto per darla a bere agli altri
nella fogna si stava meglio che nella cloaca, almeno l’acqua scorreva
Ha sulla coscienza, si fa per dire, molti crimini
Bisogna essere diversamente onesti
devi fare un bagno di umiltà, deve essere un bagno molto lungo
L’ideale è un partito senza popolo che domina un popolo senza partito
non sottoporre degli argomenti, potresti irritare i fedeli
l’ascesa di personaggi che nella vita pratica non saprebbero gestire un banchetto di frutta e verdura è la loro capacità ferina di cogliere le umane debolezze altrui, per torcerle a proprio vantaggio. “Allegria”. Il sistema Mike amare il “pensiero negativo”, ma dire sempre di sì, questo è il segreto. L’ironia che non si vende si paga
Il potere è quando hai smesso di cercare e vuoi solo approfittare
imprenditori di successo vogliono farci credere di essere nati in una stalla, in genere non è così
Quando il sole arriva al tramonto, anche i nani proiettano ombre da giganti
la mangiatoia del nuovo presepe sarà in un superattico con vista su San Pietro
Con tutti i soldi che guadagni potresti almeno comprarti un cervello che funziona
Sto da solo - nel sorvolo - e dall'alto - tutti asfalto - vo contento- contro vento - nell'azzardo- son testardo.- mi avvicino - da Schettino - allo scoglio - con orgoglio.- cambiar rotta- non si può - fino in fondo- me ne andrò. - rischio assai- d’andare out?- è il destino- di noi scout.
dovremmo proibire anche l'Inno di Mameli, offre una visione unilaterale del Risorgimento
i piromani sociali appiccano gli incendi in casa d’altri
ci vorrebbe un’altra campagna di Russia, le idee col freddo si schiariscono
Una volta il sonno della ragione generava mostri, oramai produce solo imbecilli. Vera decadenza.
chi nega che ci possa essere il paradiso in terra è qualcuno che in genere in terra non vive nell'inferno Ci sono mestieri scomparsi per esaurimento e altri per inflazione. Le lavandaie fanno parte della prima categoria , i giullari della seconda. (Luigi Pintor)
Quando dico che un’ opinione è perfettamente legittima e condivisibile, sto solo cercando argomenti per non prenderla in considerazione
ci sono paesi in ogni parte del mondo dove gli elettori scelgono i peggiori, e altri dove i peggiori vanno al governo anche senza che nessuno li abbia mai scelti
Regola della comunicazione aggressiva: dirottare sempre l'attenzione dalla luna al dito che la indica. la differenza fra fare gli stronzi e fare gli struzzi forse non c’è
Discutere con una persona che ha rinunciato all'uso della ragione è come somministrare una medicina ad un morto (Thomas Paine).
Tutti a chiedere onestà purché non a carico nostro.
genio è avere tante cose da dire e trovare poche parole per dirle
Attacca il ragionatore quando hai difficoltà ad attaccare il ragionamento.
C’è chi adopera il rasoio di Occam e chi un bilama usa e getta
bisognerebbe avere un po’ di discrezione, chiedere l’onestà è effettivamente una esagerazione
avete voluto la bicicletta con due ruote sgonfie, adesso pedalate
chi demolisce la vita degli altri si guardi bene dall'esibire la propria
davanti a certi gangster di talento provo una forma di ambigua ammirazione
i ricchi vanno anche odiati con rispetto, per i poveri non è necessario
Nell'Europa di oggi Enea sarebbe arrivato oltre Troia?
è un giovane di speranze così’ belle che le sta facendo perdere a tanti altri
I politici italiani si dividono fra quelli che non hanno servito messa e quelli che l’ hanno servita, per questi ultimi dipende se lo facevano dai salesiani o dai gesuiti
Specializzarsi nella sottile arte dei complimenti ambigui può riservare enormi soddisfazioni.
prima ero cattolico poi cattolico di sinistra poi solo di sinistra adesso che la sinistra è scomparsa, ritornerò cattolico?
Creatività è trovare una via di uscita nell'affollamento che ci occupa la mente


domenica 17 febbraio 2019

Autunno in Agropoli













 Possiamo dare inizio al racconto partendo da una piccola ondata di arresti che colpì a Torino diversi antifascisti: il 15 maggio 1935 la polizia fermò Vittorio Foa, Cesare Pavese, Franco Antonicelli, Carlo Levi, Massimo Mila, Tina Pizzardo e altri ancora. L'operazione mirava a smantellare la rete clandestina del movimento antifascista "Giustizia e Libertà". Franco Antonicelli venne preso in quanto frequentava il gruppo che aveva dato vita alla rivista La Cultura, pubblicata dall'editore Einaudi: gruppo in gran parte formato proprio da esponenti di Giustizia e Libertà. Fu condannato a tre anni di confino, poi ridotti a uno, che scontò ad Agropoli dal marzo 1935 al marzo 1936. 


