domenica 2 novembre 2025

Lo stallo

Andrea Malaguti
La sinistra che volta le spalle all'Italia

La Stampa, 2 novembre 2025

La sinistra ha voltato le spalle all’Italia»

Romano Prodi da Lilli Gruber a Otto e 1/2

Il dibattito sulla sinistra lo apre Romano Prodi. A Otto e ½ dice a Lilli Gruber: «Ha voltato le spalle all’Italia». E aggiunge: «Un salario medio non mantiene una famiglia, forse di questo bisognerebbe parlare». È il tentativo di scuotere l’albero del Partito democratico, di cercare un’alternativa al governo di Giorgia Meloni. Abbiamo i piedi nelle sabbie mobili. E la fotografia scattata oggi da Alessandra Ghisleri lo conferma: quasi due italiani su tre (66%) bocciano la manovra. I più delusi sono i leghisti. La produzione industriale frena e il potere d’acquisto degli stipendi crolla. Eppure, la fiducia nella premier è intatta. Il Paese scommette ancora su di lei.

È parecchio tempo che il Professore è freddo con Elly Schlein – «posso dare consigli anche se non mi sono richiesti» - ma questa frase sulla sinistra che gira le spalle all’Italia è la pietra tombale su un rapporto che non è mai nato. Siamo di fronte ad una frattura che inquieta quella parte del Paese, non così minoritaria, che si considera progressista.

Parola nobile e vuota che, di rimbalzo, fa tornare alla mente Jacques Nobécourt, corrispondente di Le Monde alla fine degli Anni Settanta. Dovendo spiegare ai francesi la Democrazia Cristiana, le appiccicò una definizione fulminante: la Dc non si definisce, si constata. Per il Pd oggi è lo stesso. Impossibile definirlo. Ci si deve limitare a constatarlo. Movimentisti contro riformisti. Con Arturo Scotto che definisce “riformismo” una parola malata e Arturo Parisi che su La Stampa invita il Pd ad «abbandonare la deriva estremista, per non rischiare la riedizione del Fronte Popolare».

La Schlein, alla quale va riconosciuto il merito di avere raccolto con il cucchiaino i resti di un’idea politica, non parla. Non ritiene opportuno rispondere pubblicamente neppure a Prodi. Ma o i democratici trovano la sintesi o finiscono di nuovo in pezzi.

La verità è che sulle ceneri dell’Ulivo e nella pancia del Pd è saltato il patto tra socialisti, comunisti, repubblicani e cristiano-democratici. Nessuna elaborazione vera. Culture distanti che invece di valorizzare la mescolanza, hanno scelto la latitanza e poi la guerriglia. La promessa di dare vita al partito che unificava le esperienze positive del dopoguerra, nella migliore delle ipotesi non è riuscita. Così Schlein è alla testa di una comunità di intenti che non ha una storia.

Che cosa può raccontare? Come conquista gli indifferenti e gli indecisi? In assenza di radici da rivendicare, bisognerebbe avere una capacità di elaborazione e un senso del futuro più forte di quella espressa finora. Peraltro, in un Paese in cui gli Over 65 sono di più degli Under 18, fare finta che le sensibilità novecentesche non siano esistite è matematicamente un suicidio.

Se del passato non ti piace più nulla, come affronti il domani? Basta accodarsi alle manifestazioni di piazza, unico segno di vitalità in un universo progressista con l’elettroencefalogramma piatto?

Facile profetizzare il futuro della Segretaria. Nell’improbabile caso di una vittoria su Giorgia Meloni le faranno un monumento equestre, diversamente la relegheranno in uno scantinato come altrove è successo a Sanders o a Corbyn. Meravigliose suggestioni che non hanno impedito l’era Trump.

Viviamo in un mondo paradossale, in cui Elly Schlein, che dovrebbe farsi un vanto del passato, non lo riconosce, e Giorgia Meloni, che dovrebbe abiurarlo, lo rivendica.

