mercoledì 19 novembre 2025

La cultura al tempo del fascismo

Mario Baudino
La bella borghesia di corso Italia: colta e un po' fascista

La Stampa Tuttolibri, 15 novembre 2025

Leonetta Cecchi Pieraccini è stata un’apprezzata pittrice nella prima metà del Novecento, allieva di Fattori, paesaggista e soprattutto ritrattista, ma il suo talento si espresse, per così dire segretamente, anche nella scrittura. I suoi diari, ricordano per certi aspetti i Journal dei fratelli Goncourt, che lei aveva presenti, quantomeno perché li cita tra i libri letti. E sono sterminati. Sellerio, dopo aver pubblicato quelli dal 1911 al 1929, ora, a cura di Isabella D’Amico (la pronipote) raccoglie i quaderni dal 1930 al 1945, quelli della piena maturità (nata nel 1882, la pittrice morì nel 1977): una quantità di materiale enorme con annotazioni quasi giornaliere, e certamente rivisti nel tempo, col titolo Corso d’Italia 11. Agendine 1930-1945. Corso Italia era l’indirizzo dove viveva col marito Emilio Cecchi, notissimo elzevirista e critico ma anche giornalista e viaggiatore, e nel tempo i tre figli, dei quali Suso destinata a diventare sceneggiatrice, oltre che moglie del musicologo Felice D’amico e madre di Masolino, anglista e grande firma del nostro giornale.

Era una famiglia intellettuale in un mondo intellettuale; fra l’appartamento di Corso d’Italia, le magioni dei mecenati come l’imprenditore e finanziere Riccardo Gualino (che aveva capito tutto e dal ’33 già si attendeva la guerra), i ristoranti, i salotti, le mostre, i viaggi all’estero in America o Brasile, si snoda una folla di scrittori e pittori ma anche funzionari e politici, colti nel loro semi-privato a dire cose che non avrebbero scritto. C’è ad esempio Mario Soldati che a New York annuncia di essersi fatto assumere in una cafeteria dove dovrebbe lavorare dalle 7 alle 9 per poter restare in America, cosa che non accadrà, o un sempre corrucciato Vincenzo Cardarelli che se la prende un po’ con tutti, in particolare col giovane Moravia. Le gaffes del poeta sono meravigliose.

C’è un talvolta arrabbiatissimo Giuseppe Ungaretti, o ancora il poeta (questo un po’ dimenticato) Cesare Pascarella, grande amico di famiglia; o i Pirandello, prima il padre poi soprattutto il figlio Stefano, e Alberto Savinio, Enrico Falqui, Paolo Milano, Massimo Bontempelli, Paola Masino, Valentino Bompiani, Margherita Sarfatti (la prima amante e poi protettrice del giovane Mussolini), molto presente, ma si direbbe immortalata in un’istantanea dove la Pieraccini assiste senza ulteriori commenti a una sua conferenza dal titolo che magari oggi ricorderà qualcosa: «Io italiana, io fascista, io cattolica». Mentre Roberto Longhi, la massima autorità dell’epoca in fatto di pittura, se la prende con una mecenate, Vittoria Contini, alla Quadriennale romana, per l’acquisto di un Casorati e di un dipinto della Quajotto: «Ma allora dica che lei fa della beneficenza, non una scelta di opere d’arte». Con buona pace di Eva Quajotto, pittrice mantovana, ma forse anche di Casorati?

Nell’utilissimo indice dei nomi pubblicato in coda al volume non manca proprio nessuno; fra Maria Bellonci, Bernard Berenson, Sibilla Aleramo, Montale, sono centinaia. Ma bisognerà ricordare almeno Leo Longanesi, fascisteggiante ma sempre arguto e pessimista, che alla Pieraccini chiederà articoli cultural-mondani, prima per Omnibus - lei collaborava anche ad altri giornali - poi per la sua casa editrice con un intero libro: che non uscirà se non nel ’62 col titolo Visti da vicino, ma per Vallecchi. Le “agendine” sono però molto più ricche. Quando Leonetta le pubblicò in parte, sempre negli anni Sessanta, le depurò dagli aspetti più intimi, come i tradimenti del marito, che invece qui compaiono in pagine dolenti e tuttavia mai prive dell’ironia che contraddistingue la sua scrittura.

Osserva, racconta, graffia; per esempio annota nel ’32, alla Biennale di Venezia: «All’esposizione incontrato Joséphine Baker. Somiglia tale e quale a Bottai», ovvero in quel momento il potente ministro delle corporazioni. Ma le battute, il salotto o le beghe non sono tutto. È il rumore della storia, colta nei suoi effetti più che per eventi, il filo che tiene insieme le agendine. Emerge prepotente il rapporto col fascismo, scontato in una società che magari ne diffida ma lo ritiene inevitabile (nei diari sono annotati di tanto in tanto le barzellette su Mussolini, e lo stesso Duce è descritto un po’ come una macchietta, per non parlare del Re), o l’avvicinarsi della guerra. La vita di sempre si sgretola lentamente, anche se i pittori continuano a vendere bene (i prezzi erano molto saliti durante il conflitto, e anche a Salò pare si guadagnasse molto). Infine, dall’iniziale sconcerto per le leggi razziali («Questi provvedimenti hanno suscitato enorme disagio nelle classi colte. Poca impressione nel grosso pubblico»), si squaderna l’orrore, in punta di penna: «Chi ha assistito a una di queste scene - scrive a proposito del rastrellamento del ghetto di Roma, il 16 ottobre ‘43 - era sconvolto dalla brutalità e freddezza dei soldati tedeschi e dalla bestiale curiosità del nostro popolino che si affollava a guardare».

Leonetta Cecchi Pieraccini
Corso d'Italia 11. Agendine 1930-1945
Sellerio 2025


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