pasolini inedito, ricco e strano
Il Sole 24ore, 9 novembre 2025
Quel poeta era diverso dagli altri, era venuto con la spada. E la dolcezza della persona tanto più dava risalto alla durezza delle sue parole, delle sue posizioni. Quando nel 1973 Piero Ottone lo invita a collaborare al «Corriere della Sera» lo fa perché ha capito che una parte della borghesia italiana s’è fatta critica nei confronti di sé stessa. Chi meglio allora del suo fustigatore ufficiale, dell’angelo sterminatore di Teorema? Chi meglio del comunista omosessuale e cristiano che della sinistra – dopo i versi clamorosi, e clamorosamente strumentalizzati, su Valle Giulia – è divenuto il fustigatore quasi altrettanto ufficiale?
I suoi articoli spariglieranno il campo, urticheranno tutti: soprattutto quelli che dovrebbero essere dalla “sua” parte. Ma proprio la sua «solitudine» consente a Pasolini di intercettare l’aria del tempo, oltre ogni paradigma razionale. Questa esacerbata soggettività è la sua forza cognitiva e retorica, ha ragione Gianluigi Simonetti, ma anche la debolezza di tante posizioni (come l’eterofobia contro il «piccolo patto criminale» della «coppietta», nel pezzo fra tutti più inaccettabile: quello «contro l’aborto» del 19 gennaio 1975) indotte anche da inconfessabili questioni private (come il matrimonio, dolorosissimo, di Ninetto Davoli con la sua fidanzata).
Simonetti è il curatore esemplare della messe più preziosa di questo ennesimo anniversario, la raccolta dei pezzi di Pasolini usciti sul «Corriere della Sera»: non solo quelli poi raccolti in Scritti corsari e Lettere luterane ma anche interviste, dibattiti eccetera. Che vengono riprodotti nella loro veste redazionale, anteriore al remix d’autore (cambiando sempre i titoli, di rado in meglio; per esempio l’esplosivo Sono contro l’aborto si stempera didascalico, negli Scritti corsari, in Il coito, l’aborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressisti), recuperando i tagli e contestualizzando le discussioni (alcune delle quali bisognose di commento, oggi, come certe baruffe comunali nella Commedia dantesca). In archivio ha poi ritrovato, Simonetti, un pezzo inedito: che il «Corriere» non pubblicò ma neppure Pasolini volle poi recuperare. Fra i tantissimi che gli replicarono sull’aborto vi fu anche il suo antipode perfetto, Giorgio Manganelli. Che con le sue stesse armi paradossali irrise l’immagine della vita «prenatale», la sua «felice immersione nelle acque materne» («la mia memoria amniotica è piuttosto corta; che allora fossi felice, chissà mai, senza nemmeno un libro da leggere»), per poi d’improvviso farsi serio («forse una cultura che tratta da “puttana” la ragazza madre […] non ha tutte le carte in regola per discutere della sacra vita»). Fino a oggi si pensava che Pasolini, quella volta, non avesse replicato. E invece lo aveva fatto eccome: con un ritratto acidissimo dell’avversario in forma di Quiz che prometteva in premio, a chi ne indovinasse l’identità, «Thalassa di Ferenczi, allegandovi un mio ritratto del personaggio in questione, con la coda da sirena».
Così Pasolini rivelava en passant la fonte-chiave di quell’articolo-bomba: il saggio, datato 1924, del discepolo di Freud «più ardito», che teorizzava l’indistinzione originaria di pene e vagina e collegava l’utero materno appunto all’archetipo marino. Era il nucleo teorico del suo super-romanzo meta-romanzesco (destinato a uscire solo postumo, nel ’92), Petrolio. Chissà se sarebbe bastato a fargli cambiare idea sul «romanziere in similvita», come lo aveva definito a suo tempo: Manganelli era morto da due anni, e non ci è dato sapere se quella lettura lo abbia sollevato, almeno un po’, dalle ubbie cimmerie dell’aldilà.
Questo passaggio radiante magnetizza il saggio più sorprendente e rivelatorio dell’anniversario, quello dell’insigne pasolinologa Silvia De Laude (co-curatrice insieme a Walter Siti dei «Meridiani» usciti fra il 1998 e il 2003) che legge insieme, col metodo della «diffrazione» ermeneutica (fra testi l’uno dell’altro inconsapevoli, cioè, ma che abbiano presupposti e fonti comuni) teorizzato una ventina d’anni fa dalla filosofa Donna J. Haraway, appunto Petrolio e l’unico romanzo di un altro personaggio celebre, ma non certo per la sua produzione letteraria, cioè Mario Mieli: il fosforescente fondatore del «Fuori!» e leader del movimento omosessuale italiano che a poco più di trent’anni, nel 1983, si toglierà la vita (forse proprio per le sfortune di questa sua grande scommessa di scrittura, uscita solo postuma e alla macchia). Anche Il risveglio dei faraoni – con toni opposti a quelli misteriosi e plumbei dell’ultimo Pasolini: scapigliati e camp, coloratissimi e strafottenti – si basa sul paradigma con-sessuale di Ferenczi e, proprio come Petrolio, si struttura come «viaggio iniziatico» (in una Milano travestita da «egizia», un po’ come la sudamericana della Cognizione del dolore di Gadda…) che vede il protagonista più volte cambiare sesso (non chirurgicamente ma psichicamente e ritualmente): in quelli che Pasolini definisce «momenti basilari del poema», e ai quali Mieli allude citando una lisergica canzone di Donovan, Fly Translove Airways.
Non si perita De Laude di adottare spavalda (la vogliamo sempre così!) la forma «a brulichio» da Pasolini attribuita a Petrolio; e infatti da questo libro, acrobatico e flessuoso come l’autrice, si esce ebbri come dall’assunzione del «ciceone» in quei riti eleusini. Ma, proprio come da quelli, ispirati da una visione. Quella di un Pasolini finalmente diverso dalla sua vulgata stantia: ricco e strano come un’opera, la sua, che si rivela ancora – incredibile a dirsi – tutta da leggere.
Pasolini e il «Corriere della Sera» 1960-1975
a cura di Gianluigi Simonetti
Fondazione Corriere della Sera, pagg. 476, € 19
Silvia De Laude
L’invenzione del diverso. Pier Paolo Pasolini e Mario Mieli
il Saggiatore,
pagg. 248, € 18

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