Con la destra in fondo è tutto più facile. C’è quella residuale che grida «Duce, Duce», nelle sedi di Fratelli d’Italia a Parma, ma c’è soprattutto quella che guida l’Italia e vince in tutto il pianeta. Una destra che non elabora, piuttosto combatte, prendendo il mondo così com’è. Brutalmente, istintivamente, senza troppe domande. Sostenuta, però, e qui la differenza non è banale, da alcuni miliardari visionari capaci di parlare del futuro. A cominciare da Peter Thiel, tecno-feudatario di Palantir, convinto che la libertà sia ormai incompatibile con la democrazia, ma capace di costruire imperi partendo da un presupposto letterariamente irresistibile. Solo la creazione da zero produce novità radicali. «Se pensate di fare la vostra rivoluzione copiando Gates, Bezos o Zuckerberg non li avete capiti. Al massimo potete fare diventare più grande quello che già c’è. Se volete ragionare come loro dovete creare quello che non esiste. Passare da zero a uno è la vera creazione. Salire da uno in su è alla portata di molti». Un processo che spesso passa dalla distruzione degli altri (e questo è uno degli scenari che abbiamo davanti), ma che concettualmente contiene in sé una riserva di energia magnetica come l’anello di Gollum.

In sostanza, per corrispondere ad un mondo che corre così veloce e brucia tutto sull’altare dell’innovazione, la politica deve essere in grado di accorciare non solo i tempi che la dividono dal passato, ma anche quelli che la separano dal futuro. La destra lo sa. La sinistra, che fa referendum sull’articolo 18 e non apre mai la bocca sull’Intelligenza Artificiale, conosce questo tipo di narrazione o la considera solo un effetto speciale per allocchi? Perché, se il caso fosse il secondo, le sfuggirebbero metà delle cose che contano nella contemporaneità.

Stacco. Luci su Torino. Festa per i 50 anni di Tuttolibri, al Circolo dei lettori, un concentrato di idee e di racconti. Un pezzo d’Italia che si vede raramente (se vi siete persi lo Speciale uscito ieri, fate di tutto per recuperarlo. È una meraviglia immaginata da Francesca Sforza ed Elena Masuelli). Incrocio Gianrico Carofiglio. È lì anche lui a discutere di romanzi, quelli che ci hanno cambiato. Non resisto. Parliamo di politica? In fondo è il suo pane da sempre. Scrittore, magistrato, senatore della Repubblica per il Pd. È stato molte cose. Continua ad esserle. Un intellettuale, se dovessi scegliere una parola sola. Gli chiedo di Schlein, so che non è il suo argomento preferito, so anche che è una persona che non si tira indietro. Mi racconta di una sua esperienza a Palazzo Madama. Un collega, gli svela un aneddoto su Bruno Trentin, ex segretario della Cgil. «Sai come selezionava i suoi collaboratori? Quelli che gli davano ragione per tre volte di fila, li mandava a casa. Questo per me è il discrimine tra una buona, una carente o una cattiva capacità di comando». Circondarsi di persone compiacenti rende più facile il quotidiano, ma più difficile arrivare al traguardo. «A parte cercare alleanze a tutti i costi, il Pd quale prospettiva ha?». Gli dico che la differenza più evidente tra destra e sinistra mi sembra nel racconto. In un presente in cui l’intensità è più importante della qualità, la differenza è decisiva.

Carofiglio corregge il tiro: «Io non credo che la destra parli di futuro. Parla alle emozioni primordiali delle persone, soprattutto al rancore. Che esiste. E ha tante ragioni vere. La loro bravura è di indirizzare questo rancore verso i capri espiatori, verso cause apparenti, che non sono reali. Parlano di un passato che non è mai esistito – la retrotopia evocata da Bauman - proponendolo come progetto di futuro». Condivido. Anche se per me esiste uno spirito del tempo che le destre sanno incarnare e le sinistre no. Su questo ci troviamo. Ne discutiamo un po’. «La sinistra dice la verità. Ma lo fa malissimo. Quando provi a spiegare loro l’importanza di un racconto appassionante, ti dicono “interessante”, ma poi lasciano cadere la cosa. Invece il modo in cui dici le cose le definisce costitutivamente».

Dire la verità, per esempio, significa sottolineare che siamo di fronte ad un danneggiamento della democrazia, ma che non viviamo in uno Stato autoritario. Chi governa ha vinto le elezioni. E i partiti d’opposizione esistono. Se invece, come ha detto Schlein al Congresso del Pse ad Amsterdam, si ritiene che in Italia la libertà sia a rischio con la destra estrema al governo, da quel momento in avanti bisogna fare una quotidiana battaglia di piazza. Altrimenti è la solita propaganda, il solito teatrino, la solita cortina fumogena. Le questioni sul tavolo sono enormi. Tasse, case, salari. Se Schlein apre il dibattito mezzo Pd la molla. Se recupera una posizione più europeista la mollano invece i Cinque Stelle. Ma la scelta è ineludibile, per non trovarsi di fronte alla solita incapacità di fare i conti col passato e di affrontare il futuro. Alla solita sconfitta.

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