Franco Antonicelli, Autunno in Agropoli, tratto da Id., Il soldato di Lambessa, ERI, 1956, pp. 11-17.
Molti anni fa, prima della seconda guerra mondiale, un'occasione mi portò nell'Italia del Sud, giù dopo Salerno, e dopo la bellissima Paestum, e dove comincia il Cilento. L'occasione fu la stessa che in quei giorni condusse i miei amici Carlo Levi e Cesare Pavese press'a poco nei medesimi luoghi, al di là della famosa terra invalicata da Cristo. In quel lontano paese, mai sentito nominare prima, ci andai dunque per obbligo; ci fui mandato quasi come in una prigione, e vi godetti invece, lo dico con gratitudine, tutta la libertà che si può godere al mondo. Arrivai con una grossa valigia e fui ricevuto dal segretario comunale e dal vecchio podestà [Saverio Granito] che mi guardarono sospirando con diffidenza: come fossi in uno Stato Straniero mi consegnarono un passaporto di color rosso. Forse Levi e Pavese lo restituirono come era prescritto; io invece riuscii a portarmelo via e lo serbo ancora per ricordo. Però i miei due amici portarono via qualcosa di meglio per sé e per gli altri, cioè i due libri che scrissero, l'uno il celebre Cristo si è fermato a Eboli e l'altro il meno noto ma bellissimo racconto Il carcereQuando lessi i due libri, io ebbi un rimescolio dentro: non era lo stesso paese, eppure riconoscevo le medesime persone, il paesaggio di selvatica bellezza, il tempo remoto e pressoché immobile della sua storia, le usanze quasi rituali, la psicologia semplice e astuta, dolce e superstiziosa, da primitivi, il senso fatalistico della vita, la pazienza e la pena, e il bisogno di generosità e di affetto e l'appassionata e inappagata aspirazione alla civiltà, e tutte quelle altre cose e apparenze che, comunque se ne parli e giudichi, fanno ancora estranei metà degli italiani all'altra metà. Bello, ho detto, il paese, sfarinato e decrepito per antichità, metà sulla spiaggia, metà in alto su una acropoli cui si accedeva per una scalinata e un arco ducale: il mare di Pesto lo circondava di silenzio vuoto e di seta celeste. Ma anche là (come nei luoghi di Levi e di Pavese) la gente mi diceva, sparlando tristemente della guerra d'Abissinia in corso: "Dotto', è questa l'Africa! Nui tenimmo 'a coda". La coda, come scimmie, bestie selvagge. Non uomini. Cristo non era giunto nemmeno là. Era infatti un paese povero anche quello, dove gli uomini guadagnavano - nel '35 - sì e no tre lire al giorno, le donne si sfiancavano a raccogliere olive per un poco d'olio in compenso e i bambini a dieci, dodici anni, ripetevano la prima elementare perché, denutriti, non afferravano nulla. La tubercolosi era un po' il male di tutti, il male di chi non ha da mangiare. Filosofi, o poeti, anche, un po' tutti; se chiedevi: "che state facendo?", uno, in ozio e affamato sul mezzogiorno, ti rispondeva: "mangio il sole". Ma non sto a ragionarci sopra di più: penso soltanto, con un rammarico che mi brucia, mi umilia ancora, di non aver ricavato nulla da quella mia esperienza, nulla, dico, di scritto, nulla da quei libretti di appunti dove raccoglievo impressioni, disegni, parole e canti. Eppure passa il tempo, molto tempo, e nella mia vita avverto quel riferimento, quel punto fermo: io mi muovo e quel punto è là. E' tutto quello che mi resta di allora. C'è dunque un nome nella mia vita, una memoria breve o lunga secondo la nostalgia del momento, un nome e una stagione che vorrei portarmi dietro fino all'ultimo giorno, e questo desidero tanto che già penso dipinta la mia tomba come quelle etrusche, con tutti i volti i segni e i titoli delle cose che vi ho godute. Questo nome è Agropoli, quel tempo è l'autunno. Tutto ciò naturalmente è falso e vero insieme e io non so che cosa resista di più preciso. 
