Claudio Magris, Un amore oltre la storia
Corriere della Sera, 22 gennaio 2021
Molti anni fa, a Treviso, in occasione del Premio Comisso che le veniva conferito, ho conosciuto Anna Larina, l’autrice di Ho amato Bucharin (Editori Riuniti). Introvabile da molti anni, il libro era uscito già da tempo in Italia. Mi è sembrato di incontrare la Lara del dottor Živago o un’altra di quelle straordinarie donne russe che, nei decenni tra la vigilia della Rivoluzione e il suo strangolamento staliniano, hanno arricchito per sempre il mondo di amore, di poesia, di ribellione, di disordine creativo. La storia di Anna Larina è la storia di una passione coniugale nella pienezza dell’abbandono dei sensi, della fedeltà, di una vita condivisa e dell’impavida, testarda lotta per salvare il marito dalla morte decretata nei grandi processi del terrore staliniano a Mosca.
L’uomo amato è infatti Nikolaj Bucharin, una delle più grandi figure della Rivoluzione russa, fucilato da Stalin dopo uno dei farseschi e atroci processi, che eliminarono buona parte dei leader comunisti che avevano fatto la Rivoluzione e creato l’Unione Sovietica. Alcuni di essi finirono per dichiararsi colpevoli, in una paradossale fedeltà alla causa rivoluzionaria, al regime e al Partito che, pur degenerato dal dominio di Stalin, continuava a sembrare loro l’unica forza capace di creare un giorno un mondo giusto.
È curioso che Bucharin — forse, dopo Trotsky, il più grande e il più carismatico di quella generazione fondatrice e schiacciata — nel libro di Anna Larina non si dichiari colpevole dei delitti imputatigli, continuando — scrive la moglie — a credere a Stalin ma respingendo, sfinito com’era, le accuse «mostruose» e chiedendo assurdamente l’istituzione di una commissione che indaghi l’attività del Nkvd, la polizia segreta. Nel famoso romanzo di Arthur Koestler, Buio a mezzogiorno, il protagonista Rubashov, glorioso leader sovietico verosimilmente ispirato a Bucharin, accusato incarcerato interrogato torturato e infine condannato a morte — contesta punto per punto le imputazioni ma alla fine si dichiara colpevole.
Anna Larina non è una finzione letteraria, è un personaggio vero, in carne ed ossa, una moglie e amante innamorata del marito che fa di tutto per salvarlo; non nasconde la fiducia di Bucharin in Stalin, ma testimonia come egli respinga tutte le accuse.
Nella finzione di Koestler, l’accusato si ritiene in fondo realmente colpevole; non certo di tradimento o congiura nei confronti di Stalin e del regime sovietico e non solo perché anch’egli, al tempo della sua gloria di leader e combattente comunista, ha commesso delitti analoghi a quelli dei suoi persecutori, ma perché si rende conto che pure lui, anche senza volerlo, ha contribuito a fare di quei crimini non eccezionali azioni di guerra a suo avviso giustificabili ma di una ferocia fine a se stessa che avrebbe finito per snaturare la Rivoluzione, elevando la violenza a sistema, a regola.
Bucharin ha una visione diversa; si rende conto che pure le sue azioni hanno finito per diventare diverse da come egli le aveva pensate e dunque che anch’egli ha contribuito a bloccare quel processo di liberazione per il quale si era battuto. In questo senso si dichiara colpevole ma non verso lo Stato che lo manda a morte né verso l’apparato del Partito ma verso gli ideali che aveva scoperto nel Partito e che alla fine aveva tradito quasi senza accorgersene. Comunque nella lettera-testamento che Anna, dopo la sua morte, trascriverà tante volte — atto d’amore più che di documentazione — e che diverrà nota nel 1956, dopo il XX Congresso del Pcus, Bucharin scrive che sulla bandiera rossa che alla fine sarà condotta alla vittoria c’è anche una goccia del suo sangue.
Ma non è questa la storia che racconta il romanzo-verità di Anna Larina, scevra di ogni tortuosa sottigliezza ideologica. Anzitutto è un romanzo d’amore, di un appassionato amore coniugale, il più difficile e il più grande, amore indistinguibile dalla vita vissuta insieme e inserito nella grande Storia di tutti. Una storia d’amore, intrecciata alla grande e terribile politica che la stritola ma non la spegne.
Ci sono pure altri personaggi, soprattutto donne, molte donne — mogli, madri, sorelle, amanti, figlie, amiche — di altri detenuti di cui vanno alla ricerca, di cui cercano almeno di sapere qualcosa, insistenti e agitate ma non incattivite verso quelle fra loro un po’ più fortunate che riescono a saperne di più. Il romanzo politico di una situazione indicibile diventa, ad un certo momento, anche un romanzo di donne, dei loro affanni e della loro vitalità generosa; un vivace coro umano ben più incisivo, più vero, più indistruttibile del morto linguaggio di quel lugubre apparato. Forse il romanzo è più la storia di queste donne — che anche senza rendersene conto sognano realmente un mondo diverso — che della Rivoluzione.

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