Anais Ginori
Kepel: social e coltelli, la nuova minaccia jihadista a dieci anni dal Bataclan
la Repubblica, 13 novembre 2025
PARIGI – La minaccia resta elevata, ma ha cambiato natura. Oggi c’è un terrorismo endogeno alimentato dai social, con autori sempre più giovani e difficili da intercettare». Gilles Kepel, tra i maggiori studiosi occidentali del mondo arabo, inquadra la «mutazione» della minaccia jihadista nel decennale degli attacchi del 13 novembre 2015 in un nuovo libro, “Antiterrorisme, la traque des djihadistes”, scritto insieme all’ex procuratore antiterrorismo Jean-François Ricard. Kepel ripercorre quarant’anni di jihadismo in Europa, dal terrorismo pianificato da un santuario lontano a una minaccia più diffusa, senza un centro operativo forte. «È il cuore della mutazione» sottolinea Kepel, e aggiunge una specificità francese. «La sfida dell’islamismo è diventata politica e culturale. La commemorazione mette a nudo le divisioni in una Francia senza maggioranze stabili, con la sinistra radicale che cerca i voti delle banlieue e la destra che prospera sul rigetto degli islamisti».
Dieci anni dopo gli attentati, può ripetersi un attacco in Francia come quello del 13 novembre?
«No, non in quella forma. L’Isis è stato distrutto dai bombardamenti e dai missili mirati che hanno eliminato i suoi dirigenti, anche grazie al tracciamento dei telefoni e alla superiorità tecnologica della coalizione occidentale. Non c’è più un califfato territoriale, ma c’è un terrorismo endogeno alimentato dai social, con autori sempre più giovani e difficili da intercettare. Paradossalmente lo Stato ha strumenti tecnici superiori, ma ciò non impedisce attacchi opportunistici, a bassa logistica, spesso con coltelli. E c’è anche un paradosso. Mentre siamo chiamati a riunirci attorno alle vittime del 13 Novembre, uno degli ex capi jihadisti, il presidente siriano Ahmed al Sharaa, viene riabilitato sulla scena internazionale e ricevuto ai massimi livelli, da Emmanuel Macron e Donald Trump. La realpolitik mira a neutralizzare definitivamente il territorio siriano. Comprensibile per gli Stati, ma quale messaggio inviamo alla società? Il segnale morale è confuso».
Per l’antiterrorismo diventa più difficile fermare i jihadisti isolati?
«Sì, la minaccia è diventata più ibrida e imprevedibile. Per alcuni adolescenti cancellare un avatar online e togliere la vita nella realtà sembra quasi la stessa cosa. Oggi è difficile immaginare un commando di terroristi che arriva a Parigi, diretto dall’estero come dieci anni fa, ma la minaccia si è atomizzata in una società frammentata. I servizi dell’antiterrorismo fanno il possibile, ma non possono condurre la battaglia culturale contro l’islamismo. E questa commemorazione, invece di unirci, mette a nudo le nostre divisioni. La sfida è diventata politica, sociale, educativa».
Questa tensione si sovrappone a una crisi francese?
«Il 13 Novembre ha rivelato una crisi che rimane irrisolta. Alcuni, all’estrema sinistra e tra gli islamisti, arrivano a relativizzare quegli attacchi. Nel 2015 dicevamo “Siamo tutti Charlie”, ma molto presto molti non erano più Charlie. Il consenso si è incrinato. La Quinta Repubblica nel frattempo si è svuotata, senza più una maggioranza chiara all’Assemblea, un centro collassato, il Rassemblement National in testa nei sondaggi. Da un lato un’estrema sinistra che, per il voto delle banlieue, si allea con gli islamisti. Dall’altro, una destra radicale che prospera su questo rigetto. Difficile rendere omaggio alle vittime del 13 Novembre in questo contesto».
Uno degli incubi del 13 Novembre era l’idea di “francesi che uccidono francesi”. Oggi?
«Nel 2015 molti attentatori erano giovani francesi di origine musulmana che pure erano dentro traiettorie di integrazione. Oggi un problema cruciale è l’alleanza fra estrema sinistra e islamisti. Da quando Jean-Luc Mélenchon fa campagna contro l’“islamofobia” , la sinistra radicale ha puntato a intercettare il voto dei giovani cittadini d’origine musulmana. È stato un successo elettorale, ma ha polarizzato la Francia. Così, se oggi il terrorismo ha meno mezzi, non ha più l’infrastruttura di uno Stato, si è diffuso nell’atmosfera come ho analizzato. Trovo molto preoccupante l’entrismo dei Fratelli musulmani nelle istituzioni locali, spesso grazie all’alleanza con Mélenchon. Ci sono consiglieri comunali e assessori vicini ai Fratelli musulmani che tentano di orientare assunzioni, graduatorie per alloggi, servizi municipali, costruendo una contro-società a livello territoriale».
Ci sono nuove roccaforti jihadiste, per esempio nel Sahel?
«I regimi militari di Mali, Niger e Burkina hanno rotto con quella che continuano a presentare come la Francia “colonialista” e intanto si sono consegnati ai russi. I mercenari di Wagner hanno depredato risorse e lasciato che i jihadisti prendessero il potere, con un impatto che potrebbe essere rilevante per la Francia. La diaspora maliana è numerosa e finora poco problematica, ma l’effetto di un regime jihadista a Bamako è ancora tutto da decifrare».

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