Quando dico Agropoli vedo anzitutto quella groppa di delfino che si incurva sul mare e io la contemplo appoggiato a un tronco di fico che il vento ha fatto ormai liscio e cenerino. E vedo tutte le parti del paese, di sopra e di sotto, alla spiaggia e alla collina, e il sorecino e il salacaro, con le quattro paranze, e la Marina, e la piccola grotta di Trentove e l'arida foce del Téstene.
E quando dico autunno laggiù penso agli aquiloni di cui giorno per giorno segnavo il colore, la gara e il molle giro nell'aria. E tutto è diventato autunno, come tutto, al chiudersi della vita, l'ultimissimo giorno assumerà una forma sola, prescelta fra ogni altra con l'incarico mestissimo di dirci addio. E' diventato autunno anche l'estate che vi giunsi, l'inverno che vi trascorsi e quell'inizio di primavera che me ne andai.
L'estate, quando i ragazzini nudi si rotolano sul lido nell'odore rinsecchito delle alghe, i porci, fulminati dal sole, dormono soffiando sconciamente, e sopra, sull'alta rupe, il capo fra le nuvole ampie, passa come un patriarca il contadino col suo bastone ricurvo, "l'angino", e una donna con una cesta sul capo e la capra alla corda, sola animazione di una solitudine primitiva e di una vastità superstiziosa, e l'odore dei fichi impregnati di sole, distesi su cesti ovali e piatti come antichi scudi, ribolle dappertutto: anche questo è autunno, specialmente la sera, così precipitosa, così fuggevole, che il mare si rivoltola con un fievole respiro di vento e nella luce cerula che si alza dall'acqua si vedono le ombre degli uomini che vanno a riempire i secchi per lavare le barche, mentre dalla parte della campagna gli olivi sono in pace, le quercie annerite, la terra manda nel silenzio l'olezzo di un fiato ancora caldo e le canne sventolano al totem della luna che viene a visitare le sue offerte. 
Ma è autunno, perché la memoria è come un'anima solitaria che indugia a vivere e allora è così malinconica. E forse anche per il fatto che inaspettatamente uno di quei mattini ancora estivi e bianchissimi comincia uno strepitoso lamento e di stradina in stradina, dal promontorio alla spiaggia e ai campi squillano le zampogne, già adesso in giro per la questua del Natale. Don Antonio Caruccio, Vincenzino Tafuri, Fefele Caròla, Beppe 'u luongo, la guardia Michelangelo, Don Ignazio Volpe con i suoi grandi denti d'oro e la catenona d'oro sul panciotto da cacciatore, tutti vengono fuori: i bambini scattan via dalla scuola, il parroco della Madonna di Costantinopoli [la chiesa in cima alla rupe, poco oltre la porta ducale, salendo, guarda verso il mare; sulla sua minuscola facciata figura la scritta Ave maris stella] scende anche lui con bella grazia. E' nato lu patrone ri lo munno - gli angeli ri lu cielo festa fannoAutunno è la primavera che è precoce e stagione piena di incertezza, allora che io scopersi per la prima volta con meraviglia la pelle sbucciata di una serpe sospesa fra i biancospini, delicata come una bava, lieve come un soffio, e presagio di non so quali, tenere, misteriose, metamorfosi. Ma autunno è in particolare l'inverno, l'inverno che non conosce la sorpresa della neve (un anno che nevicò per modo di dire tutto il paese fece vacanza fin quando non scomparve, da un'alba all'altra, ogni traccia), l'inverno che si ammucchia fra le nuvole e il sole, il grecale e lo scirocco, così che nessuno se ne accorge, se non fosse che la lontana isola di Capri, tartaruga in profilo, s'attuffa più presto al