Gianni Vacchelli
Dante come nuovo Virgilio nella selva di Jung
Avvenire, 25 novembre 2025
Il libro (Tommaso Priviero, Fuoco e forma. Jung, Dante e il Libro rosso, ora disponibile anche in italiano per Moretti & Vitali, pagine 208, euro 18) propone una prospettiva originale e necessaria: ricostruire in modo documentato quanto Dante abbia contato per Jung, tanto sul piano biografico quanto su quello immaginativo. Nella prefazione, Shamdasani definisce lo studio di Priviero come il primo tentativo sistematico di indagare la presenza dantesca nell’officina visionaria junghiana. Il risultato è un percorso che mostra come Dante agisca per Jung quasi da guida, da mediatore, da Virgilio moderno che accompagna lo psichiatra svizzero nella discesa verso le zone più oscure e feconde dell’anima.
Priviero rintraccia questa presenza su diversi piani. Da un lato, nel rapporto diretto tra le esperienze registrate nei Libri Neri e la successiva elaborazione del Liber Novus, dove ricorrono immagini, strutture narrative e motivi simbolici che riecheggiano il poema dantesco. Dall’altro, nell’inserimento di Jung dentro una linea di lettura visionaria e iniziatica di Dante, con particolare attenzione a Luigi Valli. Priviero esplora così il cosiddetto “Dante esoterico” e lo colloca nella trama culturale che va da Swedenborg a Blake, da Goethe a Nietzsche. Insomma: Dante emerge come fonte imprescindibile del progetto junghiano di “scrittura visionaria occidentale”.
L’idea centrale che attraversa il volume è che tanto la Commedia quanto il Liber Novus nascano da un gesto immaginativo radicale: entrambe sono narrazioni di trasformazione, viaggi simbolici che conducono l’io oltre i limiti rassicuranti dell’identità ordinaria. Il mondo immaginale dantesco e quello junghiano, pur lontani nel tempo, si toccano in un terreno comune: l’esperienza di una realtà intermedia, più densa del sogno e più vera della semplice fantasia. È il mundus imaginalis descritto da Henry Corbin, luogo di incontro fra le energie archetipiche e la forma poetica.
Nel libro rigore filologico e intuizione interpretativa stanno insieme. Priviero dialoga con studiosi come il poeta Eliot, Irma Brandeis e Christian Moevs, inserendo l’opera di Jung e di Dante in una tradizione spirituale e letteraria che supera la contrapposizione tra ragione e visione. Per entrambi, l’esperienza simbolica non è evasione, ma un esercizio di conoscenza e trasformazione. In entrambi i casi, ciò che conta è la metamorfosi dell’io, la conversione interiore, il movimento che porta a un «nuovo inizio».
Ancora: Priviero offre un vero e proprio «modello interpretativo»: vede il Liber Novus come la Commedia di Jung, una narrazione visionaria che non è mero esercizio letterario, ma mappa psicologica della sua anima. Allo stesso modo, per così dire, la Commedia è il Libro rosso di Dante.
Il confronto con Dante assume particolare rilievo per Jung nel periodo cruciale del 1913, l’anno della rottura con Freud e l’inizio delle visioni che confluiranno nel Libro rosso. In quel momento di crisi, Jung entra nella propria «selva oscura», si prepara a discendere nel profondo mentre l’Europa scivola verso la I Guerra Mondiale. E qui Dante offre un modello narrativo e spirituale: la traversata dell’ombra, la guida interiore, la possibilità di rinascere attraverso l’incontro con l’amore e il divino. Dove Nietzsche aveva fatto naufragio nel proprio incendio visionario, Jung trova in Dante un paradigma capace di reggere le tensioni degli opposti.
Priviero esplora con cura i vari punti di contatto tra le due esperienze: la crisi del «mezzo del cammin», il tema della metanoia, le figure-guida (Virgilio per Dante; per Jung, figure come Filemone o Elia), la centralità dell’anima amante – che sia Beatrice Salomè o Toni Wolff –, la discesa nell’inferno interiore, i simbolismi della selva, del deserto, delle acque perigliose, il fuoco purificatore, ma anche la funzione paradossale di Lucifero.
In particolare, interessante è la lettura del fuoco dantesco da parte di Jung: il titolo Fuoco e forma non è solo evocativo, ma profondamente simbolico. In Dante il fuoco può essere distruttivo (nell’Inferno), catartico (nel Purgatorio) e «luminosa rarefazione» (nel Paradiso), e Jung assimila queste diverse modalità alla sua stessa esperienza visionaria e al lavoro di purificazione interiore.
Priviero dedica un capitolo (Libri di Visioni) per mappare la presenza dantesca in Jung, decisiva a partire dai Libri Neri. L’analisi prosegue nel secondo capitolo (“All’Inferno”), dove Priviero esplora la discesa jungiana nell’inconscio, parallela all’Inferno dantesco, e nel terzo (“Rinascita”), dove il tema della rinascita emerge con forza: non è solo redenzione morale, ma una trasformazione psicologica profonda, anche se in Jung è presente la luce paradisiaca.
Il volume si legge così come un invito a ripensare la relazione tra poesia e psiche, tra esperienza spirituale e ricerca simbolica ed immaginale. La Commedia e il Liber Novus appaiono come due mappe che insegnano a percorrere le regioni oscure dell’esistenza senza cedere alla disperazione, trasformando il limite in possibilità. Jung scriveva che «abbiamo ucciso i morti e ora viviamo una vita che è poco più di un pregiudizio, lontani dalla pienezza dell’esistenza»: secondo Priviero, seguendo il filo rosso che lega i due grandi visionari, quell’esistenza piena è ancora accessibile, basta accettare la discesa, attraversare il buio e lasciarsi condurre verso la rinascita. «La Commedia e il Libro rosso raccontano un’esperienza interiore di rinascita simile alla fioritura di un mandala». Come ricorda Garzonio nella premessa, siamo qui invitati ad esperire almeno qualcosa de «l’amor che move il sole e l’altre stelle».

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