sabato 5 aprile 2025

La scommessa di Salvini




Stefano Folli
Nei giorni del caos Salvini cerca un ruolo
la Repubblica, 5 aprile 2025

Dove non sono mai riuscite le tattiche dell’opposizione, sono riusciti i dazi di Donald Trump: mettere in seria difficoltà Giorgia Meloni. Quel senso di apparente invincibilità che la premier aveva saputo coltivare con astuzia intorno a sé è andato in pezzi nelle 48 ore più devastanti da molti, davvero molti anni a questa parte. Per cui il Pd e persino i 5S si sentono rinvigoriti.

Non è detto che abbiano una strategia, come dimostrano le piazze divise sui temi della difesa europea (riassunti in modo approssimativo nel dilemma “pace o guerra”); ma spesso quello che conta in politica è sfruttare il colpo subito dall’avversario. E in questo momento per il governo di centrodestra è arduo fronteggiare le folate di una tempesta che si potrebbe giudicare perfetta o quasi.

Tra l’altro, le cannonate del “conservatore” Trump portano in superficie le fratture interne alla maggioranza. Esistevano già, s’intende, ma ora sono più evidenti e soprattutto più dolorose. Quando il vicepremier Salvini valuta i dazi trumpiani come «un’opportunità» per le imprese italiane, si avventura in un giudizio in cui conta più la volontà di compiacere l’amministrazione di Washington che la prudenza nei confronti di un elettorato nelle cui file al momento prevale lo sconcerto. Di qui a due mesi magari gli stati d’animo cambieranno, ma dipende tutto da un negoziato che deve essere ancora concepito e poi messo in opera.

Non sorprende che la presidente del Consiglio dichiari che le super-tariffe non sono una catastrofe e che l’allarmismo è eccessivo, ossia sono un evento in parte rimediabile. È tutt’altra cosa dal definirle «un’opportunità», ma è logico che il centrosinistra attacchi con asprezza anche su questo punto. Quando grandina può non bastare aprire l’ombrello. Sarà così ancora per qualche settimana, con ovvie ripercussioni sull’attività del governo e sulla qualità della polemica quotidiana.

Per ora si deve ancora verificare con quale slancio l’esecutivo di Roma darà il suo contributo all’Unione, da cui ci si aspetta una relativa compattezza nella trattativa con gli Stati Uniti (è questo l’auspicio più volte rinnovato dal presidente Mattarella). La miscela fin qui proposta — fermezza e volontà di negoziare — richiede di essere meglio precisata per apparire convincente.

Il problema è che siamo su un terreno inesplorato e come tale ricco di incognite per tutti. Salvini, ad esempio, a differenza del ministro degli Esteri Tajani, non esita a predicare il contrario della coesione: secondo lui ogni Paese deve fare per sé.

Su questa base del tutto euro-scettica il ministro dei Trasporti apre il congresso della Lega a Firenze. Dal quale si attende la risposta ad alcuni interrogativi. Il primo: una volta ottenuta la rielezione, come è ormai sicuro, la Lega vorrà essere un partner di governo affidabile oppure un’eterna spina nel fianco? Il secondo: quando arriverà a Roma il vice di Trump, J.D. Vance, Salvini resisterà alla tentazione di proporsi sul piano mediatico come il vero interprete del “trumpismo” più intransigente? Sarebbe un modo per oscurare la premier e di sicuro suscitare la sua irritazione.

Si potrebbe continuare. Il congresso leghista è pur sempre la riunione del secondo partito più esplicito nella sua simpatia verso Putin: il primo, come è noto, è il M5S che oggi (sabato 5 aprile) scende in piazza.

Salvini ha dato un profilo di destra esplicita a quel Carroccio che Umberto Bossi vedeva come una forza creativa di sinistra. La sua scommessa è vedere Trump e Putin andare d’accordo sull’Ucraina e il resto, lucrando così sulle inevitabili contraddizioni della politica estera che dovrebbero essere pagate da Meloni. Ma la storia raramente va nella direzione che certi strateghi decidono a tavolino.

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