sabato 12 aprile 2025

Ritorno a Teheran




Cecilia Sala
La noia di un regime brutale
Il Foglio, 12 aprile 2025

Devi sapere che la roba con cui ingozzano la gente, quella che il regime ci passa attraverso i media, è pura depressione”, dice il ventiquattrenne con l’orecchino che chiameremo Abbas per proteggerlo, con le braccia appoggiate a un tavolino del Café Platform, uno dei locali in stile industriale che piacciono alla generazione Z di Teheran. “Non c’è mai una commedia. Non c’è nessun documentario vero a parte quelli sugli animali selvaggi. Non puoi guardare un film per com’è, li doppiano, stravolgono il significato e tagliano le scene che non piacciono ai censori. Alla fine la trama non ha senso. Non ti permettono una connessione anche minima con il mondo esterno. Lo stesso vale per le feste. Non sia mai che sperimenti qualche istante di libertà, che poi va a finire che qualche istante non ti sazia”. I regimi sono noiosi prima ancora di essere brutali, è il ragionamento che fa Abbas, e la sua comitiva annuisce. Ma sono anche brutali: il cugino di Abbas è stato impiccato due settimane prima di questa conversazione. “L’odio è al potere. Mio cugino è soltanto uno di quelli che hanno pagato il prezzo più alto per questo stato di cose”. Era un dissidente, è stato giustiziato per un’accusa fabbricata e assurda: aver avvelenato alcune persone con il vino fatto in casa. “Lo hanno torturato fino al punto che avrebbe confessato qualsiasi cosa. Non bisogna mai e poi mai confessare in questo paese, è la regola che ci ripetiamo ogni sera”, forse con l’illusione che sia sufficiente a proteggerli.

Anche Abbas, come lo era il cugino, è nel giro di chi organizza le feste clandestine, quelle in casa oppure i piccoli rave in mezzo al deserto con ottanta partecipanti al massimo per non dare troppo nell’occhio, che sono tanti, che sono celebri, ma che naturalmente per la Repubblica islamica sono illegali. “Il primo incontro con la musica mi ha sconvolto. Ero un bambino, la canzone era la sigla di un cartone animato doppiato, e storpiato, in farsi; ma la colonna sonora l’avevano lasciata in originale ed era in inglese”. Dal linguaggio dei cartoni animati che guardavano da piccoli, dalla musica sia locale sia straniera che ascoltano oggi, gli iraniani coetanei di Abbas hanno sviluppato “un linguaggio in codice”, dice, “per parlare di ciò che ci interessa senza lasciare prove sui nostri telefonini che la magistratura islamica considererebbe incriminanti. Siamo come le sottoculture di una volta, come i gay negli anni Cinquanta in America, che avevano la loro lingua, il loro slang, i loro punti di ritrovo e i loro segni di riconoscimento – soltanto che in Iran il prezzo da pagare per muoversi fuori dalle regole è più alto. Ma ne vale la pena. La vita qui è già troppo dolorosa per arrendersi anche alla depressione calata dall’alto. Meglio prendersi il rischio di organizzare un concerto”.

I giovani delle città sono un punto di vista onesto per raccontare l’Iran: la maggioranza dei novanta milioni di persone che abitano questo paese ha meno di trentacinque anni e il settanta per cento della popolazione vive nelle aree urbane. “E’ per questo che abbiamo provato a ribaltare la situazione a nostro favore nel 2022”, va avanti Abbas. Si riferisce alle grandi manifestazioni in tutto il paese cominciate con il funerale di Mahsa Jina Amini, morta a 22 anni mentre era in custodia della polizia religiosa che l’aveva fermata nella metropolitana della capitale per il velo messo male. “Non c’era una regia dietro a quei cortei, ci è bastato guardarci in faccia nei parchi, sugli autobus, nei corridoi dei grandi magazzini e renderci conto di quanti eravamo”. Nonostante la Repubblica islamica controlli quasi per intero l’economia del paese e abbia il monopolio delle armi, se contando le facce che ti somigliano per le strade vedi che sono più numerose dei veli neri e dei turbanti, la voglia almeno di provarci ti viene – è il ragionamento di Abbas.