tramonto. E io sono stato quel pomeriggio alla foce del Téstene a guardare le ragazze che prendono ala riva del mare l'arenile e lo rovesciano sul fianco della strada. Tutte ragazze giovanissime, bei visi in forti ombre. Prendono e vanno, avanti e indietro. - Masto Cosimo, sei sette, otto! - gridano al guardiano il numero dei loro trasporti. Mastro Cosimo ha i sassolini minuti in varie tasche e tiene il conto. Se una si ferma, si fermano tante altre: fanno beffe e vezzi al guardiano. - Cammenate! - dice lui. Passano sulla strada carri dalle alte ruote rosse, decorati di un bastone a spine ricurve, per attaccarvi tante cose. Ma già il mare è d'un celeste fosco, e lo sfiora un lume come d'alba. Allora io salgo ad Agropoli alta, perché il vento mi porta il suono di una fisarmonica e i preludi delle canzoni "cilentane". Ecco dalla scala che dà al Sorecino viene giù con una lanterna Nicola detto "u' barone"; passa l'antica porta ducale, scende la lunga rotta scalinata, si perde giù nel buio. Anche il mare s'abbuia. Il cielo nero con le stelle,le poche luci tremanti per l'aria, e laggiù nelle montagne del Cilento ingolfate nella silenziosa oscurità le scarse luci dei paesi. Dalla scala del Sorecino si vede dentro una stanza, dove al lume d'una lampada ad olio stanno riuniti alcuni uomini su panchette intorno a una tavola.  E si slarga, si profonde il suono della fisarmonica, interminabile e gradevole, che mescola i canti di Natale e le lunghe ottave cilentane. La fussi vista, la fussi veruta - int'a nu bosco la mia pastorella - sono tre mesi ca l'aggio perduta - povera bimba [nenna] mia quant'era bella. Al caffè di sotto anche ci sono altri vecchi che sanno canzoni, il "cunto" della bella Giuditta, la storia di Fioravante e Rizieri, la storia di Petrusenella: Ignazio Volpe che sa le cilentane politiche del tempo dei Borboni, e un altro che ha ottant'anni e fa il forgiaro [fabbro], e prima il suo mestiere era d'essere chiamato qua e là nei paesi a suonare il violino. Lo tiene ancora appeso sopra il letto e quando non gli viene sonno lo prende e lo suona. Mezzo cieco, e ubriaco quando può esserlo, va ancora alle feste e guida le quadriglie con i suoi curiosi comandi: "panza a panza!",  "culo a culo!", per dire "ballate di fronte e di spalla". Allora le donne di Agropoli così belle e seducenti (insinua una maliziosa cronaca secentesca che "per la mollitie dell'aere" le ragazze non eran più tali a sedici anni). coi loro forti e sbracciati contadini e pescatori irrompono impetuose nella danza al canto stridulo delle cilentane, un'ottava intrecciata con l'altra dai gruppi dei cantatori, eccitate dal gridìo, dalla frenesia delle risa, dall'incessante fremito delle chitarre, dal cupo vino che passa di bicchiere in bicchiere. E a un certo momento, a mezzanotte o più in là, attraversa la nebbia leggera un sordo suono, soffocato dalla lontananza: è la "tofa", la bùccina del trappetaro che chiama le donne al trappeto - al frantoio - per la torchiatura delle olive. Allora le donne si alzano di botto, corrono a cercare le loro asine, montano il loro carico di olive e - "iàah iàah!" - gridando alle cavalcature si perdono nel buio verso la collina.E autunno e Agropoli è ancora il mattino quando, le gambe nude nel biancore dell'alba, il ventre sporgente, la testa rigida sotto il peso delle anfore, le agropolitane traversano la piazzetta della Marina con le sue ombrelle di acacie, deserta, vanno alla fontana - oh, perché mi hanno detto che non c'è più? - cantano e rissano, e poi lente, come in sonno, salgono e scendono, e scendono e salgono - l'antica scalinata.  


