Gianni Oliva
Se Vannacci riscrive la storia del fascismo
La Stampa, 10 novembre 2025
Vannacci e la storia alla rovescia. Capisco che il generale, approdato alla politica a forza di provocazioni, non sia in grado di formulare idee sui temi “veri” (la sanità, lo sviluppo economico, il regime fiscale) e debba ricorrere agli eccessi ideologici per non uscire di scena. Ma “rovesciare la storia” implica studi, conoscenze, documentazione: con gli “slogan” si fanno solo figuracce.
«Sino al 1938 tutte le leggi sono state approvate dal Parlamento», dice il generale. Vero: ma a quel Parlamento era candidata una lista unica di un unico partito, il Partito nazionale fascista. Ci mancava solo che non le approvasse! «Il governo Mussolini del 1922 era di coalizione», con ministri fascisti ma anche popolari, liberali, democratico sociali. Vero anche questo: ma dal 1 luglio 1924 al 25 luglio 1943 il governo fu monocolore, perché tutti gli altri partiti furono estromessi dalla vita politica. La «marcia su Roma è stata poco più che una passeggiata»: vero (è stato il fascismo a propagandarla come “rivoluzione”). Ma la marcia su Roma era l’esibizione di forza che concludeva un biennio di squadrismo, l’atto finale di un percorso di conquista del potere condotto tra violenza e complicità.
Quando non manipola i fatti Vannacci sbaglia per ignoranza: «Mussolini almeno fino alla metà degli anni Trenta esercitò il potere attraverso gli strumenti dello Statuto Albertino». No. Mussolini introdusse nel 1925/26 le “leggi fascistissime” che svuotarono lo Statuto Albertino aprendo la strada alla dittatura. «Tutto venne fatto secondo la legge». No. La “legge” dell’Italia liberale fu sovvertita, addomesticata, calpestata.
Quando non manipola e quando non sbaglia, Vannacci dimentica. Per esempio, dimentica l’uso delle armi chimiche nella guerra d’Etiopia (primo Paese al mondo, l’Italia fascista, ad asfissiare i civili con l’iprite, o “gas mostarda”). E dimentica la guerra 1940-45, che Mussolini ha combattuto accanto ad Hitler sino all’ultimo giorno. Ricordo che, studente liceale, fui portato al Teatro Alfieri per una commemorazione del 25 aprile fatta da Norberto Bobbio. Il filosofo ci disse: «ragazzi, pensate se Saragat (allora presidente della Repubblica, ndr) dichiarasse guerra agli Stati Uniti: penseremmo che è impazzito perché c’è una tale sproporzione di mezzi, che in due giorni i marines occuperebbero il Colosseo, il Duomo, la Mole Antonelliana. Bene, pensate che Mussolini dichiarò guerra contemporaneamente a Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia, Gran Bretagna, Jugoslavia, Grecia, Egitto». La deriva del Paese era compresa lì, nella distanza tra le ambizioni imperialiste del regime e le possibilità dell’Italia. Il risultato furono oltre 300mila morti, interi quartieri rasi al suolo, infrastrutture distrutte, migliaia di deportati, i “morti crocifissi sul palo del telegrafo”.
E, ancora, Vannacci dimentica che Mussolini, creando la Repubblica Sociale, porta la responsabilità diretta della guerra civile 1943-45. Il generale fa bella mostra dei libri di Renzo De Felice, la monumentale biografia di Mussolini, ma li cita senza averli letti. «La costituzione della Rsi fu la causa della guerra civile che insanguinò le regioni occupate dai tedeschi»: lo scrive proprio De Felice.
E c’è una cosa fondamentale che il generale tace: nella nostra repubblica antifascista, uno come lui può candidarsi, rilasciare interviste, andare in televisione e dire ciò che vuole. Nel Ventennio Matteotti è stato ucciso a coltellate; Piero Gobetti è morto per le conseguenze delle bastonature; Antonio Gramsci è morto in carcere. Per non parlare di Giovanni Amendola, dei fratelli Rosselli, dei tanti meno noti rimasti nell’ombra della memoria.

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