Dall’ultima volta che ero stata a Teheran sono cambiate tre cose. Centinaia di migliaia di donne non indossano più il velo e non si preoccupano se una telecamera intelligente di fabbricazione cinese piazzata in cima a un semaforo scannerizza il loro volto e invia una segnalazione alla polizia. Al governo c’è il primo presidente dello schieramento politico che si definisce riformista in vent’anni. Teheran è stata bombardata dai jet israeliani per la prima volta nella storia. E’ successo, non a caso, dopo che ha perso l’asse delle milizie che tenevano sotto tiro Israele e funzionavano come un’assicurazione per la Repubblica islamica: lo stato ebraico non oserà colpire direttamente il territorio dell’Iran, perché altrimenti noi scateneremmo contro Tel Aviv le migliaia di missili potenti e precisi che abbiamo fatto arrivare a Hezbollah in Libano attraverso la Siria di Assad – erano questi i termini impliciti dell’assicurazione. Ma oggi Hezbollah è bloccata da ferite tremende e Bashar el Assad è scappato a Mosca: Abbas e i suoi amici provano un misto di paura ed eccitazione di fronte alla debolezza senza precedenti della Repubblica islamica che li governa. Paura per l’ipotesi delle bombe americane e israeliane, eccitazione per l’ipotesi che collassi tutto quello che detestano.

Diba si nota tra le facce della comitiva di Abbas per i suoi capelli cortissimi tinti rosso fuoco. Ha ventun anni, studia Economia e fa la barista. Per spiegare come sono cambiate le cose in questo paese e come lei vuole che cambino ancora cita una formula usata da Lana del Rey in una canzone: “La speranza è un oggetto pericoloso da maneggiare per una donna come me”. Un’altra strofa della stessa canzone in cui si riconosce fa così: “Non chiedermi se sono felice, sai che non lo sono. Ma quello che ti posso dire è che almeno non sono più triste”. Diba se n’è andata di casa a diciannove anni nel 2022, l’anno della protesta che ha dato coraggio a lei e a tante altre. Se n’è andata di casa senza sposarsi e suo padre non l’ha presa bene. Va alle feste, vive da sola in un dormitorio, fuma le sigarette, si mette il velo per lavorare ma quando non lavora se lo toglie. Non ha alle spalle una famiglia che la aiuta e andare avanti senza fare compromessi è faticoso: l’inflazione in Iran è al 34 e mezzo per cento, il costo dell’affitto che Diba deve pagare aumenta ogni mese. Alla fine del pasto al ristorante, fa una battuta che in Iran ormai arriva sempre, puntuale, assieme al conto: chiede al cameriere quant’è, il cameriere risponde, tempo pochi minuti che torna con lo scontrino e il pos nelle mani gli chiede di nuovo: ‘E adesso, invece, di quanto è aumentato il conto?’.

Per una ventunenne che fa un lavoro da precaria la crisi economica, oltre alla polizia morale, è un ostacolo alla propria indipendenza. Tutti i rimedi all’inflazione che adottano quelli più adulti e più ricchi di lei non sono contemplabili, per esempio investire nei gioielli d’oro, avere una casa di proprietà o comprarsi i pezzi di un’auto europea e assemblarli. Sono gli espedienti che adottano quelli che se lo possono permettere per non rischiare di diventare improvvisamente poveri. Perché l’oro, una Bmw o un appartamento non perdono valore, invece il denaro in contanti o sul conto in banca di Diba con l’inflazione evapora. L’unica soluzione che le è venuta in mente per non esser costretta a tornare a casa da papà oppure a sposarsi senza averne voglia è lavorare sempre di più per guadagnare sempre uguale. In questo periodo la sua media è quattordici ore di lavoro al giorno.

Da iraniana, Diba ha un problema finanziario in più. Deve mettere da parte e tenere sempre a portata di mano i soldi per pagare le multe contro chi non indossa o indossa male l’hijab, perché se non paghi subito ti portano in caserma. Quando le telecamere intelligenti di fabbricazione cinese disseminate per la città ti fotografano poco coperta, cercano il tuo volto tra i documenti registrati all’anagrafe usando l’intelligenza artificiale. A quel punto ti arriva una notifica sul cellulare, un avvertimento. Ne esistono di vari colori: cartellino bianco, giallo, arancione, rosso – in una scala come quella che va dall’ammonizione alla squalifica ma che qui va dall’ammonizione alla galera. Per non finire in carcere devi pagare, per questo ti servono sempre un po’ di contanti pronti. La legge vieta i capelli al vento e qualsiasi parte di corpo scoperta sotto il collo, sopra l’avambraccio e sopra le caviglie, sia nello spazio reale sia in quello virtuale, online. Le punizioni sono già severe, ma una nuova legge vuole inasprirle e, se entrasse in vigore, nel pratico per Diba significherebbe dover tenere sempre da parte 500 milioni (2.400 dollari), che non ha, per non finire in cella.