giovedì 14 febbraio 2019

Grazie Dibba





Claudio Cerasa, Elogio di Dibba, Il Foglio, 14 febbraio 2019

Embè, gli applausi? La trasformazione del Movimento 5 stelle in un pessimo arrosticino cotto a fuoco lento dalle fiamme della realtà è tutta lì, nella meravigliosa scena andata in onda martedì sera su La7 di fronte a Giovanni Floris, dove il politico più abbronzato d’Italia, Alessandro Di Battista, si è rivolto al pubblico di “DiMartedì” rimproverandolo di non essere stato sufficientemente generoso nei suoi confronti: embè, gli applausi? Dall’alto della sua profonda conoscenza in campo economico e della sua formativa esperienza manageriale nell'impresa del padre [...] il subcomandante Dibba era lì a chiedere a Floris di non mettere troppa fretta al Movimento 5 stelle e "di dare il tempo a un governo che fa una misura di capire se quella misura funziona o meno". Dibba, con la stessa intensità con cui arringò la folla in Parlamento contro ilpresidente Macron che a differenza di Napoleone "non ha mai combattuto sui campi di Auschwitz", una volta affermata la sua verità sceglie di lanciare uno sguardo severo verso un pubblico rimasto immobile, congelato, indifferente di fronte alla sua affermazione. La scena l'avrete vista tutti: "Che fate, non applaudite nessuno? Si può, eh, lo potete fare. Non vi hanno dato queste?", dice Dibba indicando le prpoprie mani. [...] A suo modo [...] ha messo in luce un manifesto assoluto dell'impotenza grillina e solo per questo bisognerebbe ringraziarlo. Ma in realtà Dibba andrebbe ringraziato anche per molto altro e in verità la discesa in campo del gemello diverso di Luigi Di Maio meriterebbe di essere persino elogiata. Il Dibba in campo, il Dibba pugnace, il Dibba che torna sulla scena sparando fesserie sulla Tav, su Bankitalia, sulle grandi opere, sull'Alta velocità, sull'Europa, sul franco Cfa, sul Venezuela, su Macron al contario di quello che si potrebbe credere, non è "l'altro volto" del Movimento 5 stelle, quello meno moderato, ma è al contrario il volto che più di qualunque altro rappresenta l'essenza pura del grillismo, la sua vocazione a sposare i lemmi della decrescita infelice, la sua tendenza a giocare con l'eversione, la sua predisposizione ad aggredire i valori non negoziabili di una democrazia rappresentativa, la sua tendenza a promuovere burattini in Parlamento, la sua sostanziale incompatibilità con il governo della settima potenza industriale del pianeta. [...] Grazie Dibba, gli applausi magari un'altra volta.

lunedì 11 febbraio 2019

Di Maio, la freddezza delle pasionarie

Ingrid Levavasseur
Jacline Mouraud
Danilo Ceccarelli
Ad insorgere contro la visita di Di Maio in Francia è stata anche la rappresentante di lista dei gilet gialli che si candideranno alle europee, Ingrid Levavasseur, che all'indomani dell'incontro si è detta "sbalordita", spiegando di non essere stata informata dell'iniziativa. "Sapevo che c'erano contatti, ma avevo risposto che noi non incontriamo nessuno", ha dichiarato Levavasseur a Le Monde, sottolineando che Chalençon "si è voluto mettere in mostra con gli italiani". Un'ulteriore dimostrazione delle tante fratture interne che minano una realtà disorganizzata e impreparata. Tuttavia, l'infermiera 31enne originaria della Normandia ha lasciato uno spiraglio aperto dicendosi disponibile al dialogo con il Movimento 5 Stelle.
Più categorica è stata invece Jacline Mouraud, volto noto della protesta e fondatrice del movimento Les Emergents, cha ha bollato la visita del ministro italiano in Francia definendola una "grave" intromissione. "Dopo questa telenovela ho solo voglia di dire una cosa: ma occupatevi di casa vostra. Non si fa politica con le ingerenze in altri paesi, non abbiamo bisogno di forze straniere in casa nostra", ha detto Mouraud all'ANSA. Tra le primissime ad indossare un gilet giallo in Bretagna, questa 51enne con la passione per la fisarmonica e una spiccata inclinazione per alcune teorie complottiste si è fatta conoscere sui social network grazie a una serie di video registrati all'interno del suo Suv. La pasionaria dei gilet gialli rappresenta l'ala più moderata del movimento, che nei mesi scorsi ha cercato di allacciare un dialogo con le istituzioni.
Il Movimento 5 Stelle non riesce quindi a fare breccia nell'animo dei gilet gialli, che rimangono diffidenti nei confronti di un partito che come loro è nato da un impulso popolare ma che oggi siede dall'altro lato della barricata. Una brutta tegola per Di Maio, che dopo aver aperto una crisi diplomatica con la Francia riceve il benservito da quello che sperava potesse diventare il suo futuro alleato in Europa.

