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Alma Mahler Schindler |
Natalia Aspesi
Kokoschka e Alma, la magnifica ossessione
la Repubblica, 7 aprile 2025
A Parigi, al Musée d’art moderne, un paio d’anni fa Giuseppina Manin vagava tra quadri nervosi, illuminati da violenza, dolcezza, colori brutali. Stava visitando la mostra di Oskar Kokoschka e rimase colpita da una fotografia in cui una giovane signora era inginocchiata accanto a un grande, forse orrendo pupazzo gettato su un divano. Manin conosceva l’esistenza di quella sgangherata figura che aveva consentito al giovane pittore, tornato malamente ferito dalla Grande guerra perduta tragicamente, di tentare di vivere ancora dopo essere stato abbandonato dalla sua donna, la bella Alma vedova di Gustav Mahler.
La grande bambola cucita da Hermine Moss per il pittore Oskar Kokoschka
Alma certo non aveva perso tempo: liberatasi da un antipatico aborto, nel 1915 aveva frettolosamente sposato l’architetto Walter Gropius, il fondatore del Bauhaus, per poi chiudere la sua vita di moglie di varie celebrità sul feretro del più giovane Franz Werfel, scrittore. Giuseppina Manin ricordava anche il magnifico La sposa del vento (1914), un vortice di colori blu, con gli amanti avvinghiati nel disordine del letto, che Kokoschka aveva dipinto nel languore della passione, con la bella Alma nuda su di lui. Così poco tempo e poi la scomparsa di lei tra altre braccia anche fuggevoli…
Tutto era stato per Kokoschka, uomo di vistosa bruttezza, un tempo di disperazione: l’essere velocemente sostituito nel cuore della dama, la fine orribile della guerra, la ferita che lo aveva dilaniato, i giorni in ospedale che lo avevano portato alla follia. Ma se Alma non tornava da lui, lui l’avrebbe ricreata, l’Alma senza cui non poteva vivere, l’Alma che lui rivoleva per possederla, per sentirla sua e solo sua. Giuseppina Manin cerca quello che si può trovare di Kokoschka e scopre le lettere che ha scritto, dodici lettere da Dresda senza risposta, per illustrare come dovrà essere la grande pupattola alla fabbricante di bambole Hermine Moos che la confezionerà. Attorno a queste lettere l’autrice costruisce il romanzo La bambolaia (La nave di Teseo) perché di quel personaggio, Hermine, non ha trovato che quella foto e rari ricordi. Dresda, 20 agosto 1918, scrive Kokoschka: «Vi ho spedito la testa a grandezza naturale della mia amata, che imiterete al meglio facendo appello alla vostra pazienza e alla vostra sensualità. Vi prego, fate il possibile perché si possa provare piacere a toccarla nei punti del grasso…». Dresda, 23 gennaio 1919: «Cara signorina Moos, mi raccomando la parrucca, che non sia il modello tradizionale, ma imiti esattamente l’impianto si capelli, le ciocche sistemate in modo naturale, la frangia, la treccia…». Dresda, 6 aprile 1919: «E adesso cosa facciamo? Sono semplicemente terrorizzato dalla vostra bambola… L’involucro esterno sembra una pelliccia di orso bianco, buono per farne uno scendiletto a forma di grizzly irsuto»…
Nel libro Manin ci racconta della povera falsa, orribile Alma: riabilitata, torna a essere quel che Kokoschka sognava, vestita di biancheria di seta arrivata da Parigi viene portata a spasso in carrozza per un paio d’anni come una regina. Ma ormai anche lei ha stancato e durante una festa viene gettata giù da una finestra e rovinata con un rivolo di liquore color sangue. C’è poi un breve, tragico epilogo: Hermine Moos, ebrea, si suicida nel 1928, la sorella Henriette nel 1941 per non essere deportata, la mamma Sophie viene uccisa a 77 anni nel campo di Treblinka. Chi intanto se la passa benissimo è Alma, diventata americana, che finalmente senza amanti gelosi scrive i suoi lieder e diventa antisemita, pur avendo avuto due mariti ebrei, schierandosi apertamente con i nazisti.
Il libro
La bambolaia di Giuseppina Manin (La nave di Teseo, pagg. 176, euro 17)
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