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Lucio Villari |
Raffaella De Santis
"Leggevamo i nostri scritti a vicenda. Anche Erodoto era pop"
la Repubblica, 4 aprile 2025
Luciano Canfora, filologo e grecista, apprezza la qualità popolare dell’opera di Lucio Villari: «Anche nel mondo antico greco e romano gli storici parlavano alla gente comune». Canfora, che di recente ha raccontato La grande guerra del Peloponneso per Laterza, non ha paura dei media, appartenendo come Villari a quella schiera di studiosi che non si sono ritirati a vivere in una torre d’avorio ma vogliono parlare a tutti.
Vi conoscevate personalmente?
«Eravamo in buoni rapporti, leggevamo i nostri scritti reciprocamente. Molte cose notevoli Villari le ha pubblicate su Repubblica, fin dai primi anni di vita del giornale. Ricordo alcuni importanti articoli in cui mostrava un’attenta lettura dell’ambiente del socialismo tedesco, da Rosa Luxemburg a Karl Kautsky».
Villari sapeva unire l’attività universitaria ai giornali, al teatro e alla televisione. Aveva un’anima pop?
«La divaricazione tra i dotti che ricercano in modo umbratile e i divulgatori un po’ banali è una devianza. La storiografia nasce nel mondo antico con fine divulgativo, rivolta a un grande pubblico composto di persone normali. Si sceglie questa via perché si è convinti che quel racconto rivolto alla gente possa avere un effetto politico e civile importante. Va considerato inoltre che nel mondo romano coloro che scrivevano di storia appartenevano perlopiù alla classe senatoria, dunque con le loro opere facevano anche politica».
L’idea di una storiografia a due velocità è una questione prevalentemente italiana?
«La storiografia inglese, dai tempi di Gibbon, alla fine del Settecento, e quella francese delle Annales, di Le Goff o Duby è stata capace di parlare in modo comprensibile e attraente al pubblico senza danneggiare la serietà della ricerca».
Nei paesi anglosassoni spesso gli studiosi scrivono sia testi accademici che divulgativi senza che questo infici la loro autorevolezza.
«Nel nostro Paese purtroppo molti professori di storia hanno avuto ritegno a sporcarsi le mani. Il risultato è che hanno lasciato ampio spazio ai dilettanti. Ci sono però grandi eccezioni. Anche Rosario Villari, il fratello di Lucio, sapeva giocare su entrambe le tonalità, da una parte la ricerca più ascetica, dall’altra i suoi eccellenti manuali per i licei».
Ci sono ragioni particolari che possono spiegare come mai in Italia si è stati a lungo sospettosi verso le produzioni popolari?
«Il fatto che la storiografia ottocentesca italiana sia stata fortemente influenzata dal fattore dell’unificazione nazionale e del patriottismo, le ha dato una caratura di orientamento compromissorio. Nel Novecento inoltre molta storiografia si è compromessa col fascismo, abbracciando la tesi che era il coronamento del liberalismo. Finita questa orgia ultranazionalista, si è avuta la reazione contraria degli storici, che hanno abbandonato la divulgazione ritirandosi nelle loro private stanze. Il racconto storico è finito allora nelle mani di bravi giornalisti come Arrigo Petacco, capaci di una narrazione attraente ma di seconda mano. Certo vendeva migliaia di copie e questo faceva invidia ai dotti cattedratici».
Lei parla di storia come narrazione. Che ruolo hanno avuto i grandi romanzi storici nell’opera di divulgazione?
«Mentre Francia, Inghilterra e Russia hanno avuto una grande produzione di romanzi storici – pensiamo a Hugo, Balzac, Dumas, Walter Scott, Dickens, Tolstoj e tanti altri – noi abbiamo avuto un unico grandissimo caso: Manzoni. Ci sono stati poi alcuni tentativi di personaggi che non hanno lasciato traccia, se non in altri campi, come Massimo D’Azeglio, autore di noiosissimi romanzi storici para-patriottici, o Niccolò de’ Lapi, scomparso dalla memoria. Anche il grande e sanguigno Francesco Domenico Guerrazzi ha scritto libri indigesti come La battaglia di Benevento. Sul lato innovativo, tra fine ’800 e inizio ’900, collocherei invece Federico De Roberto: un romanzo come I Viceré affonda le radici nella vicenda del meridione e rispecchia una lettura molto pessimistica del nostro Risorgimento. Ma è un caso isolato».
Uno storico pop può camminare a testa alta?
«Anche Erodoto parlava in pubblico».
Villari, Lucio. - Storico italiano (Bagnara Calabra 1933 - Roma 2025). Tra gli storici italiani contemporanei di più alto rilievo, docente di storia contemporanea all'Università degli Studi Roma Tre, ha focalizzato i suoi studi sul periodo moderno, con particolare attenzione ai processi socioculturali verificatisi in Europa tra il 18° e il 19° secolo e ai mutamenti politico-economici che hanno caratterizzato il Novecento. Autore di fondamentali saggi in cui ha letto la realtà con appassionata acutezza e ampia traiettoria analitica - tra i più recenti si citano qui La roulette del capitalismo (1995); Romanticismo e tempo dell'industria. Letteratura, libertà e macchine nell'Italia dell'Ottocento (1999); Niccolò Machiavelli (2000; Premio Estense 2001); Bella e perduta. L'Italia del Risorgimento (2009); America amara. Storie e miti a stelle e strisce (2013); La luna di Fiume. 1919: il complotto (2019) -, ha firmato con il fratello Rosario il diffusissimo manuale La società nella storia. Corso di storia per la scuola media inferiore (3 voll., 1977). In anni recenti ha svolto un'intensa attività di divulgazione storica anche attraverso la partecipazione e programmi televisivi di Rai 3 quali Il tempo e la storia (2013-2017) e Passato e presente (dal 2017). (Treccani)
Lucio Villari ci ha insegnato che la storia appartiene a tutti - la Repubblica
https://www.feltrinellieditore.it/news/2004/05/13/lucio-villari-gulag--quellitaliano-fucilato-da-stalin-2683/
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