lunedì 17 novembre 2025

Il destino della classe media

Concita De Gregorio
Se tutti ignorano la resistenza della classe media

la Repubblica, 17 novembre 2025


L’altro giorno in libreria una donna più o meno della mia età accompagnata dalla figlia mi ha avvicinata e mi ha detto: il suo libro è il prossimo nella nostra lista dei desideri, sa? Glielo compro per Natale — ha indicato con un cenno della testa la ragazza — con la tredicesima. Hanno sorriso entrambe. Ho pensato: glielo regalo. No, magari si offende. No, forse, invece, è quello che desidera. Costa sedici euro, non è un regalo inaccettabile.

Poi ho pensato: questa donna deve aspettare la tredicesima per spendere sedici euro. Questa donna curata, gentile, questa donna che viene con la figlia quasi trentenne in libreria, il sabato pomeriggio. Glielo posso regalare, signora? No, assolutamente. I libri si comprano. Va bene. Lei che lavoro fa? Insegno, quest’anno ho una terza. Ventuno bambini, belli eh, ma non le dico che fatica. E sua figlia? Eh. Mia figlia fa concorsi. Li vince, sa? Li vince tutti, ma le graduatorie sono terribili. Aspetti anni, e niente. Vivete insieme? Sì, insieme.

Una delle mie care amiche, un’amica d’infanzia, insegna alla primaria. Le elementari, noi diciamo ancora. Ha la macchina di tutta la vita, la sua storica Mini, che ora è “auto d’epoca”. Perciò, siccome non risponde agli attuali criteri ecologici, nei giorni feriali non può circolare. Dunque lei si sposta in autobus, che a Roma significa non sapere se arrivi né quando. Significa, per entrare in classe alle otto, uscire alle sei e mezza di mattina. Dice che dovrebbe cambiare l’impianto, mettere un sistema a gas, e che le hanno fatto un preventivo da 350 euro ma non ce li ha. Magari chiede un prestito.

Mia sorella anche, insegna. In un nido d’infanzia pubblico. Zero tre anni. I bimbi sono meravigliosi, dice. I genitori, piuttosto, sono terrificanti. Ha una fucina di aneddoti dell’orrore, sui genitori. Ridiamo molto. Esce ogni giorno alle cinque del pomeriggio e non lo dico, quanto guadagna, che magari le dispiace ma è una vergogna. Agli esami medici di prevenzione rinuncia, la lista d’attesa è troppo lunga e nel privato costa uno sproposito. Speriamo bene. I regali di Natale andiamo a comprarli al mercatino dell’usato, dice, dai che ci divertiamo.

Le “professoresse democratiche” — i professori, anche: usiamo per una volta il femminile esteso — sono la spina dorsale del Paese. Sono quelle che educano i figli che lasciamo nelle loro mani e che talvolta, dice mia sorella, i genitori tardano a tornare a prendere perché hanno una diretta su TitTok.

Sono anche, “le professoresse democratiche”, una specie di insulto o di derisione che ascolto nelle discussioni pubbliche: eh, sì certo, voi. La sinistra etica. Quelli che ancora leggono i giornali, vanno a teatro. Le professoresse democratiche. La minoranza perdente, avete perso. Vabbè. Il linguaggio definisce chi lo usa. Ma una cosa c’è da dire, anzi due.

La prima. È vero. Scorrevo uno studio sui gruppi di lettura in Italia, una pubblicazione dell’Associazione editori indipendenti, si intitola Storie. Su 59 milioni di italiani 23 leggono ancora libri. Quasi il quaranta per cento, meglio del previsto. Ad animare i gruppi di lettura otto volte su dieci sono donne. Tra chi partecipa la maggioranza sono pure donne, e sono insegnanti o bibliotecarie.

Si potrebbe considerare una forma di Resistenza non armata. Una fronda, una diserzione. Un’insubordinazione al dettato unico dell’ignoranza utile. Difatti: se le persone non sanno niente sarà più facile convincerle, manipolarle. Certo, se fai passare il sapere come un privilegio di casta, di classe, e non come una fatica spesso improba che costa sacrifici enormi allora hai vinto facile: siamo tutti uguali al grado zero della conoscenza, nella democrazia dell’ignoranza. Che traguardo triste, no?

La seconda cosa: sono poveri. Gli insegnanti e con loro tutta la classe media — un tempo dicevamo: la piccola borghesia. Dei mestieri, dei saperi — è diventata povera. Non ha sedici euro da spendere per un libro. Deve chiedere un prestito per rimettere a posto la macchina. Non va in vacanza d’estate. Non si cura, perché la sanità pubblica non funziona e quella privata è carissima. Hai voglia poi a sciorinare statistiche. L’occupazione che cresce, la vita che migliora. Ma dove? Guardatevi attorno. La distanza fra la propaganda e la realtà è sotto i nostri occhi.

Allora come è possibile, questa la vera domanda, che le destre che favoriscono chi ha soldi siano votate da chi non ne ha? Perché guardate: no alle tasse per i redditi alti, benefici alle banche, no ai salari minimi, al reddito di cittadinanza, favori agli evasori, condoni. I governi di destra — in ogni tempo, in ogni luogo — hanno fatto e fanno gli interessi di chi ha molto ma sono votati da chi non ha nulla.

È per la sconfitta della sinistra, certo. La colpa di aver deluso, disilluso il suo elettorato naturale. La responsabilità del disastro è da condividere: dove la destra ha attecchito la sinistra ha mancato. È successo in pochi anni, alcune decine, e sarebbe interessante che qualche mente eccelsa si dedicasse a spiegare come, per eventualmente provare a cambiare rotta. Ci vuole tempo, certo, non succederà dall’oggi al domani: ma per invertire il corso della tragica storia bisogna prima di tutto capire come e a partire da dove.

Torno agli insegnanti. Le persone che formano esseri umani di giovane età che saranno adulti domani. Quindi: la più importante risorsa, il principale investimento di un Paese. I miei genitori erano impiegati dello Stato. Erano figli di povera gente, agricoltori, casalinghe, piccoli commercianti al minuto, gente di paese e di campi. Avevano avuto accesso al sapere grazie al sacrificio enorme dei loro genitori, sacrificio economico, privazioni.

Con il sapere si erano emancipati dalla povertà. Con i loro mestieri hanno mantenuto i figli, molti perché allora se ne facevano molti, hanno comprato una casa, li hanno mandati a studiare le lingue, la musica, le arti, le scienze, li hanno portati in vacanza a conoscere il mondo ed educati alla disciplina, all’onestà e al dovere. Con la pensione di reversibilità di mio padre ancora possono pagarsi un corso di studi i miei nipoti.

È successo qui, il danno. È in questo piccolo arco di tempo, cinquant’anni non cinquecento, che la povertà del ceto medio ha diserbato la fiducia nel futuro. Come mai, mi chiedo, non ci occupiamo senza altre distrazioni solo di questo.


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