venerdì 28 novembre 2025

Il femminismo della differenza in Italia

Anna Simone
Il femminismo italiano tra elaborazione e genealogie

il manifesto, 27 novembre 2025

Se dovessimo definire con un termine le modalità attraverso cui oggi si generano i posizionamenti politici nel dibattito pubblico, senz’altro ci verrebbe in mente la parola «polarizzazione». Infatti, nel tempo e nello spazio caotico transnazionale che attraversiamo, spesso senza misura, diventa sempre più difficile rintracciare genealogie di senso in grado di ricostruire dei «divenire» del pensiero, delle pratiche politiche, senza cedere al triste bisogno di generare cesure e conflitti, «identitarismi», contrapposizioni, talvolta persino feroci, tra i «prima» e i «dopo» della storia, come se quest’ultima potesse essere davvero cancellata con un colpo di mano.

QUESTA SORTE, nell’ultimo decennio, è capitata in destino anche al dibattito intorno ai femminismi, a tutto svantaggio degli stessi e a tutto vantaggio di chi mira a strumentalizzarli riducendone la portata articolata e complessa, universale nel senso di un pensiero politico per tutti, che dagli anni del dopoguerra giunge sino a noi. E dunque, la prima domanda da farci è: ha senso dividersi sulla polarizzazione gender/no gender? Dobbiamo considerare il corpo solo come una entità biologica o solo come una costruzione sociale, quando sarebbe infinitamente più costruttivo considerare ogni corpo come una emanazione del desiderio singolare che diventa collettivo nel momento in cui si allea con altri corpi, per sé e per un mondo diverso?

Il volume di Giacomo Gambaro, Controstoria del pensiero della differenza sessuale. Da Luisa a Muraro a Carla Lonzi, edito da DeriveApprodi e arricchito da una bella prefazione di Caterina Botti (pp. 212, euro 20), tenta di stare in queste domande agendo due mosse teoriche interessanti: la prima è quella di ripensare la genealogia femminista senza fare tabula rasa della potenza e della ricchezza teorica del femminismo italiano e francese della differenza degli anni Settanta e Ottanta; la seconda mossa, decisamente più complessa e articolata, è quella per cui l’autore ripercorre questa genealogia invertendo i decenni. Infatti, il titolo di primo acchito può fuorviare lettori e lettrici, mentre il sottotitolo spiega l’operazione teorica di Gambaro. In realtà il volume, più che fare una «controstoria», di fatto ce ne propone una reinterpretazione che, a suo modo, tradisce la linearità storica a cui siamo abituati rovesciandone l’impatto. In altre parole, ci propone di partire da Muraro (gli Ottanta e i Novanta) per arrivare a Lonzi (i primi Settanta), passando per Irigaray, con incursioni su Cavarero, Fouque e altre.

LA TESI DI FONDO di Gambaro, che attraversa con grande acume e attenzione i temi chiave del pensiero della differenza sessuale, nonché le sue pratiche, soprattutto l’autocoscienza e in modo decisamente più critico gli effetti dell’ordine simbolico della madre di Muraro ovvero la pratica dell’affidamento tra donne di generazioni diverse, è sinteticamente questa: Lonzi e Irigaray, a differenza di Muraro, non si soffermano sulla sessuazione, non la rendono statica, quasi una identità (da cui l’accusa contemporanea di essenzialismo) perché loro fanno del corpo un campo erotico e desiderante, ovvero un campo aperto, irriducibilmente politico.

Nel caso di Lonzi di Sputiamo su Hegel e del Manifesto di rivolta femminile non v’è dubbio che il suo «soggetto imprevisto» femminile e plurale della storia del patriarcato nei Settanta abbia avuto questa enorme potenza, così come non v’è dubbio che Speculum di Irigaray del 1974 e poi la sua Etica della differenza sessuale, scritta dieci anni dopo, siano stati determinanti oltre che sulla questione della differenza, anche sulla potenza della sessualità femminile, ma nei fatti, le due autrici restano diversissime.

PER QUANTO ACCOMUNABILI e Gambaro lo fa benissimo, resta l’abisso tra chi fa della propria riflessività una forma di lotta nei confronti del patriarcato attraverso la pratica dell’autocoscienza (Lonzi) e chi muove la propria parola sul corpo a partire dall’inconscio (Irigaray). E, si sa, prendere coscienza di una condizione è fondamentale a livello riflessivo, ma l’inconscio si muove su un altro piano. Un piano che, per definizione, può sfuggire anche al soggetto perché esso è desiderio, ma può diventare anche sintomo. Inoltre, anche tutta la questione del simbolico è insita nella psicoanalisi. Dunque, se il simbolico in quegli anni afferiva solo alla sfera del padre, Muraro ha cercato di rovesciare quel segno ridando luce all’ordine simbolico della madre, tenendosi nel solco delle francesi.

Detto ciò, questo libro è un tassello importante e restitutivo, anche e soprattutto perché ci toglie dalla banalità degli identitarismi e dagli etichettamenti che hanno sempre tacciato come «essenzialista» il pensiero della differenza sessuale. Un posizionamento che, ricollocato nei termini della «differance» ovvero del «differire da» – in questo caso dal patriarcato e dal neutro universale maschile – per «pensare altrimenti», aiuta a rimettere al suo posto alcune critiche superficiali e sbrigative.

DOPODICHÉ se è vero che il pensiero e le stagioni politiche non sono mai statiche, è altrettanto vero che non possiamo pensare in modo statico neanche il corpo. Lo sappiamo tutti: avere un corpo sessuato può significare stare nella sua coincidenza con il genere che ci viene attribuito, ma può anche voler dire il contrario, ovvero sentirsi un genere non coincidente con il corpo sessuato perché ogni vissuto è differente, così come ogni desiderio.

E allora, forse, l’unico modo per uscire dalla gabbia delle identità vecchie e nuove ce lo indica proprio l’irriducibile singolarità dell’inconscio. Una strada che, forse, un giorno ci porterà a sentirci tante singolarità in comune, al netto di ogni diatriba su cosa è il sesso e su cosa è il genere.

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