Marco Aime, Si può anche tornare ma una volta esule resti esule per sempre
La Stampa Tuttolibri, 27 aprile 2025
Le isole, nel nostro immaginario, rievocano spesso mondi felici, circondate dal mare, che richiama l’idea di pace, di vacanza. La storia di Tre isole che William Atkins racconta nel suo libro è però molto diversa. Molto. Sono tre isole molto lontane tra di loro: la fredda Sakhalin, ai limiti dell’Asia, sperduta nelle fredde correnti siberiane; Sant’Elena piccolo punto nell’oceano Atlantico, lontano da ogni costa, la Nuova Caledonia, grande isola a nordest dell’Australia. Cosa le tiene insieme, al di là di essere circondate dal mare? Tre vite i cui destini Atkins intreccia con sapienza intorno a un tema centrale: l’esilio forzato.
Il tutto parte dalla vista che l’autore ha di cumuli di giubbotti di salvataggio abbandonati sulle spiagge greche dai migranti, che tentano di raggiungere l’Europa. Per scelta o per bisogno (o per tutti e due). Donne e uomini che lasciano la loro terra per un futuro migliore, ma c’è stato chi è stato costretto ad abbandonare la propria patria per costrizione.
Combinando biografia, storia e resoconti di viaggio Atkins racconta tre vite spezzate, tutte nel XIX secolo, tre storie molto diverse, ma accomunate da un destino simile. La prima è quella di Louise Michel, donna coraggiosa, che partecipa attivamente alle lotte contro il dispotismo di Luigi Bonaparte, che vediamo sulle barricate della Comune parigina e che per questo viene arrestata, condannata e spedita al confino in Nuova Caledonia, ancora oggi territorio francese d’Oltremare.
La seconda storia inizia molto più a sud di Parigi, nel Sudafrica ancora conteso tra le popolazioni locali e i coloni olandesi e inglesi. Il protagonista è Dinuzulu ka Chetshwayo, l’ultimo dei re zulu riconosciuto dai britannici. Paradossalmente questa vicenda finisce per intrecciarsi con quella della francese Michel, perché il luogo d’esilio di Dinuzulu sarà lo stesso di Napoleone Bonaparte.
Il terzo anello della catena nasce invece in Ucraina, negli stessi anni, sotto il giogo oppressivo del regime zarista. Il protagonista qui è Lev Šternberg, giovane antropologo ebreo e ribelle, che cerca in vari modi di opporsi a quel sistema dispotico e violento. Per questo verrà arrestato e confinato nell’isola di Sakhalin «l’ultimo rifugio dei non uccisi», nel gelido est della Siberia.
Rappresentando con straordinaria dovizia di particolari queste figure e i luoghi che sono stati costretti a occupare, Atkins rivela verità profondamente umane sull’allontanamento forzato, sul colonialismo e su cosa significhi avere e perdere una casa. Più volte Atkins cita le accorate e tristi poesie e lettere di Ovidio, condannato anche lui al confino a Tomi (oggi Costanza, in Romania), ma attraverso le vite dei suoi tre protagonisti, giunge a concludere che l’esilio non è legato a un luogo, ma è piuttosto un processo, un movimento continuo, che può durare tutta la vita. Come osserva Victor Hugo, che peraltro era amico (e forse è stato amante) di Louise Michel: una volta esule, esule per sempre. Puoi tornare al punto di partenza. Ma non potrai mai tornare a casa.
Ad accomunare queste tre storie e a farle diventare universali - e tristemente attuali - è il tema dello sradicamento forzato, del dolore, del distacco, ma è anche il fatto che a esiliare i protagonisti sono tre imperi: Gran Bretagna, Francia, Russia a cui i protagonisti hanno osato opporsi: Michel salendo sulle barricate parigine, organizzando movimenti antagonisti nella Francia di Luigi Napoleone; Dinuzulu perché si rifiuta di sottomettersi al governo sudafricano, che si appropria continuamente delle terre del suo popolo; infine Šternberg che sogna un popolo russo finalmente libero dal giogo zarista.
Il racconto ci spiega come tutti e tre questi imperi cercassero continuamente luoghi sperduti, inospitali, per spedirvi i “disturbatori”, i diversi. Esiliare le persone scomode, per purificare la propria terra. Per farne un popolo di sradicati, più facili da controllare. Ecco allora che l’esilio diventa il punto in cui personale e politico diventano reciprocamente inevitabili, si intrecciano in una unica dimensione: quella dell’esiliato.
«L’esilio è più di un concetto geografico», ha scritto il poeta palestinese Mahmoud Darwish. Parole che si sposano perfettamente con quelle di questo libro.
grazie di questa segnalazione: le storie di esilio mi appassionano, e mi addolorano insieme. Non conoscevo l'esistenza di Louise Michel e so appena dove si trovi la Nuova Caledonia, che mi pare sia ancora territorio francese. Il nome, poi, Sakhalin, mi terrorizza... geli spaventosi e deserte rocce
RispondiEliminaSu Sakhalin c'è anche un famoso reportage di Cechov. Grazie per il commento
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