traduzione di Ettore Romagnoli
Ed Ecuba levò fra le donne il suo lungo lamento:
430«Figlio, misera me, dove andrò col mio fiero dolore,
ora che tu sei morto? Tu eri, di notte e di giorno,
l’orgoglio mio, per questa città: ché il sostegno di tutti,
uomini e donne, in Troia, tu eri, che al pari d’un Nume
te riguardavano, e in te possedevan rifugio sicuro,
435mentre eri vivo: adesso t’han colto la Parca e la Morte».
Cosí dicea piangendo. Ma nulla sapeva la sposa
d’Ettore ancora: ché niuno venuto era a darle l’annunzio
ch’era lo sposo suo rimasto fuor delle mura.
Ma ne le stanze interne sedeva al telaio, e tesseva
440duplice un manto di porpora, a fiori di varii colori;
ed alle ancelle di casa ricciute avea l’ordine dato
che sovra il fuoco ponessero un tripode grande, ché caldo
fosse per Ettore il bagno, quand’ei dalla zuffa tornasse.
Misera! E il cuor non le disse che molto lontano dal bagno
445spento per mano d’Achille l’avea l’occhicerula Atèna.
Ecco, ed un pianto, un ululo udí che giungea dalla torre:
onde un tremore la colse, di mano le cadde la spola;
e cosí disse alle ancelle dai fulgidi riccioli: «Andiamo,
due mi seguan di voi: vediamo che cosa è seguíto.
450Della mia nobile suocera udita ho la voce. Nel petto
mi balza il cuore in gola, le ginocchia un gelo mi serra.
Qualche sciagura incombe sui figli di Priamo! Oh, lontana
questa novella sempre rimanga da me! Ma poi temo
d’Ettore mio, l’ardito, che solo, lontan dalla rocca,
455còlto non l’abbia Achille divino, ed al piano l’insegua,
e ponga fine al suo funesto valore, che il seno
sempre gli empiea: ché con gli altri restar non patía nelle schiere,
ma innanzi ognor correva, ché a niuno cedeva in ardire».
Detto cosí, si lanciò dalla casa, col cuore in tumulto,
460simile a forsennata: seguíano i suoi passi le ancelle.
E come giunse alla torre, in mezzo alla gente affollata,
stette, e guardò dall’alto dei muri; e lo sposo conobbe,
cui trascinava Achille dinanzi alla rocca: i corsieri
lo trascinavano senza pietà verso i concavi legni.
465Su le pupille a lei si stese una nuvola negra,
ed all’indietro piombò, lo spirto esalando. Lontano
tutte dal capo suo balzaron le fulgide bende,
il dïadema, con l’alta sua mitra, e le tortili fasce,
e il velo ch’ebbe in dono dall’aurea Cípride, il giorno
470che dalla casa d’Etíone, offrendo gran copia di doni,
Ettore, sposa l’ebbe, l’eroe dal corrusco cimiero.
D’Ettore le sorelle, vicine le furono tutte,
e le cognate a sorreggerla, ch’ella spirata sembrava.
Ma quando poi rinvenne, raccolse gli spiriti in seno,
475levò tra le Troiane, rompendo in querele, la voce:
«Ettore, misera me!, tu ed io con un solo destino
siamo venuti al mondo. Tu, dentro le mura di Troia,
dentro la casa di Priamo; ed io sotto il Placo selvoso,
nella tebana reggia d’Etíone, che me pargoletta
480crebbe a fatale destino! Cosí, deh, non fossi mai nata!
Giú nelle case d’Averno, nell’ime latèbre del suolo
ora tu scendi, e me qui lasci in esoso cordoglio,
vedova nella tua casa. Né ancora favella il bambino
che generammo, infelici, tu ed io: né piú dargli soccorso,
485Ettore, tu potrai, ché sei morto; né questi a te darne.
Ché pur s’egli potrà sfuggir degli Achivi alla guerra,
sempre nei giorni venturi l’aspettano affanni e cordogli.
Altri vorranno certo rapirgli i suoi campi: ché il giorno
ch’orfano un pargolo rende, privo anche d’amici lo rende.
490Gemere deve sempre, bagnare di pianto le gote.
Va, ché lo spinge il bisogno, da tutti gli amici del padre,
chiede un mantello a questo, a quello una tunica chiede.
E chi si muove a pietà, gli porge una piccola coppa,
che, se gli bagna le labbra, non giunge a bagnargli il palato.
495E un bimbo, forse lieto fra i beni, da mensa lo scaccia,
ed a colpirlo avventa le mani, e d’ingiurie lo copre:
— Vattene via, ché tuo padre non siede a banchetto fra noi! — .
E lagrimoso il bimbo ritorna alla vedova madre:
Astïanatte, che prima sedea sui ginocchi del padre,
500solo midollo cibava, sol carne di pecore pingui.
Quando poi, giunto il sonno, cessava di pargoleggiare,
dormia nel suo lettuccio stringendolo al sen la nutrice,
entro le morbide coltri, di florida gioia il cuor pieno.
Ora l’aspettano mille cordogli, ché il padre ha perduto.
505Astïanatte! Ahi!, cosí ti chiamavano in Ilio: ché il padre
tuo proteggeva da solo le porte e l’eccelse muraglie.
Ora, lontan dai parenti, vicino alle navi ricurve,
di vermi un brulichio, poi che sazi saranno i mastini,
divorerà l’ignudo suo corpo. E qui son tante vesti
510morbide e grazïose, tessute da mani di donne.
Ora le brucerò tutte quante, sul fuoco rapace.
Ciò non ti gioverà, ché in esse non sei tu ravvolto,
ma tra le donne onore ne avrai, tra gli uomini d’Ilio».
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