Roberto Damico, La trappola dell’autorità intellettuale: il caso Canfora e il paradosso degli esperti fuori campo, Facebook
Mi è capitato di assistere a un video di Luciano Canfora, il celebre storico dell’antichità, e dopo aver ascoltato le sue analisi sulla guerra in Ucraina, ho provato un misto di stupore e amarezza. Non tanto per la qualità della retorica, sempre raffinata, quanto per l'inconsistenza del ragionamento, che oscilla tra l’anacronismo e la distorsione ideologica.
Secondo Canfora, il conflitto ucraino sarebbe scoppiato perché gli Stati Uniti avrebbero voluto separare la Germania dalla Russia — come se questo fosse il movente principale della guerra. Una tesi che riecheggia certi pamphlet cospirazionisti travestiti da realismo geopolitico. Ma non è tutto. Secondo lo storico, l’Unione Europea sarebbe ormai un fantasma, soppiantata da un asse anglo-francese — affermazione quanto meno curiosa, visto che la Gran Bretagna è fuori dall’UE dal 2020.
E, ciliegina sulla torta, Putin e Trump vengono dipinti come poveri diavoli vittime della presunta arroganza tedesca ed europea. La Russia, sconfitta nella Guerra Fredda, starebbe solo tentando un irredentismo pacifico, paragonabile a quello italiano degli anni ’20. Peccato che quell’irredentismo condusse al fascismo e al disastro della Seconda Guerra Mondiale. Ma tant’è: i parallelismi storici azzardati sembrano essere diventati lo sport preferito di certi intellettuali.
Ora, nessuno mette in dubbio la grande competenza di Canfora nel mondo antico. Ma proprio per questo stupisce l’improvvisa leggerezza con cui si lancia in giudizi sulla geopolitica attuale, senza tener conto di fonti, contesto e complessità. Nessuno può essere esperto di tutto, e va bene così. Il problema, però, è un altro: perché in Italia continuiamo a subire il culto dell’autorità intellettuale, illudendoci che chi è competente in un ambito lo sia automaticamente in ogni altro?
Già Leopardi, nello Zibaldone, ironizzava sul fatto che i suoi concittadini lo chiamassero dottore e gli chiedessero consigli su medicina, botanica e chi più ne ha più ne metta. Lui, con onestà e senso del limite, preferiva tacere. Oggi, invece, i nostri intellettuali superstar — da Barbero a Canfora — non riescono a resistere alla tentazione di pontificare su qualsiasi tema, dalla virologia alla strategia militare. Il risultato? Analisi approssimative, ideologizzazioni forzate e, nei casi peggiori, vere e proprie fake news accademiche.
Perché accade questo? Le ragioni sono almeno tre:
1. L’effetto alone: se una persona è brillante in un settore, tendiamo ad attribuirle competenze universali. È la versione colta dell’influencer che pubblicizza dentifrici e vaccini con la stessa autorevolezza.
2. La bulimia mediatica: oggi gli intellettuali, per restare visibili, devono essere onnipresenti. Talk show, editoriali, social. E, purtroppo, spesso parlano anche quando non avrebbero nulla da dire.
3. L’ideologia che sostituisce il metodo: quando mancano gli strumenti analitici, entrano in scena i pregiudizi. E così Canfora, anziché applicare il rigore dello storico, si trasforma in un apologeta del putinismo soft, in cui la Russia è sempre vittima e l’Occidente sempre colpevole.
C’è poi un paradosso più sottile ma forse più inquietante: molti studiosi, che hanno passato la vita a decostruire i miti del passato, finiscono col cadere essi stessi in una nostalgia reazionaria — che sia per Stalin, per l’URSS o per un'idea mitizzata di antiamericanismo d’antan. E così, invece di illuminare il presente con gli strumenti del sapere, ne offuscano la lettura con le ombre del passato.
La soluzione?
Smettere di considerare gli intellettuali come oracoli e iniziare a valutarli per ciò che davvero sanno fare. In una parola: distinguere competenza da prestigio. Perché, come ricordava Popper, il vero sapere non è avere risposte definitive, ma [rilanciare le domande, trovare nuovi terreni di sfida].
https://machiave.blogspot.com/2025/04/il-punto-di-vista.html
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