domenica 9 novembre 2025

Sinner italiano di elezione

Marco Aime
L'inutile e dannoso dibattito sull'identitarismo di Jannik Sinner

Domani, 8 novembre 2025 

In questi giorni mi è tornata alla mente quella storiella del pipistrello ferito: arrivano due uccelli, lo guardano e dicono: «Non è dei nostri» e se ne vanno lasciandolo lì. Arrivano due topi, lo osservano e poi anche loro dicono: «Non è dei nostri» e lo abbandonano, fino a che il povero pipistrello muore.

Mi è tornata in mente leggendo in questi giorni le polemiche sull’”italianità” di Sinner, nelle quali si intrecciano ignoranza, stupidità e identitarismo da quattro soldi, che ci danno l’idea di come sia facile costruire (o demolire) un’idea di identità, che può rimanere a livello di gossip, come in questo caso, ma trasformarsi in qualcosa di più grave se sale di grado.

Da un lato Sinner viene accusato di essere poco “italiano” o addirittura di non esserlo del tutto. Su che base? Su un giornale sportivo si legge che «non esulta da italiano» quando vince.

Come a dire che se si è nati qui, bisogna scalmanarsi per forza o urlare alla Tardelli. In caso contrario si perde la nazionalità. Lo si accusa di avere un accento tedesco – cosa neppure troppo vera – come migliaia di altoatesini.cora più assurdo se si pensa che viviamo in un paese dove gli accenti fanno parte della storia e del presente. Un rapper in calo di fama ha persino scritto che è «un purosangue italiano con l'accento di Hitler». Inutile ogni commento. Così come non varrebbe la pena di citare Bruno Vespa, aggiuntosi subito alla lista degli accusatori, visto che abbiamo un governo che sventola l’italianità, l’orgoglio dell’appartenenza, tranne poi inchinarsi davanti al despota straniero.

Dalla parte opposta, invece, ecco arrivare le accuse dal comandante degli schützen dell'Alto Adige Christoph Schmid: «Sai bene che affermazioni come questa, soprattutto se pronunciate da una personalità tanto conosciuta, hanno un effetto che va ben oltre lo sport. Vengono accolte con soddisfazione dai nazionalisti italiani, mentre qui da noi suscitano preoccupazione. Perché toccano questioni per noi centrali: la nostra lingua, la nostra storia, la nostra identità». L’affermazione in questione è quella, pronunciata da Jannik a Torino in cui dice di essere felice di essere nato in Italia e non in Austria.

«Fa male quando personalità di spicco del nostro territorio, con parole avventate, danno l'impressione che questo legame storico (con l'Austria) e l'autonomia faticosamente conquistata abbiano perso significato» prosegue Schmid, «Quando in futuro ti verrà chiesto del tuo sentimento nazionale, ti preghiamo di riflettere sul peso delle tue parole».

“Identità”, parola maledetta che avvelena ogni dibattito, nella sua volontà di ridurre le persone alla loro origine, territoriale in questo caso. Ancora più assurda se evocata per un ragazzo, che gira il mondo continuamente, che parla inglese per la maggior parte del suo tempo, che frequenta gente di ogni parte del pianeta.

Questa retorica delle radici, quest’ossessione dell’autoctonia sono un residuo atavico da cui non riusciamo a scrollarci. Se da un lato merci e servizi si globalizzano, dall’altro sembra che gli umani si ri-tribalizzino. L’evocazione delle radici porta a una sorta di naturalizzazione del pensiero di un individuo, che, per il solo fatto di essere nato in un posto, deve corrispondere a certe caratteristiche ed esserci affezionato. La radice cresce nel suolo, ma allora perché l’Italia non riconosce lo ius soli?

Ribadisco, il caso Sinner non meriterebbe più attenzione di quante se ne riservi a un semplice pettegolezzo, ma è un segnale che non va sottovalutato, perché riflette un pensiero, quello identitario, che porta acqua al mulino delle destre.

È la base su cui si costruiscono i nazionalismi e sappiamo a cosa hanno portato. La nostra identità, se proprio vogliamo usare questo termine, non sta nel nostro passato, ma davanti a noi, nel modo in cui, quotidianamente, costruiamo le nostre relazioni con gli altri.

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