La legge più punitiva era stata proposta dal vecchio governo dell’ex presidente molto conservatore che si è schiantato con l’elicottero, Ebrahim Raisi. L’ha approvata il Parlamento che è ancora dominato dai conservatori (perché in Iran le elezioni legislative e quelle presidenziali si tengono in momenti separati). Al successore di Raisi, il presidente riformista Masoud Pezeshkian, che ha fatto campagna elettorale dicendo che la Repubblica islamica non può obbligare le donne a fare quello che non vogliono fare e ha vinto, questa legge non piace. La scorsa estate, quando si era appena insediato come capo del governo, Pezeshkian aveva commentato le regole più crudeli sull’hijab e la castità dicendo: “Non ho e non abbiamo l’autorità per dire alle nostre figlie quanto devono coprire i loro corpi”. Ma a dicembre del 2024 la Corte costituzionale del regime islamico, il Consiglio dei guardiani, aveva dato il via libera finale alle nuove punizioni. A quel punto Pezeshkian aveva l’obbligo di firmare la legge entro due settimane, se non lo avesse fatto alla scadenza della seconda settimana sarebbe entrata in vigore comunque. Per l’eterogenesi dei fini, al presidente iraniano preoccupato dall’ipotesi di una nuova grande protesta contro le pene più violente per le ragazze poco coperte è venuto in soccorso il nemico. Benjamin Netanyahu ha pubblicato in rete un video in cui si rivolge direttamente ai cittadini iraniani e dice che il regime cadrà prima di quanto molti pensino, e ripete lo slogan “Jin, Jinyan, Azadi”: Donna, vita, libertà.

C’è un caso in cui il presidente dell’Iran si può rifiutare di ratificare una legge già approvata dal Parlamento: “Gravi rischi per la sicurezza nazionale”. Quando Netanyahu ha citato il movimento Donna, vita, libertà e ha evocato la caduta della Repubblica islamica, Pezeshkian ha potuto fare questo ragionamento: il nemico ha attaccato la capitale per la prima volta nella storia il 26 ottobre e ha distrutto le difese aeree attorno a Teheran per lasciarci più vulnerabili, alcuni nostri alleati in medio oriente hanno già fatto un brutta fine, ora il nemico si rivolge direttamente al nostro popolo e incita la rivolta; non ci possiamo permettere, adesso, “divisioni nella società”; non ci possiamo permettere, adesso, un’altra ondata di proteste contro il velo. Il Consiglio di sicurezza nazionale gli ha dato ragione, la nuova legge più punitiva per adesso è stata sospesa. Ma il ragionamento del presidente è stato l’ammissione di una duplice debolezza – quella dentro i confini e quella verso i nemici esterni –, che Abbas, Diba e tutti quelli come loro hanno colto.

Oggi il regime si trova nel paradosso di dover reprimere anche le proteste a favore del velo. La polizia della capitale disperde, arresta e deporta fuori dai confini della città i gruppi di signore avvolte nei lunghi chador neri arrivati con i pullman dalla provincia per chiedere al governo di non avere paura, di applicare la legge più punitiva e costringere le centinaia di migliaia di ragazze con i capelli al vento a tornare a coprirsi o a pagarne le conseguenze. Anche quelle proteste vanno cancellate, perché fanno pubblicità alla debolezza. Perché ricordano agli iraniani: le ribelli sono troppe per fronteggiarle tutte, non possiamo applicare la legge perché un pezzo grande della popolazione ci odia e sarebbe pronto a scatenarsi contro di noi, non ce lo possiamo permettere proprio adesso perché i nemici fuori sono più forti di noi e i nostri alleati che dovevano farci da scudo sono già andati in pezzi.

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