domenica 2 marzo 2025

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Marco Damilano
Meloni scissa tra il trumpismo e la paura di restare isolata
Domani, 2 marzo 2025

Quando abbiamo già visto questa scena dalle parti nostre? Per la sfuriata di Trump con Zelensky c’è chi ha tirato in ballo il cecoslovacco Dubceck umiliato a Mosca o le invettive di Hitler contro i governanti dell’Europa centrale che rifiutavano l’annessione. A me ha ricordato, perdonate il brusco calo di tensione, la riunione del Pdl in cui Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, venne quasi alle mani con Gianfranco Fini, che era presidente della Camera e leader di An confluito nel partitone berlusconiano.

Berlusconi e Fini


Un’assemblea convocata per suggellare un patto di ritrovata amicizia si trasformò in un processo pubblico a porte chiuse, ma ripreso dalle telecamere. Mentre in sala stampa si udiva in sottofondo il rumore di piatti che annunciava il buffet, l’eroe della giornata (era il 22 aprile 2010) fu il regista che riprese le urla, lo scambio di accuse (quelle sull’ingratitudine funzionano sempre, nella politica come nella vita), i due leader vicini al contatto fisico e il gesto dell’ex leader di An con la mano («che fai, mi cacci?»).

C’era anche Giorgia Meloni, era la più giovane ministra del governo Berlusconi, ma era stata indicata da Fini, non sapeva da che parte buttarsi e rilasciò un’intervista al Corriere della Sera: «Io mediatrice, la scissione è un suicidio».

Lo stesso ruolo che da premier ora sta provando a ritagliarsi in queste ore, stavolta su scala globale. Ma appare scissa tra la tentazione di guidare i trumpiani d’Europa e la paura di restare isolata. Alle sue spalle ci sono una maggioranza spaccata e un elettorato che per la prima volta presenta qualche sussulto, un calo di consenso.

È difficile per Meloni spiegare ai suoi elettori e alla sua coalizione che l’interesse nazionale spinge a schierarsi dal lato opposto della storia, con l’Europa. Ma è necessario. Anche perché, si sa, tutti i vitelli d’oro prima o poi finiscono in polvere.

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