https://www.huffingtonpost.it/2019/02/08/i-gilet-gialli-sbattono-la-porta-in-faccia-a-di-maio-respinta-al-mittente-la-proposta-di-alleanza_a_23665095/

domenica 10 febbraio 2019

Soltanto una élite rinnovata











Oggi in America, domani in Italia 


Sofia Ventura

Una élite che scende a patti con l’assenza di una cultura liberale, con la spregiudicatezza di un potere che si alimenta del conflitto permanente, con la noncuranza verso i diritti delle persone, è solo un ceto che tenta di sopravvivere. Se una via di uscita esiste, può essere cercata soltanto da una élite rinnovata che piuttosto che inseguire ritrovi quel senso di responsabilità verso la società la cui perdita ha aperto la strada ai barbari di casa nostra.

venerdì 1 febbraio 2019

Con le spalle al muro




Francesco Bei, Se il voto diventa più vicino, La Stampa, 1 febbraio 2019

Che la recessione in cui è finita l’Italia sia colpa dei governi precedenti, come sostiene Di Maio, o sia causata da una mediocre politica economica e dalle troppe parole in libertà dell’attuale maggioranza è un dibattito interessante che rischia di essere superato. Il dato da cui partire è un altro. Fino a pochi giorni fa il capo dei Cinque Stelle affermava che l’Italia sarebbe stata addirittura alla vigilia di un nuovo boom, il presidente del Consiglio pronosticava una crescita 2019 tra l’1,2 e l’1,5 per cento, oggi il governo si sveglia da questo sogno e si trova davanti un paziente in stato comatoso.
Oxford Economics e Banca Intesa stimano una crescita 2019 «vicina allo zero», altri centri studi dicono che sarà persino peggio, con un meno 0,2%. I più ottimisti - Prometeia e Unicredit - non si spingono oltre uno stentato 0,5%. E’ chiaro che il Def appena negoziato con l’Ue è già stato travolto dalla cruda realtà, le previsioni del governo sono scritte sull’acqua. In questa situazione l’idea di una manovra correttiva che eviti una procedura d’infrazione è molto più che un’ipotesi e sembra che ieri mattina sia stato proprio questo l’oggetto di un vertice mattutino di governo tra Conte, Di Maio e Salvini.
Ma se tutto questo è vero, il destino della legislatura è già segnato.
Perché appare evidente che, in una situazione di rallentamento economico così pesante, per Salvini andare ancora avanti sarebbe una scelta suicida. Se quest’anno occorrerà una manovra bis per rientrare nei parametri negoziati insieme alla Commissione, l’anno prossimo la legge di Bilancio dovrà essere scritta partendo da un numerino terribile: 23 miliardi di aumento dell’Iva da disinnescare con tagli e/o nuove tasse. Ancora prima di ipotizzare qualsiasi altra misura. E’ chiaro che nessun governo potrebbe reggere un impatto simile. Per quanto tempo ancora Salvini riuscirà a tenere gonfi i sondaggi con il vento dell’immigrazione?
Sperare, come fanno leghisti e grillini, in una nuova Commissione europea più indulgente dopo le elezioni del 26 maggio è illusorio: per quanto buono potrà essere il risultato delle forze nazionaliste anti-europee, non sarà mai sufficiente a cambiare gli orientamenti di fondo dell’Ue. Tanto più che la gran parte degli alleati europei di Salvini sono certamente più rigoristi della democristiana Merkel.
In queste condizioni, l’unica strada possibile, ancorché piena di incognite, è quella di un voto politico anticipato che consegni al leader della Lega una robusta maggioranza relativa e gli permetta di presentarsi da Mattarella come l’aspirante presidente del Consiglio di uno schieramento nuovo. Altre soluzioni sono difficilmente praticabili. In Parlamento in queste ore si riparla a mezza bocca di un nuovo esecutivo di centrodestra, guidato da un economista d’area, che si sostenga grazie a gruppi di «responsabili» ex Pd ed ex M5S. Ma quale sarebbe la convenienza per Salvini di tenere in piedi una maggioranza raccogliticcia, con il fardello di un Paese in recessione, lasciando all’opposizione Di Maio a rifarsi la verginità perduta? Torniamo quindi allo scenario del voto anticipato. Certo, servirebbe un buon motivo. E l’unico innesco sufficientemente potente al momento è un voto dei cinque stelle favorevole al processo sul caso Diciotti. Il presidente del Consiglio Conte sembra aver capito quanto esplosiva sia quella miscela, tanto che ieri è tornato a fare scudo a Salvini con il suo corpo: «Parlare di immunità è un grande strafalcione giuridico». Un messaggio destinato anzitutto ai quei cinque stelle che pensano ancora di essere al tempo dei meet-up.